lunedì 31 dicembre 2007

Gambe in spalla

Che Società. In declino, proprio in declino.
Mi dicevano, oggi, che una canzone (natalizia) dei Pogues (per la precisione, “Fairytale of New York”) è stata oggetto di acerba critica perché, secondo una radio inglese, insulta gli omosessuali. La strofa censurata da “Radio 1” è
«You scumbag, you maggot
you cheap lousy faggot,
Happy Christmas your arse
I pray God it's our last.»
In particolare, non è piaciuta la parola “faggot”. (Molto musicale, peraltro.)
No! Merda, merda, io trovo che sia una strofa meravigliosa. Così provocatoria, aspra, violentemente triste.
Non conosciamo più malinconia. Siamo troppo veloci o solo troppo superficiali?
Insomma. Quello che è pubblicamente non-corretto va censurato, criticato, nascosto, obnubilato. Ciò che invece ci si propone nella più velata ipocrisia è tollerato, anzi lecito; forse dovuto.
Allora noi dobbiamo specificare tutto.
Per questo tette e culi a ripetizione, sullo schermo, così palesi, non sono offensivi; una battuta sul Papa, o una parola non canonica, sì. Ed è pure colpa della nostra scarsissima abilità nell’utilizzo della nostra meravigliosa lingua; quando il livello è base, non si può pretendere si apprezzare il sottile effetto di un lessico tagliente.
Smettetela.
Certe specificazioni sono VOLGARI.
A questo punto, io allego: un video del cantante dei Pogues (grandissimo) ed alcune italianissime canzoni (nel medesimo ordine da me seguito) che consiglio caldamente per concludere in bellezza il 2007 e lanciarsi a capofitto nel 2008.

(il link promesso:
http://it.youtube.com/watch?v=K0xSNrFXacM)

“Niente trucco stasera”, R. Zero
Niente trucco per me,
via le luci, stasera
che a guardarti negli occhi
sia la faccia mia vera...

“Chi più chi meno”, R. Zero
Vedi, anch'io ho i limiti miei,
e uccidermi, ancora, non puoi,
vedi, va così, la vita è di chi
più chiedi, e più gli dai.
Un'altra guerra, e sia:
l'ultima sulla pelle mia.
Là dove c'era ancora amore.
Chi più chi meno,
senza rimorsi andava via,
lasciando il vuoto dove prima era poesia...
(e crudeltà)


“Inventi”, R. Zero
Inventi le mie forme,
lo stile è quello tuo;
poso per ore davanti a te,
mi dipingi di sole anche se non c'è,
a un tratto trovo me.
Inventi quei colori,
le ombre su di me,
poi chiudo gli occhi sul nome mio,
quel che inventi son sogni, son sempre io
mi sento dentro te.
Poi mi scopro lì a volare, il cielo su di me,
mentre la mia mano cerca te;
arrossisci un po’… Ma non vuoi più mandarmi via.
Inventi... la poesia.
Inventi... la poesia.
Inventi quella luce,
ma sono gli occhi miei.
Mentre ti guardo io non so più
dove finisco io e cominci tu,
il sogno, la realtà…
Ogni volta io rinasco nei pensieri tuoi,
colorato e folle più che mai.
Arrossisci un po’… Ma non vuoi più mandarmi via.
Inventi... la poesia.
Inventi... la poesia.


“Lugano addio”, I. Graziani
Ed io pensavo a casa;
mio padre fermo sulla spiaggia.
Le reti al sole,
i pescherecci in alto mare,
conchiglie e stelle
le bestemmie,
il suo dolore...


“...e di nuovo cambio casa”, I. Fossati
E di nuovo cambio casa
di nuovo cambiano le cose
di nuovo cambio luna e quartiere
come cambia l'orizzonte, il tempo, il modo di vedere
cambio posto e chiedo scusa
ma qui non c'è nessuno come me.
E stasera do a lavare
il mio vestito per l'amore
cambio donna e cambio umore
stasera
e stasera voglio uscire
che mi facciano parlare
voglio ridere e voglio bere
io stasera cambio amore
è tutto qui.
Ma sapere dove andare
è come sapere cosa dire
come sapere dove mettere le mani
e io non so nemmeno se ho capito
quando t'ho perduta
qui fioriscono le rose
ma dentro casa è inverno e fuori no.
E vendo casa per un motore
la soluzione è la migliore
un motore certamente può attirare
la mia fantasia un po' danneggiata,
da troppo parcheggiata;
e poi cambiare casa
come cambiano le cose - così.
E gira, gira e gira, gira
si torna ancora in primavera
e mi trova che non ho concluso niente
io l'amore l'avevo in mente
ma ho conosciuto solo gente
e posso solo andare avanti
fintanto che nessuno è come me.
E gira, gira e gira, gira
si torna ancora in primavera
e scopro che non ho capito niente
e allora io stasera do a lavare
il mio vestito per l'amore
cambio donna e cambio umore
cambio numero e quartiere
fintanto che nessuno è come me.


“Dedicato”, I. Fossati
...dedicato a chi capisce
quando il gioco finisce
e non si butta giù...

“Matto”, I. Fossati
Lui non sa che cosa vuol dire è ancora notte
notte, paura - notte, niente è sicuro - notte, sonno (leggero)
rumore che salta al cuore ma è solo
un gatto - signore dorma ancora due ore, ciò di cui ha paura
può essere tutto non certo un gatto
e lui è là, in mezzo a questa città
faccia in giù, ubriaco che non si regge più


“Il mare d’inverno”, L. Berté (E. Ruggeri)
Il mare d'inverno
è solo un film in bianco e nero visto alla tv
e verso l'interno
qualche nuvola dal cielo che si butta giù
sabbia bagnata
una lettera che il vento sta portando via
punti invisibili rincorsi dai cani
stanche parabole di vecchi gabbiani
e io che rimango qui sola
a cercare un caffè
Il mare d'inverno
è un concetto che il pensiero non considera
è poco moderno
è qualcosa che nessuno mai desidera
alberghi chiusi
manifesti già sbiaditi di pubblicità
macchine tracciano solchi su strade
dove la pioggia d'estate non cade
e io che non riesco nemmeno
a parlare con me...


“Piccolo uomo”, M. Martini
Aria di pioggia su di noi
e… tu non mi parli più; cos’hai?
Certo se fossi al posto tuo
io so già che cosa mi direi:
da sola mi farei un rimprovero
e dopo mi perdonerei...


“E non finisce mica il cielo”, M. Martini
Chissà se avrò paura,
o il senso della voglia di te;
se avrò una faccia pallida e sicura
non ci sarà chi rida di me.
Se cercherò qualcuno
per ritornare in me,
qualcuno che sorrida un po' sicuro,
che sappia già da sé
che non finisce mica il cielo...


“Roma capoccia”, A. Venditti
‘na carrozzella va co du stranieri

un robivecchi te chiede un po' de stracci

li passeracci so' usignoli;

io ce so' nato, Roma,

io t'ho scoperta stamattina...


“Mio padre ha un buco in gola”, A. Venditti
oh no, io non sono stato:
io ero in Germania.
Se qualcuno ha taciuto
certo è stato frainteso.
No no, io stavo cantando
in una strana stazione...
Quando lei è arrivato
stavo appunto pensando
“ma che strana persona
scommetto che sa già tutto”.
Può trovare i miei libri
perfino sotto il letto:
tutti i libri d'amore
e le poesie consigliate...


“Le tue mani su di me”, A.Venditti
una foglia stupida

cade a caso sull'asfalto e se ne va;

una fabbrica occupata sulle nuvole

e un fucile che rimpiange Waterloo.

Un bambino che domanda come è nato

si risponde sorridendo “chi lo sa”;

il bicchiere di cristallo sta cadendo

non amarmi, non amarti non ti riuscirà...


Il mio bagaglio per il 2008.
Ridotto. (il bagaglio)
Bisesto. (il 2008)

domenica 30 dicembre 2007

Ascolto odierno: visioni


«Al festival Slow-Folk di Bi-Milano
il complesso rock nostalgico di "trapple" meccanico
marcava lentamente le note di "Love me tender".
Ed Uncinoide latrò:
"C’è una fabbrichetta amore, nascosta in mezzo ai fiori"
Ma qualcuno disse: "Io sono un vero nostalgico".
Zampa Di Velluto gelò gli spettatori
con il suo pezzo forte "Lieta Sosta"
poi seguirono in fila "Ferma Scarpa" e "Blocca Stalla".
Ma nessuno capì niente
e la musica ruggiva sempre più forte.
...E le chitarre garrirono al vento
con lo stemma delle rispettive città:
Bi-Milano, Sotto-Roma, Nuova-Napoli.
Faccia Di Bronzo una Barbara leale
prima che il civile serpente venisse a torcersi accanto a lei
eseguì al fotopiano "Sono figlia di una spora vagante"
e poiché lei stessa era tutta la sua famiglia
il trio Fanamber contestò l’esibizione
ma il servizio di vigilanza
vigilava...
Ah io sono la tua ruota (scorta)
accarezza pure le mie porosità gommose
e serrami i dadi
e lucidami il cerchione
Oh io sarò la tua ruota (scorta)
io sarò la tua ruota di scorta
la tua ruota di scorta, la tua ruota di scorta...

E questo cantava Occhio Di Velluto, il prete Israeliano
dall’alto del suo hangar
mentre l’uomo di pezza gli tremava fra le mani
"Pregate fratelli" è la nuova canzone
prima in classifica
da circa quarant’anni.

Tutti aspettavano Heavy Pig il re del Punk Romantico
ma al suo posto si presentò il Sergente Osso Stanco
che eseguì una porcheria alla chitarra a smalto
e la chitarra era tutta stonata.
Ed il catrame coprì tutte le cose...»

(I. Graziani, 1978)

giovedì 27 dicembre 2007

Dunque.

Superato il periodo di festa. Mi veste sempre, come la prima volta, di una sensazione vagamente dolente, come certe domeniche passate in casa.
«È una nostalgia misera e misericordiosa, quella che mi colpisce. Malinconica. E non perché sia Natale, o perché oggi io sia vecchio.
È la malinconia racchiusa nei colori che se ne vanno da vecchie foto, o nei luoghi visitati molti anni fa, forse con altre persone, certamente con altri occhi.
La rincorsa ci ha resi folli.
Non sappiamo più scrivere lettere.
E mentre io mi arrampico in riva al mare, cercando un orizzonte più lontano e meno teso, le porte che si chiudono mi ricordano, tanto quanto quelle che restano socchiuse cigolando, cosa sono stato.
Forse
(talvolta)
sarebbe meglio essere
un cane
da compagnia.
Il resto del tempo no.»
(Riva del Garda, 26 dicembre, 11:50)
Quello appena passato è stato un bel Natale. Sereno, maturo.

martedì 25 dicembre 2007

Niente male...

...questi pacchi (con tutto ciò che signficano, e tutto ciò che ne consegue).

sabato 22 dicembre 2007

Indubbiamente, la più grande band di tutti i tempi.

Per testimoniare il mio stato di forma (tra due settimane in campo), regalo ai visitatori del mio blog il video di "You keep me hangin' on".
Una canzone delle Supremes.
Incredibile, merda.

venerdì 21 dicembre 2007

E sempre alegri bisogna stare

Il Manifesto - un manifesto, appunto. Una dichiarazione culturale: d'intenti, di prospettive. Di qualità della vita, o meglio, di ricerca di una certa qualità, per tutti. (pensiero di Piazza Duomo, forse sussurrato da Frank Zappa)

Che stordimento. Darò la colpa alla birra che, tra pochi istanti, mi scolerò (sul lavoro, naturalmente; travail oblige).
In fin dei conti, ho solo le mani screpolate. E ruvide lo sono sempre state. Legate; imbavagliate. Non so mai dove metterle, e così le parcheggio nelle tasche, o le stringo una nell'altra. Faccio sì che l'una carezzi l'altra con la scabrosità dei suoi (rossi) polpastrelli; l'altra freme, ma si ricompone subito, con un contegno tutto suo.
Brucio con un fiammifero: parto dalla testa.

A s-proposito: il proposito dell'agenda va a puttane, davanti all'ineluttabilità dei fatti. Ora ho un'agenda, pardon, un block notes, tutto nuovo e tutto nero, e non l'ho comprato io. Ma poco importa, in fin dei conti. Anzi, ne sono felice.
Grazie, Rachele.

«E sempre alegri bisogna stare
ché il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam...»

Nove piedi sotto terra


Pensiero (appuntato) delle 2:23, prima del primo sonno: "Sono fatto per essere adorato e poi massacrato. Come Kurtz."
Aggiungo ora: Non capisco nulla, solo che sono molto stanco. Voglio andare via. Ascolto solo questa dolce musica, questa Carovana; nove piedi sotto terra. E voglio andare via da questo imbroglio colorato. O colorarlo tutto di nero.

Approximately

«When your mother sends back all your invitations
And your father to your sister he explains
That you're tired of yourself and all of your creations
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?

Now when all of the flower ladies want back what they have lent you
And the smell of their roses does not remain
And all of your children start to resent you
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?

Now when all the clowns that you have commissioned
Have died in battle or in vain
And you're sick of all this repetition
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?

When all of your advisers heave their plastic
At your feet to convince you of your pain
Trying to prove that your conclusions should be more drastic
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?

Now when all of the bandits that you turned your other cheek to
All lay down their bandanas and complain
And you want somebody you don't have to speak to
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?»

(B. Dylan, “Queen Jane approximately”, 1965)

giovedì 20 dicembre 2007

Delirio di onnipresenza

Quest’uomo vi sembra pazzo?

Certamente lo è. Gli manca pure una “L” al cognome!
Lo sono anch’io.

Certamente.
(Prestigiatore cartomante rabdomante correttore di bozze bevitore di bozze.)
(La lingua: lo strumento più potente e preciso che abbiamo; spesso in bocca, in testa a deficienti. Come un bisturi nelle mani di un uomo affetto da morbo di Parkinson, di una vecchia, di un alcolista. Una vecchia alcolista con incipiente morbo di Parkinson dotata di rasoio Wilkinson.)
La mia prossima incarnazione sarà una scimmia urlatrice. Ma probabilmente non mi incarnerò più; cioè, non una seconda volta. Cos’è questa baggianata?
«Chiedimi perdono, per come sono
perché è così che mi hai voluto tu.
Prendimi per il collo, prendimi per mano
che non mi trovo più...»
Non si può stare seri, qui. Stamattina ero vestito di rosso e di verde; per questo pomeriggio ho scelto il grigio e il nero.
«I see a red door and I want it painted black
No colors anymore I want them to turn black
I see the girls walk by dressed in their summer clothes
I have to turn my head until my darkness goes»
Dicevo; non si può stare seri, al suono di un tale pomeriggio. Senza tirare in ballo il campo per campisti e tutto quel che ne consegue.
Quindi: non stiamo seri, perché c’è poco da ridere.

«Dammi da mangiare,
dimmi che posso stare qui.
Non ho soldi per pagare,
ma dimmi lo stesso di sì.
E ferma la tua testa nelle mie mani,
e poggia la tua mano dritta sulla mia schiena.
Dammi da mangiare,
è già ora di cena.
E noi guardiamo da questa finestra la luna.
Ci sono amori disordinati,
nel mio passato e nei tuoi passati
e notti come questa
passate a rubare.
Ci sono alberi sradicati
e occhi infiniti e cicatrici
che non voglio spiegare adesso.
Dammi da mangiare,
che ti preparo io.
Fammi venire in cucina
che ti cucino io.
E lascia che trascorra la notte
su quest'altra stazione,
e che nel buio possiamo sentire il respiro del termosifone.
Dammi da mangiare
che ti prendo il cuore.
Lasciami piangere,
lasciami fingere,
lasciami fare.
Ci sono amori dimenticati
nel mio passato e nei miei passati
e notti come questa,
passate a bruciare.
Ci sono figli desiderati
e fidanzati troppo educati
e sentimenti che non voglio fermare adesso.
Dammi da mangiare,
guarda quanta neve...
lascia qualche briciola fuori sul davanzale.»

Nota: oggi sto provando a curare il raffreddore, o meglio, a stapparmi il naso, con ammoniaca ed acetone. Non farà molto bene, ma pare funzionare. E dà anche un po' alla testa!

mercoledì 19 dicembre 2007

Comfortably numb 2 - preparo l'agenda

«Macchinista, macchinista, faccia sporca
metti l’olio nei stantufi,
di risaia siamo stufi
e a casa nostra vogliamo andar.»

Stanotte, alle 2:14 (con due maledetti punti di separazione, perché è quell’ora, e perché questo sta a significare), ho deciso:
“Domani comprerò una nuova agenda. È un gesto solitario, va compiuto in solitudine.”
È la prima volta che compro un’agenda per i miei appunti. Mi sono sempre state regalate. Questa volta credo proprio che sia necessario il necessario distacco. Riscatto. Boh.
L’altra l’ho conclusa con due pagine d’anticipo. “Ha finito il suo tempo”, mi sono detto, e l’ho messa nel cassetto, con dentro un braccialetto strappato (strappato da me a me, dal mio polso), un biglietto di Giulia e un sacco di pensieri.
Ora di voltare pagina. Macché, di cambiare libro. Di cambiare qualcosa, merda.
E poi è inverno, ormai.

«Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.

Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai, la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un'altra estate.

Anche la luce sembra morire
nell'ombra incerta di un divenire
dove anche l'alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.

Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l'amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.

La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l'inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un'alba antica.

Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti.»

Comfortably numb


Hello,
Is there anybody in there?
Just nod if you can hear me
Is there anyone at home
Come on now
I hear you're feeling down
I can ease your pain
And get you on your feet again
Relax
I'll need some information first
Just the basic facts
Can you show me where it hurts

There is no pain, you are receding
A distant ship smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can't hear what you're saying
When I was a child I had a fever
My hands felt just like two balloons
Now I've got that feeling once again
I can't explain, you would not understand
This is not how I am
I have become comfortably numb

O.K.
Just a little pin prick
There'll be no more aaaaaaaah!
But you may feel a little sick
Can you stand up?
I do believe it's working, good
That'll keep you going through the show
Come on it's time to go.

There is no pain you are receding
A distant ship smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can't hear what you're saying
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown
The dream is gone
And I have become
Comfortably numb.

Stanco (senza avere sonno)

Siamo davvero problematici. Quasi incomprensibili a noi stessi.
Mi sento attratto verso il mio passato e respinto dal mio futuro. Un passato che credo di non volere più; un futuro che credo non mi voglia, o che io non comprendo.
Quanta confusione, quanta polvere sui mobili, quante poltrone coperte dal cellophane. Vagheggiare, probabilmente, è vaneggiare.

Come si fa a volare via, se si hanno solo due scapole contratte e rattrappite?

martedì 18 dicembre 2007

Sono come -tu- mi vuoi, non sono come -tu- mi vuoi (?)

Certe volte ho la sensazione di parlare e non essere compreso; certe volte taccio, per non essere frainteso.
Il più delle volte parlo, in ogni caso.
Io sono fatto così.
Esattamente così: non c'è nulla di più onesto. (E forse di più marxista; questo, francamente, non lo so.)
Ecco.
(Questo non è un messaggio cifrato - e neppure Magritte!; solo una riflessione dal lavoro, nata osservando una ragazza che lavora al buio perché non sa dove sia l'interruttore, e dissimula in modo dolcemente puerile la sua delicata ignoranza.)

The soft parade

«When I was back there in seminary school
There was a person there
Who put forth the proposition
That you can petition the Lord with prayer
Petition the lord with prayer
Petition the lord with prayer
You cannot petition the lord with prayer!

Can you give me sanctuary
I must find a place to hide
A place for me to hide
Can you find me soft asylum
I can't make it anymore
The man is at the door

Peppermint miniskirts, chocolate candy
Champion sax and a girl named Sandy

There's only four ways to get unraveled
One is to sleep and the other is travel

One is a bandit up in the hills
One is to love your neighbor till
His wife gets home

Catacombs, nursery bones
Winter women growing stones
(Carrying babies to the river)

Streets and shoes, avenues
Leather riders selling news

(The monk bought lunch)

Ha ha, he bought a little
Yes, he did
Woo!
This is the best part of the trip
This is the trip, the best part
I really like
What'd he say?
Yeah!
Yeah, right!
Pretty good, huh
Huh!
Yeah, I'm proud to be a part of this number

Successful hills are here to stay
Everything must be this way
Gentle streets where people play
Welcome to the soft parade

All our lives we sweat and save
Building for a shallow grave
Must be something else we say
Somehow to defend this place
Everything must be this way
(Everything must be this way)

The soft parade has now begun
Listen to the engines hum
People out to have some fun
A cobra on my left
Leopard on my right

Deer woman in a silk dress
Girls with beads around their necks
Kiss the hunter of the green vest
Who has wrestled before
With lions in the night

Out of sight!

The lights are getting brighter
The radio is moaning
Calling to the dogs
There are still a few animals
Left out in the yard
But it's getting harder
To describe
Sailors
To the underfed

Tropic corridor
Tropic treasure
What got us this far
To this mild Equator?
We need someone or something new
Something else to get us through

Callin' on the dogs
Callin' on the dogs
Oh, it's gettin' harder
Callin' on the dogs
Callin' in the dogs
Callin' all the dogs
Callin' on the gods

Meet me at the crossroads
Meet me at the edge of town
Outskirts of the city
Just you and I
And the evening sky
You’d better come alone
You’d better bring your gun
We’re gonna have some fun

When all else fails
We can whip the horses' eyes
And make them sleep
And cry...»

Perché ciascun disco dei Doors mi commuove?
Credo sia colpa del mio modo anacronistico, decadente, lontano di vivere le cose. Di vivere la parata.

Big Brother and the Holding Company at Monterey (1967)

sabato 15 dicembre 2007

Sceso dal treno

...ma quant'è bella, questa Bologna?..

giovedì 13 dicembre 2007

Saluteremo il signor padrone

«Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto,
che ci ha sempre maltrattato
fino all'ultimo momen'.

Saluteremo il signor padrone
con la so' risera neta
niente soldi nella cassetta
e i debit da pagar.

Macchinista, macchinista faccia sporca
metti l'olio nei stantufi,
di risaia siamo stufi,
e a casa nostra vogliamo andar

Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto,
che ci ha sempre derubato
fino all'ultimo denar

Saluteremo il signor padrone
con la so' risera neta
niente soldi nella cassetta
e i debit da pagar.

Macchinista, macchinista del vapore
metti l'olio nei stantufi,
di risaia siamo stufi,
e a casa nostra vogliamo andar

Macchinista, macchinista faccia sporca
metti l'olio nei stantufi,
di risaia siamo stufi,
e a casa nostra vogliamo andar

Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto,
che ci ha sempre maltrattato
fino all'ultimo momen'.

Se otto ore vi sembran poche
provate voi a lavorar
e proverete la differenza
fra lavorare e comandar
e proverete la differenza
fra lavorare e comandar.»

Mago del flipper.

Ever since I was a young boy
I've played the silver ball
From Soho down to Brighton
I must have played them all
But I ain't seen nothing like him
In any amusement hall
That deaf, dumb and blind kid
Sure plays a mean pinball.

mercoledì 12 dicembre 2007

Credo di essere una Jelly Belly

Domanda: si ritiene possibile?
Ma che ore sono? Sono un po' stufo di viaggi immaginari. Annoiato. Sbadiglio e muovo piano la coda, come il famoso cane enorme. Colpetto di tosse. Toc toc. (Vado io.)

«Appoggiato sulle braccia, dietro al vetro d' un bicchiere,
alza appena un po' la faccia e domanda ancora da bere.
I rumori della strada filtran piano alle pareti,
dorme il gatto sulla panca e lo sporco appanna i vetri.
Cade il vino nel bicchiere poi nessuno più si muove
e non sai se fuori all'aria ci sia il sole oppur se piove.
E quell'uomo si ricorda e, per uno scherzo atroce,
quasi il vino gli dà forza, l'illusione gli dà voce.
E si alza sulle gambe, sbarra gli occhi e poi traballa,
come con i riflettori sopra il gesto delle braccia...
Ma si ferma all'improvviso e ricade giù a sedere,
torna l'ombra sul suo viso, torna il vino nel bicchiere.
E lontano, oltre, nel tempo, una folla misteriosa
è scattata tutta in piedi, grida: "Bravo, bene, ancora!"
Son tornati i riflettori sul suo viso e sulle mani,
si alza e accenna ad un inchino per quei pubblici lontani.
E più forte tra quei muri quella voce ora si è alzata
e fa tintinnare i vetri e rimbalza sulla strada...»

Da ritenersi: fortunati. Bravo, bene, ancora. Come la nausea.
E allora beccatevi questo.

http://it.youtube.com/watch?v=uhSYbRiYwTY

Questioni di fam(a)e

Noccioline per nutrire il mio (sedicente) genio, il mio ego.
Una nocciolina per i tuoi pensieri.

martedì 11 dicembre 2007

Risonanza Magnetica Nucleare

Il caldo è torrido, nella sala d’aspetto.
La sala d’aspetto è piena di signore anziane, pardon, di vecchie, che tengono addosso il loro cappotto, nonostante il caldo sia torrido.
Dietro il banco dell’accettazione siedono una ragazza giovane ed un grassone con i capelli rossi. Mi rivolgo a lui; e lui comincia a prenotarmi un secondo appuntamento - ma io ho già il mio! Quando glielo faccio notare, mi dice con tono sgarbatamente cortese di rivolgermi alla sua collega. La quale è molto, molto lenta, ed ha creato una coda di vecchie con il cappotto piuttosto lunga. Il mio anticipo, però, è provvidenziale. Non potrebbe essere altrimenti, all’ospedale S. Camillo. Provvidenziale. L’appuntamento è alle 10:30, e sono appena le 10:20. 25. Arriva il mio turno; molto rapidamente, mi trovo seduto sulle sedie rigide della sala. Sono tutti molto sgarbati: il grassone, gli sguardi delle vecchie, gli infermieri annoiati. 10:30. Il mio turno. Nessuno mi chiama. Passano i minuti. Osservo insistentemente i quadri delle Madonne, le riviste dell’ordine delle sorelle di S. Camillo, il Cristo alle spalle della ragazza e del grassone. Gesù Cristo; dovrò pagare 40 euro di ticket, inseguo il loro ritardo (perché mai fissare appuntamenti precisi?), e la loro religiosità passa tutta attraverso i loro modi sgarbati. Sgarbati. Non saprei come altrimenti definirli. Credete anche all’inferno, buoni cristiani?

domenica 9 dicembre 2007

Stasera a dormire presto.

Dunque: è domenica e la città è invasa da orde, sciami, branchi, tribù, cartelli, mandrie, turbe di turisti assatanati dal Natale, dal suo spirito (di vin brulé) e dalla frenesia di acquistare, visitare il mercatino di Natale, assaggiare, girare fra i banchi di una fiera (d S. Lucia) sotto tono, farsi travolgere da passeggini, dimenticare una domenica di calcio (ieri il Bologna ha vinto 1-0, ndr.). Soprattutto: ascoltare indiani americani -che l’anno scorso erano peruviani con il poncho-, con tanto di piume e belletti, suonare per la centoventitréesima volta i Sacred Spirit (ricordate “Ly o Lay Ale Loya”?).
Dicevo: è domenica e si avvicina il Natale. Ma la giornata è buona, sì, al punto che posso anche cucinare (se così si può dire).

Sono di buonumore (come testimonia la foto, espressione un po' ebete a parte; ma, che volete, pure l'ebetudine è, talvolta, sintomo di felicità).
(grazie...)

sabato 8 dicembre 2007

Caviglia, sgonfiati: te lo ordino!

La mia moto è quasi in riserva, ma stamattina non sono andato a fare il pieno. Non ne avevo voglia. È NOIOSO.
Stamattina la mia moto mi ha portato a zonzo, in cerca di Neo Borocillina Tosse, ed io mi sono fatto portare docilmente, cercando di essere delicato con la frizione, nella mano sinistra, e con il pedale del cambio, gelato dall’olio. Il piede mi fa ancora male, a pensarci bene; ma riesco a cambiare.
Sono felice. Mi sento fortunato. Trovare e ritrovare le persone: ho la sensazione di essere una boule che si sta riempiendo di acqua calda; prima o dopo potrà pure scaldare. Mi ha fatto bene, questo incontro. Perché? Perché no?

venerdì 7 dicembre 2007

Monday, monday


Ebbene sì: ascolto John Phillips e 'Mama' Cass Elliot e mi viene il buonumore.
Oggi mi sono impadronito, ancora una volta, del mio lavoro. Una riunione di quattro ore, quasi un vertice - se solo avessi avuto la cravatta. Riparto, ricomincio da dove mi sono fermato; con piani, intenzioni, propositi, energia.
Stasera, cioè tra un'ora, vedrò Giulia. Che strana sensazione, la sua voce al telefono; come di una bambina, una bambina felice di sentire la mia voce.
Una sensazione strana, come strano sarà incontrarla, stasera, tra un'ora.

«Monday, Monday, so good to me;
Monday morning, it was all I hoped it would be.
Oh, Monday morning, Monday morning couldn't guarantee
That Monday evening you would still be here with me.
Monday, Monday, can't trust that day;
Monday, Monday, sometimes it just turns out that way.
Oh, Monday morning, you gave me no warning of what was to be.
Oh, Monday, Monday, how could you leave and not take me?
Every other day, every other day
Every other day of the week is fine, yeah.
But whenever Monday comes - but whenever Monday comes
You can find me crying all of the time.
Monday, Monday, so good to me;
Monday morning, it was all I hoped it would be.
But Monday morning, Monday morning couldn't guarantee
That Monday evening you would still be here with me.
Every other day, every other day
Every other day of the week is fine, yeah.
But whenever Monday comes - but whenever Monday comes
You can find me crying all of the time.
Monday, Monday, can't trust that day;
Monday, Monday, it just turns out that way.
Oh, Monday, Monday, won't go away;
Monday, Monday, it's here to stay.
Oh Monday, Monday
Oh Monday, Monday»

Il comunismo spinale


Mitico.

Lacrime

Cazzo, amici.
Piango, per davvero, con le lacrime, per gli operai di Torino.
Sono stanco.

giovedì 6 dicembre 2007

In apertura di fine settimana: Benefit

(mentre ballo in ufficio, sulla mia poltroncina; mi guardano, non capiscono)

«In days of peace
sweet smelling summer nights
of wine and song;
dusty pavements burning feet.
Why am I crying, I want to know.
How can I smile and make it right?
For sixty days and eighty nights
and not give in and lose the fight.

I'm going back to the ones that I know,
with whom I can be what I want to be.
Just one week for the feeling to go
and with you there to help me
then it probably will.

I won't go down
acting the same old play.
Give sixty days for just one night.
Don't think I'd make it: but then I might.

I'm going back to the ones that I know,
with whom I can be what I want to be.
Just one week for the feeling to go
and with you there to help me
then it probably will.»

(grazie, Ian Anderson, grazie mille)

In coda: The show must go on

«Ooooh, Ma, Oooh Pa
Must the show go on?
Ooooh, Pa. Take me home
Ooooh, Ma. Let me go

There must be some mistake
I didnt mean to let them
Take away my soul.
Am I too old, is it too late?

Ooooh, Ma, Ooooh Pa,
Where has the feeling gone?
Ooooh, Ma, Ooooh Pa,
Will I remember the songs?
The show must go on.»

Bring the boys back home - bring the boy's back home

«Does anybody here remember Vera Lynn?
Remember how she said that
We would meet again
Some sunny day?
Vera! Vera!
What has become of you?
Does anybody else here
Feel the way I do?»

Sto scrivendo un racconto su un uomo di pezza.
O sull'uomo di rami.
È la stessa cosa - sono la stessa cosa.
"Io che ho te" alla radio: una partita di carte, in quattro; una bottiglia di vino. Bluff. Due bottiglie di vino.
Nel cuore.
(5 dicembre, 22:38)

«Hello?
Is there anybody in there?
Just nod if you can hear me.
Is there anyone at home?
Come on, now,
I hear you're feeling down.
Well I can ease your pain
Get you on your feet again.
Relax.
I'll need some information first.
Just the basic facts.
Can you show me where it hurts?

There is no pain you are receding
A distant ship, smoke on the horizon.
You are only coming through in waves.
Your lips move but I can't hear what you're saying.
When I was a child I had a fever
My hands felt just like two balloons.
Now I've got that feeling once again
I can't explain you would not understand
This is not how I am.
I have become comfortably numb.

O.K.
Just a little pinprick.
There'll be no more aaaaaaaaah!
But you may feel a little sick.
Can you stand up?
I do believe it's working, good.
That'll keep you going through the show
Come on it's time to go.

There is no pain you are receding
A distant ship, smoke on the horizon.
You are only coming through in waves.
Your lips move but I can't hear what you're saying.
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye.
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown,
The dream is gone.
I have become comfortably numb.»

mercoledì 5 dicembre 2007

Mother, did it need to be so high?

http://www.youtube.com/watch?v=WpN-R8RWnfY&feature=related

A quando vorrei rompere il muro, a quando vorrei costuirlo.

martedì 4 dicembre 2007

Naviganti - buonanotte

«Siamo stati naviganti
con l'acqua alla gola
e in tutto questo bell'andare
quello che ci consola
è che siamo stati lontani
e siamo stati anche bene
e siamo stati vicini
e siamo stati insieme.

Siamo stati contadini noi due
senza conoscere la terra
e piccoli soldati
senza amare la guerra,
ci hanno mandati lontano
senza spiegarci bene
e siamo stati male,
ma siamo ancora insieme.

Grandi corridori di corse in salita
che alzavano la testa dal manubrio
per vedere se fosse finita,
allenati alla corsa
allenati alla gara
e preparati a cadere
e a tutto quello che s'impara,
innamorati della sera
innamorati della luna
conoscitori della notte
senza averne paura,
innamorati di quel fiore
che non vuole mai dire:
ecco, è tutto finito
e bisogna partire.

Ma ora è il momento
di mettersi a dormire
lasciando scivolare il libro che
ci ha aiutati a capire
che basta un filo di vento
per venirci a guidare
perché siamo naviganti
senza navigare
mai.»

(I. Fossati, "Naviganti")

Alla fine del libro: una visione cattolica

«Andreas capì allora di essere morto e di trovarsi al cospetto del giudice divino. Ma ora non era più un ragazzo. In tutta la sala era l’unico in piedi tra mille persone inginocchiate. Mosse un passo in avanti e diede un colpo con la gruccia, che però non fece alcun rumore. Andreas si accorse di essere su una soffice nuvola. Gli venne in mente il discorso che si era preparato per l’udienza del tribunale terreno. Un’ira tremenda nacque nel suo petto, il suo volto si infiammò e l’anima sua concepì parole di collera purpurea, mille, diecimila, milioni di parole. Erano tutte parole che Andreas non aveva mai udito, né pensato, né letto, parole sopite profondamente in lui, tenute a freno dal suo povero intelletto, impedite miseramente sotto la cappa crudele della sua vita. Ma ora esse germogliavano e cadevano via da lui come fiori da un albero. Nel sottofondo si udiva una musica sommessa, e piena di solenne malinconia, Andreas la ascoltava insieme al mormorio del proprio discorso:
Dall’umiltà più devota mi sono destato alla sfida, rossa e ribelle. Dio, se io fossi vivo e non qui al Tuo cospetto, vorrei rinnegarTi. Ma giacché Ti vedo con i miei occhi e Ti sento con le mie orecchie, dovrò far di peggio che rinnegarTi: dovrò ingiuriarTi! Milioni di esseri come me, metti al mondo, Dio, nella Tua fecondissima insensatezza, ed essi crescono creduli e codardi, e nel Tuo nome sopportano le bastonate, nel Tuo nome salutano gli imperatori i monarchi e i governi, nel Tuo nome si fanno bucare dalle pallottole, infliggere ferite purulente, trafiggere il cuore da baionette a tre spigoli, oppure strisciano sotto il giogo delle Tue giornate lavorative, e le amare domeniche coronano di uno squallido smalto le loro atroci settimane, e hanno fame ma tacciono, e i loro figli avvizziscono, e le loro donne diventano brutte e false. Le leggi proliferano sul loro cammino come perfida gramigna, e i loro piedi si confondono nel garbuglio inestricabile dei Tuoi comandamenti, sicché cadono e Ti implorano, ma Tu non li sollevi. Le Tue mani candide dovrebbero essere rosse, il Tuo viso di marmo stravolto, e non dritto il Tuo corpo, ma curvo come quello dei miei compagni d’armi colpiti da una pallottola nella spina dorsale. Ad altri uomini, che Tu ami e nutri, è lecito castigare noi senza neanche l’obbligo di cantare le Tue lodi. A costoro Tu condoni preghiere e sacrifici, equità e umiltà, in modo che essi ci possano ingannare. Noi trasciniamo il peso delle loro ricchezze e dei loro corpi, dei loro peccati e dei loro castighi, noi li sgraviamo dei dolori e dell’obbligo di espiare, delle colpe e dei crimini, e purché essi lo vogliano, noi ci ammazziamo: se hanno voglia di vedere degli storpi, eccoci pronti a perdere le gambe che ci cascano giù dalle giunture, e se hanno voglia di vedere dei ciechi, noi docilmente ci facciamo accecare; se a loro non va a genio di essere ascoltati, noi diventiamo sordi; se vogliono essere i soli a poter gustare e odorare, noi lanciamo una granata contro il nostro naso e la nostra bocca, e se vogliono essere i soli a mangiare, noi maciniamo la farina per loro. Ma Tu che ci sei perché non Ti muovi? Contro Te mi ribello, non contro quelli. Tu sei il colpevole, non I Tuoi scherani. Possiedi milioni di mondi, e non ai cosa fare? Com’è impotente la Tua onnipotenza! Hai da sbrigare miliardi di cosa, e alcune le sbagli? Ma che Dio sei, allora! Se la Tua crudeltà è una saggezza che noi non comprendiamo, allora sì che ci hai fatti imperfetti! Se siamo condannati a soffrire, perché non soffriamo tutti nella stessa misura? Dato che le Tue benedizioni non bastano per tutti, distribuiscile almeno con equità! Io sono un peccatore... Eppure volevo fare del bene. Perché non mi hai lasciato dar da mangiare agli uccellini? E sei Tu che li nutri, lo fai davvero male! Ahimè, volevo rinnegarTi e potrei ancora farlo. Ma Tu sei qui unico, onnipotente, inesorabile, l’istanza suprema, eterna... e non si può sperare che il castigo Ti colga, che la morte Ti svapori in una nuvola, e neppure che il Tuo cuore si desti. La Tua grazia non la voglio! Mandami all’inferno!»

(J. Roth, “La ribellione”, trad. R. Colorni)

lunedì 3 dicembre 2007

Otto ore

Quando “La ribellione” di Joseph Roth prende una piega che porta verso l’epilogo del libro e della storia del protagonista, lui, Andreas Pum, si ritrova in prigione, per sei settimane. In una cella buia, nella quale l’unica finestra è posta in alto, in posizione quasi irraggiungibile, almeno per uno storpio, e cioè per lo stesso Andreas. Nella permanente oscurità, e quindi semi-privato della vista, o almeno della vista dei colori, della percezione chiara dei perimetri, Andreas sviluppa, come i ciechi, l’udito; riesce così a capire, per lo meno nel suo immaginario, cosa accade fuori dalla prigione, in quel mondo che ha mutilato la sua Persona, che l’ha messa al margine, rifiutata - in quel mondo, insomma, in rivoluzione e contro-rivoluzione.
Io ho un’ottima vista, lo sanno tutti. Ciononostante, adoro assaggiare, toccare, annusare, ascoltare: i brividi, l’acredine dolciastra, la lingua che s’allarga o la testa che si stringe sulla nuca come un limone.
Amo tastare gli oggetti: percepirne il freddo lucido, la ruvidezza arrossante, il loro imbarazzo molle o la durezza inflessibile. Fare entrare in discussione i diversi sensi: Come può un tubo rosso essere così freddo? Ed è quello che sento adesso, su questa lastra, ciò che si chiama “calor bianco”?
Così, ho sempre infilato il naso negli odori. Nelle tazze, sui pistilli, tra i banchi del mercato - nell’aria del mattino. I pochi momenti nei quali il raffreddore mi dà tregua sono attraversati dallo stordimento di milioni di colori ventosi.
Ultimamente, poi, sto incontrando persone caratterizzate da odori particolari; alcuni mi piacciono, taluni molto, altri no.
Si sa, la discriminazione passa anche attraverso il naso.

domenica 2 dicembre 2007

Comunicazione

In accordo con la Signorina T., e con il buonsenso, vi comunico che durante la settimana che sta per iniziare mi impegnerò a dormire più di 4 ore e 1/2, e non meno di 7, a notte.
Avete suggerimenti per il nome da dare a questo progetto "narcotico/onirico"?

venerdì 30 novembre 2007

Viva i Doors e le navi di cristallo

Non avrei mai pensato di dover ringraziare "TV Sorrisi e canzoni".

«Before you slip into unconsciousness
I'd like to have another kiss
Another flashing chance at bliss
Another kiss, another kiss

The days are bright and filled with pain
Enclose me in your gentle rain
The time you ran was too insane
We'll meet again, we'll meet again

Oh tell me where your freedom lies
The streets are fields that never die
Deliver me from reasons why
You'd rather cry, I'd rather fly

The crystal ship is being filled
A thousand girls, a thousand thrills
A million ways to spend your time
When we get back, I'll drop a line»

(e stavolta ci sono dei riferimenti)
Mi fa male il piedino, amici; qualcuno ha della morfina?
Se solo, solo avessi copiato “Strange days”... Vorrà dire che lo butterò nel cofanetto. Nell’organetto: e poi girerò la manovella, con ritmo preciso, e muoverò le gambe a ritmo, come se fossero le canne vibranti di un organo (elettrico!).
Prendo l’autostrada per il termine della notte.

giovedì 29 novembre 2007

Esiste la lotta di classe? E, se no, come si chiama la rabbia che sento?

«Mi domandavo, mi domandavo: la lotta di classe, la lotta politica, ideologica; la lotta culturale, in buona sostanza. Quella che ci pone, inevitabilmente in conflitto. Mi domandavo, dicevo: davvero la lotta di classe non è attuale?
Io, personalmente, la vivo tutti i giorni. Credo di viverla? Meglio che credere in qualche dio che premi o punisca, vezzosamente.
Le mie tradizioni culturali sono l'eruzione del vulcano, il suono del gong, il tuono che fa fremere il vapore. Esistono ancora le classi sociali, e sono diventate classi socio/culturali; la distinzione, il divario, il cozzare sono ancora più forti che trent'anni, quarant'anni fa. All'epoca, si accusavano gli intellettuali di essere snob; ritengo che ora, ai nostri giorni, pur non potendo definirci "intellettuali", noi abbiamo il dovere di essere snob. Di indignarci. Di fare cultura.»

(le mani si muovono sul tavolo, il microfono viene spento, la puntina del giradischi inizia a gracchiare:)

«Us, and them
And after all we're only ordinary men.
Me, and you.
God only knows it's not what we would choose to do.
Forward he cried from the rear
and the front rank died.
And the general sat and the lines on the map
moved from side to side.
Black and blue
And who knows which is which and who is who.
Up and down.
But in the end it's only round and round. And round.
Haven't you heard it's a battle of words
The poster bearer cried.
Listen son, said the man with the gun
There's room for you inside.

"I mean, they're not gunna kill ya, so if you give 'em a quick short,
sharp, shock, they won't do it again. Dig it? I mean he get off
lightly, 'cos I would've given him a thrashing - I only hit him once!
It was only a difference of opinion, but really...I mean good manners
don't cost nothing do they, eh?"

Down and out
It can't be helped but there's a lot of it about.
With, without.
And who'll deny it's what the fighting's all about?
Out of the way, it's a busy day
I've got things on my mind.
For the want of the price of tea and a slice
The old man died.»


(suvvia, versate una piccola lacrima per un disperato, fratelli miei)

Epitaph


«The wall on which the prophets wrote
Is cracking at the seams.
Upon the instruments of death
The sunlight brightly gleams.
When every man is torn apart
With nightmares and with dreams,
Will no one lay the laurel wreath
As silence drowns the screams.

Between the iron gates of fate,
The seeds of time were sown,
And watered by the deeds of those
Who know and who are known;
Knowledge is a deadly friend
When no one sets the rules.
The fate of all mankind I see
Is in the hands of fools.

Confusion will be my epitaph.
As I crawl a cracked and broken path
If we make it we can all sit back
and laugh.
But I fear tomorrow I'll be crying,
Yes I fear tomorrow I'll be crying.»

("In the court of the Crimson King", 1969)

mercoledì 28 novembre 2007

Durante la zuppa di pesce

«Ma alla fine perché mai ogni problema dovrebbe avere una soluzione? Esistono problemi che non ne hanno una.»

(A. Moravia)

Sempre di notte

Cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
Attesa.
Idee.
Disperazione.
Desiderio.
L'abito
non fa il monaco.

martedì 27 novembre 2007

Due mesi, ovvero: viva la rivoluzione.


27 settembre:
* 489 - Odoacre attacca Teodorico nella Battaglia di Verona, e viene sconfitto nuovamente
* 1331 - Battaglia di Plowce tra il Regno di Polonia e i Cavalieri Teutonici
* 1540 - L'Ordine dei Gesuiti riceve i proprio statuto da Papa Paolo III
* 1787 - La Costituzione degli Stati Uniti viene consegnata agli stati per la ratifica
* 1821 - Il Messico ottiene l'indipendenza dalla Spagna
* 1825 - Apertura della Ferrovia Stockton-Darlington. Prima locomotiva a spingere un treno passeggeri
* 1854 - La nave a vapore Arctic affonda con 300 persone a bordo. È il primo grande disastro nell'Oceano Atlantico
* 1908 - Viene costruita la prima Ford Modello T
* 1915 - La nave da battaglia Italiana Benedetto Brin venne sabotata e affondata nel porto di Brindisi uccidendo oltre 400 marinai
* 1922 - Abdicazione di Costantino I di Grecia
* 1928 - La Repubblica Cinese viene riconosciuta dagli Stati Uniti
* 1938 - Il transatlantico Queen Elizabeth viene varato a Glasgow
* 1939 - Seconda guerra mondiale: la Polonia si arrende alla Germania Nazista e all'Unione Sovietica
* 1940 - Il Patto tripartito viene firmato a Berlino da Germania nazista, Impero giapponese e Italia fascista
* 1942 - Glenn Miller e la sua orchestra si esibiscono per l'ultima volta prima che Miller entri nell'esercito statunitense
* 1949 - Prima sessione plenaria del Congresso Nazionale del Popolo, viene approvato il disegno della bandiera della Repubblica Popolare Cinese
* 1964 - Pubblicato il rapporto della Commissione Warren, che conclude che Lee Harvey Oswald, agendo da solo, assassinò il presidente John F. Kennedy
* 1970 - La Giornata Mondiale del Turismo (WTD) è celebrata a livello mondiale ogni 27 settembre, una data che è stata scelta in coincidenza con un importante pietra miliare per il turismo mondiale, l'anniversario dell'adozione dello statuto dell'Organizzazione Mondiale del Turismo il 27 settembre 1970
* 1980 - A Londra Marvin Hagler sconfigge Alan Minter per KO in tre round, diventando campione del mondo dei pesi medi. Hagler, Minter e Vito Antuofermo, che aveva gareggiato lo stesso giorno, devono essere scortati fuori dal ring da Scotland Yard a causa di una rissa scoppiata nel palazzetto
* 1983 - Richard Stallman annuncia la nascita del Progetto GNU
* 1996 - In Afghanistan, i Talebani catturano la capitale Kabul, dopo aver scacciato il Presidente Burhanuddin Rabbani ed aver giustiziato Mohammad Najibullamh
* 1997 - La Mars Pathfinder termina il suo straordinario compito su Marte.Fu il primo rover sul pianeta
* 1998 - Nasce il motore di ricerca Google
* 2001 - Viene fondata l'Associazione Attendiamoci O.N.L.U.S.
* 2002 - Timor Est entra nelle Nazioni Unite
* 2003
o SMART-1.
o A Roma, in collaborazione con il comune di Parigi, si tiene la I edizione della Notte Bianca

27 novembre:
* 399 - Sant'Anastasio I diventa Papa
* 1095 - Papa Urbano II dichiara la Prima Crociata al Concilio di Clermont
* 1703 - Il primo Faro di Eddystone viene distrutto da una tempesta
* 1839 - A Boston (Massachusetts), viene fondata la American Statistical Association
* 1863 - Guerra di secessione americana: Il comandante della cavalleria confederata John Hunt Morgan, e diversi dei suoi uomini, evadono dalla prigione di stato dell'Ohio e tornano sani a salvi al Sud
* 1868 - Guerre indiane: Battaglia di Washita River - George Armstrong Custer, tenente colonnello dell'esercito statunitense, guida un attacco contro un gruppo di pacifici Cheyenne che vivono nelle riserve
* 1895 - Alfred Nobel sottoscrive il proprio testamento, con il quale istituisce i riconoscimenti oggi noti come Premio Nobel.
* 1912 - La Spagna dichiara un protettorato sulle coste settentrionali del Marocco
* 1922 - Howard Carter e Lord Carnarvon diventano le prime persone dell'era moderna ad entrare nella tomba del faraone egiziano Tutankhamon
* 1940 - In Romania, le Guardie di ferro del Generale Ion Antonescu arrestano e giustiziano oltre 60 degli aiutanti del re in esilio Carol II di Romania, compresi ex ministri e il noto storico Nicolae Iorga
* 1941 - Con la resa di Gondar, l'Italia abbandona l'Africa orientale
* 1946 - Guerra Fredda: Il primo ministro Indiano Jawaharlal Nehru si appella a Stati Uniti ed Unione Sovietica per cessare i test nucleari e iniziare il disarmo nucleare, dichiarando che una tale azione "salverebbe l'umanità dal disastro finale"
* 1965 - Guerra del Vietnam: Il Pentagono dice al presidente statunitense Lyndon B. Johnson, che per far si che le operazioni pianificate abbiano successo, il numero di soldati americani in Vietnam deve essere incrementato da 120.000 a 400.000
* 1971 - la sonda russa Mars 2 raggiunge Marte, ma non ottiene alcun dato utile
* 1973 - Il Senato degli Stati Uniti vota 92 a 3 per la conferma di Gerald Ford come Vice Presidente degli Stati Uniti (il 6 dicembre, la Camera lo confermerà con 387 voti a 35)
* 1978 - A San Francisco, il sindaco George Moscone e il supervisore cittadino Harvey Milk vengono assassinati dall'ex supervisore Dan White
* 1990
o Il Partito conservatore britannico sceglie John Major come successore di Margaret Thatcher a Primo Ministro del Regno Unito
o Unione Europea: L'Italia firma gli Accordi di Schengen
* 1991 - Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta la Risoluzione ONU 721, che porta alla creazione di operazioni di peacekeeping in Jugoslavia
* 2002 - Nazioni Unite: Hans Blix diventa responsabile degli ispettori inviati in Iraq nell'ambito della Risoluzione ONU 1441, riguardante le armi di distruzione di massa detenute da quel paese, mentre Mohamed ElBaradei diventa capo degli ispettori ONU e della IAEA nell'ambito della stessa Risoluzione ONU 1441 per il disarmo delle armi di distruzione di massa
* 2004 - Italia: si svolge la quarta edizione del Linux Day in 100 città sparse su tutto il territorio nazionale.
* 2005 - Il fiume Tevere esonda in Umbria e a Roma raggiunge i 12 metri, livello record che viene superato solo dai 12 metri e 41 centimetri del 1986

Ancora lei.

Sveglia alle 7:30, come al solito. Più sveglio del solito, però; e non a torto.
Esco di casa presto, in effetti, per passare in edicola e far mia una copia di “TV Sorrisi e canzoni” (!). Inizia oggi, infatti, con l’ambigua rivista, la raccolta di una serie di lp digitali degli amati Doors: ecco la spiegazione della sveglia vigorosa, del sorrisino indelebile che porto al cospetto dell’edicolante, del cappotto tipico delle grandi occasioni.
Il disco, a dire il vero, non è ancora arrivato, mi spiega l’edicolante, roteando in cielo il suo braccio ingessato. Ringrazio e rimonto in macchina, senza perdere il buonumore, alimentato (in questo caso) dall’attesa.
Il cielo ha un aspetto limpidamente sornione, stamane, e non è mattina per fare la solita strada, la consueta tangenziale esterna: sceglierò la via che di solito percorro in moto, e che taglia la collina attraverso quelle che un tempo erano zone residenziali, ed ora quasi dormitori.
Le prime curve sono molto rapide; guido veloce, stamattina, e la strada vuota è un invito a far gracchiare sommessamente i pneumatici.
Una curva a sinistra, una a destra... a destra: una macchina nera in mezzo alla strada. Ho un deja vù. Ero in moto, però, allora. Ero in terra, la moto era in terra, la mia borsa a qualche metro.
Ancora lei! Ancora in mezzo alla strada, con quella sua stessa faccia da cagna maltrattata, carica di trucco come un Pierrot! Scalo una marcia, rallentando; la salita aiuta. La guardo; lei guarda avanti, impassibile, con la sua espressione vacua e vagamente ebete.
Sorrido fra me e me; mormoro “maledetta puttana”, scuotendo la testa. Devo ricordarmi di non fare questa strada; sogghigno.

lunedì 26 novembre 2007

Hey you

«Hey you! Out there in the cold
Getting lonely, getting old, can you feel me?
Hey you! Standing in the aisles
With itchy feet and fading smiles, can you feel me?
Hey you! Don’t help them to bury the light
Don’t give in without a fight.
Hey you! Out there on your own
Sitting naked by the phone, would you touch me?
Hey you! With your ear against the wall
Waiting for someone to call out, would you touch me?
Hey you! Would you help me to carry the stone?
Open your heart, I’m coming home.
But it was only fantasy
The wall was too high, as you can see
No matter how he tried he could not break free
And the worms ate into his brain.
Hey you! Out there on the road
Doing what you’ve told, can you help me?
Hey you! Out there beyond the wall
Breaking bottles in the hall, can you help me?
Hey you! Don’t tell me there’s no hope at all
Together we stand, divided we fall.»

(R. Waters, 1979)

Giunto il giusto tempo


Un... due... tre...
Guzzi!
(dopo quasi due mesi!)

domenica 25 novembre 2007

Tremolio di giganti

«Si era in attesa di una commissione sanitaria che doveva decidere sui fondi dell’ospedale, sulla non idoneità al lavoro dei ricoverati, nonché sul loro sostentamento. Una voce arrivata da altri ospedali sosteneva che lì sarebbero rimasti solo quelli che tremavano in tutto il corpo. Agli altri avrebbero dato una somma di denaro e forse una licenza per chiedere l’elemosina con un organetto a manovella. Neanche parlarne, dunque, di una rivendita di francobolli o di un posto di custode in un museo.
Andreas cominciò a rammaricarsi di non tremare in tutto il corpo. Tra i centocinquantasei ricoverati del XXIV ospedale da campo uno solo tremava, e tutti lo invidiavano. Era un fabbro che si chiamava Bossi, di origine italiana, nero, truce e con le spalle larghe. Una pesante ciocca di capelli gli scendeva sugli occhi e minacciava di estendersi su tutta la faccia, di invadere la fronte bassissima e di arrivare a coprire le guance per poi congiungersi con la barba arruffata.
Il male di Bossi non attenuava lo spaventoso effetto della sua forza fisica, anzi la rendeva ancora più sinistra. Quando corrugava la fronte, quasi la faceva scomparire fra le sopracciglia cespugliose e l’attaccatura dei capelli. Gli occhi verdi uscivano dalle orbite, la barba vibrava, si sentivano sbattere i denti. Le gambe possenti si piegavano in dentro fino a quando stabilivano un breve contatto tra le rotule, ma subito dopo scattavano di nuovo in fuori, le spalle erano scosse da grandi e violenti sussulti, e intanto il capo poderoso seguitava ostinatamente a oscillare piano, come per dire no, simile in tutto alla testa penzolante delle donne anziane. I movimenti ininterrotti del suo corpo impedivano al fabbro di parlare con chiarezza. Schizzavano dalla sua bocca frasi smozzicate, sputava qualche parola singola, e poi, dopo un attimo di silenzio, ricominciava da capo. Che un uomo così robusto e possente non potesse fare a meno di tremare in quel modo rendeva la ben nota malattia più paurosa ancora di quanto già non fosse. Tutti quelli che vedevano come il fabbro tremava erano presi da una grande tristezza. Era come un colosso vacillante su un terreno malsicuro. Tutti aspettavano un crollo che sembrava imminente e non veniva mai. Era incredibile che un uomo di quella stazza dovesse dondolare di continuo senza rovinare al suolo; se finalmente fosse crollato a terra, per lui e per chi gli era vicino sarebbe stata una liberazione. In presenza di Bossi, perfino gli invalidi più disgraziati, quelli colpiti alla spina dorsale, si sentivano invasi da una paura sconfinata, come di fronte a una catastrofe incombente che però non si decide ad esplodere; eppure se esplodesse sarebbe una liberazione.
Chiunque lo vedesse, sentiva il bisogno di assisterlo e nello stesso tempo si rendeva conto della propria impotenza. Dover ammettere che non si poteva soccorrerlo in nessun modo era assai doloroso, e dava anche un senso di vergogna. Veniva voglia, dalla vergogna, di mettersi a tremare. La malattia di Bossi contagiava gli osservatori, che alla fine se la squagliavano, scappavano via, ma non riuscivano a togliersi dalla mente l’immagine di quel gigante che tremava.»

(J. Roth, “La ribellione”, trad. R. Colorni)

Basta pioggia, grazie.

"Sunshine is creeping in
And somewhere in a field a life begins
An egg too proud to rape
The beginning of a shape of things to come
That starts the run
Life has begun
Fly fast the gun

The mother flew too late
And life within the egg was left to fate
Not really knowing how
The world outside would take it when it came
And life's the same
For things we aim
Are we to blame?

Don't doubt the fact there's life within you
Yesterday's endings will tomorrow life give you
All that dies
Dies for a reason
To put its strength into the seasons
Survival,
Survival
They take away and they give
The living's right to live (its all that we need to give)
The living's right to know

The egg breaks all is out
The crawling bird begins to scream and shout
Where is the parent bird?
A loneliness arose and heard its name - ring in
For lives, begin
Survival win
Survival sin

So soon the evening comes
And with it runs the aching fear of hate
Could someone still remain
Who thinks he still could gain by escaping fate?
It's much too late
Don't underrate
Appreciate

Don't doubt the fact there's life within you
Yesterday's endings will tomorrow life give you
All that dies
Dies for a reason
To put its strength into the seasons
Survival,
Survival
They take away and they give
The living's right to live (its all that we need to give)
The living's right to know

Survival,
Survival
They take away and they give
The living's right to live (its all that we need to give)
The living's right to know (its all that we have to show)
And we're all going (And we're all going)
And we're all going (And we're all going)
And we're all going somewhere"

("Yes", 1969)

(la canzone del mio ridanciano ritorno a casa)

sabato 24 novembre 2007

Uh-oh.

Cazzo.
Cazzo.
Cazzo.
Che botta.
Cazzo.

Vagoni solitari

Bisogna puzzare molto per ballare la lap dance in metropolitana.

Mitico!

venerdì 23 novembre 2007

Bene

«Bene,
se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia,
sono tuoi.
Ma è inutile cercarmi sotto il tavolo,
ormai non ci sto più.
Ho preso qualche treno, qualche nave
o qualche sogno, qualche tempo fa.
Ricordo che giocavo coi tuoi occhi
nella stanza e ti chiamavo "mia"
ben oltre la coperta ad uncinetto
c'era il soffio della tua pazzia,
e allora la tua faccia vietnamita
ricordava tutto quel che ho.
E adesso puoi richiuderti nel bagno
a commentare le mie poesie,
però stai attenta a tendermi la mano
perché il braccio non lo voglio più,
mia madre è sempre lì che si nasconde
dietro i muri e non si trova mai
e i fiori nella vasca sono tutto quel resta
e quel che manca,
tutto quel che hai,
e puoi chiamarmi ancora "amore mio".
E qualche volta aspettami sul ponte,
i miei amici sono tutti là,
con lunghe sciarpe nere ed occhi chiari,
hanno scelto la semplicità.
Se Luigi si sporge verso l'acqua
sono solo fatti suoi. E ancora mille volte,
mille anni, ci scommetto, mi ringrazierai,
per quel sorriso ladro e per i giochi,
i mille giochi che sapevi già.
E ancora mi dirai che non vuoi essere cambiata,
che ti piaci come sei.
Però non mi confondere con niente
e con nessuno e vedrai, niente,
nessuno, ti confonderà,
nemmeno l'innocenza nei miei occhi,
ce n'è già meno di ieri, ma che male c'è.
Le navi di Pierino erano carta di giornale,
eppure, guarda: sono andate via,
magari dove tu volevi andare
ed io non ti ho portato mai.
E puoi chiamarmi ancora "amore mio".»

("Francesco De Gregori", 1974)

Il teatro della disillusione: la vanità di mangiafuoco

«Come un animale in gabbia. Un animale di una certa età. Che so, un leone con la laringite. Un babbuino con l’artrosi.
Se fossi un palloncino, adesso, avrei la forma dello Zeppelin. E sarei enorme. Sfuggirei dalle mani del bambino che mi compra, oppure lo trascinerei con me. Fino ad un certo punto, almeno; il sole scalda troppo, e non ho messo la crema.
(Neppure sulle mani, che si spaccano come il ghiaccio.)
Ho iniziato a leggere “La ribellione”, ieri sera. La prima pagina è incantevole dal punto di vista narrativo. Mi sono addormentato, però, quasi subito, per svegliarmi in mezzo alla notte e rendermi conto del libro chiuso e della luce accesa.
È stato in quell’istante che il pugile si è alzato ed è andato in bagno. A togliere la saliva dalla faccia, forse. Sono stanco, molto stanco. Quasi mi gira la testa. Ma che ci faccio, io, qui, a guardare la pioggia (che ora s’è liberata), attraverso una veneziana al neon?
Mi penso mentre, vestito da marinaio (alla Paperino, per intenderci), sbircio attraverso un oblò e vedo il mare bagnare e asciugare il vetro opaco. Soffio in una trombetta a spirale e lei va a sbattere contro l’oblò, e si piega. Anche il suono si piega; si incrina, e suona l’inizio del suo requiem per la spirale spezzata.
Invece guardo solo la pioggia, recitando il mio teatro, vestito di verdone. [...]»

(Provaglio d’Iseo, 21 novembre, 13:42)

«[...] Siete pratici di Roma? Mi piacerebbe esserlo. Mi piacerebbe essere a Roma, ora. Fra i Campi Elisi e la Grande Arche. Sulla Rambla de Raval.
È più bella Buda o Pest?
In questo momento vorrei che le mie mani potessero ridurre duemila anni di cristianità a sedici vestali ed una penna stilografica.
[Usavo sempre la stilografica, da bambino. Ero un bambino decisamente stilografico; un esperto di inchiostri da rovesciare. Usavo anche il pennino. Forse è per questo che ascolto i Procol Harum.]
Ecco, mi sono distratto troppo a lungo. Non so più cosa stia accadendo, scorrere del tempo a parte. Sono le undici e un quarto. Se spara il cannone di Mary Poppins, tutto va bene per il Barone von Trapp.»

(Provaglio d’Iseo, 22 novembre, 10:55)

«[...] Ora ho deciso deliberatamente di distrarmi nelle divagazioni, perché sono stanco di questa prigione di neon proiettati che mi separa dall’acqua. Della noia che mi ruba la strada.
Potrei mettermi in macchina e guidare verso una meta non precisata, fino, almeno, alla fine del carburante. Poi fermare la macchina nella cortina e restare dentro, con le mani sul volante, aspettando che succeda qualcosa.
Cosa potrebbe accadere?
Quale passante si interesserebbe ad un piccolo uomo che tiene le mani sul volante di una macchina spenta? Pensionati e cani, prostitute, poliziotti? Sarei senza riferimenti, ma forse non più, né meno, di adesso. Semplicemente in un luogo diverso. Metaspaziale. Un luogo di transito. Sarei una scheggia in un transiente, una scintilla sul gas di una cucina deserta: una scintilla che esiste, è esistita, ma non per il mondo umano, perché non ha testimonianza.»

(Provaglio d’Iseo, 22 novembre, 12:07)

«[...] Ancora in attesa; le mamme imbiancano.
Sento già il fischio del vapore, il rombo del motore. Il volante fra le mani. La strada sotto i piedi. Come in un’altra generazione. Senza bussola.

Conto le pecorelle che, lente, avanzano verso la fabbrica di lecca-lecca. Hanno il pelo bagnato ed i denti in vista; alcune di esse indossano casacche sgargianti, altre orecchini che sono campanelle. Gioghi e lattine attaccate a fili.
Mi metto in fila.»

(Provaglio d’Iseo, 22 novembre, 14:00)

Un dio giusto: un dio di governo

“Le baracche del XXIV ospedale da campo sorgevano al margine della città. Per arrivare all’ospedale, dal capolinea del tram, un uomo sano ci avrebbe impiegato una mezz’ora camminando spedito. Il tram portava nel mondo, nella grande città, nella vita. Ma i malati del XXIV ospedale da campo quel capolinea non potevano raggiungerlo.
Erano ciechi o paralitici. Zoppicavano. Una pallottola li aveva colpiti alla spina dorsale. Aspettavano un’amputazione o erano già amputati. La guerra era finita ormai da un pezzo. Avevano dimenticato le istruzioni, il sergente, il signor capitano, la compagnia in marcia, il cappellano militare, il genetliaco dell’imperatore, il rancio, la trincea, l’assalto. La loro pace col nemico era firmata. E già si attrezzavano a sostenere una nuova guerra: contro i dolori, le protesi, le membra storpiate, la schiena curva, le notti insonni; e contro i sani.
Soltanto Andreas Pum era soddisfatto di come andavano le cose. Aveva perso una gamba e ricevuto una decorazione. Molti non avevano decorazioni benché avessero perduto ben più di una gamba. Erano senza gambe e senza braccia. Oppure erano condannati in un letto perché avevano il midollo spinale spappolato. Andreas Pum era contento quando vedeva che gli altri soffrivano.
Credeva in un Dio giusto. Il suo Dio distribuiva pallottole nella spina dorsale, amputazioni, ma anche medaglie a chi se le meritava. A pensarci bene, la perdita di una gamba non era poi così grave, e grande la fortuna di avere ottenuto una decorazione. Gli invalidi potevano contare sul rispetto del mondo, gli invalidi con decorazione sul rispetto del governo.
Il governo è una cosa che sta sopra gli uomini, così come il cielo sta sopra la terra. Ciò che viene dal governo può essere un bene o un male, ma è comunque una cosa grande, ultrapotente, insondata e insondabile, benché talvolta risulti comprensibile anche alla gente comune.
Alcuni commilitoni imprecano contro il governo. Secondo loro dal governo non hanno ricevuto altro che torti. Come se la guerra non fosse una necessità! Come se i dolori, le amputazioni, la fame e la miseria non fossero le sue logiche e inevitabili conseguenze! Che cosa pretendevano? Erano uomini senza Dio, senza Imperatore, senza Patria. Insomma, dei pagani. «Pagani»: non c’è termine migliore per coloro che si oppongono a tutto ciò che viene dal governo.”

(J. Roth, “La ribellione”, trad. R. Colorni)

Al mattino

Mi sveglio come da un sogno.
C'è voluto un po' a capire, ma credo che quasi ci siamo.
Grazie a tutti.

Ho rotto lo specchio?

"Very superstitious, writings on the wall,
Very superstitious, ladders 'bout to fall,
Thirteen month old baby, broke the lookin' glass
Seven years of bad luck, the good things in your past.

When you believe in things that you don't understand,
Then you suffer,
Superstition ain't the way.

Very superstitious, wash your face and hands,
Rid me of the problem, do all that you can,
Keep me in a daydream, keep me goin' strong,
You dont wanna save me, sad is my song.

When you believe in things that you don't understand,
Then you suffer,
Superstition ain't the way, yeh, yeh.

Very superstitious, nothin' more to say,
Very superstitious, the devils on his way,
Thirteen month old baby, broke the lookin' glass,
Seven years of bad luck, good things in your past

When you believe in things that you don't understand,
Then you suffer,
Superstition ain't the way, no, no, no."

Ho rotto me stesso. Mi sa. Che pena.

giovedì 22 novembre 2007

Frastornato

Ma sono stato bene, e di questo ti ringrazio.
Mi hai aiutato, non fosse altro, a superare Giulia. Ora sono oltre.
Spero che anche a te, in qualche misura, questa parentesi (che ancora non ha costruito i suoi contorni) sia servita.
Ora voglio pensare, per non farmi troppo male, che sei stata, in parte, la costruzione di questa testa che non dorme mai, e che talvolta farebbe bene a dormire. Sei stata reale e irreale; comunque bella. Ora voglio pensare che siamo stati un po' pazzi, ma sinceri. Che non abbiamo, praticamente, iniziato, ma neppure finito. Che siamo stati, forse siamo, un "noi" incompleto ma con un suo senso.
Lo scrivo qui, in pubblico, e forse è poco garbato. Senza dubbio lo è. Ma pubblico voglio che resti: ti voglio bene, pure con tutte le complicazioni del caso.
Ciao.

Povero me

«Cammino come un marziano, come un malato,
come un mascalzane, per le strade di Roma.
Vedo passare persone e cani e pretoriani con la sirena.
E mi va l'anima in pena, mi viene voglia di menare le mani,
mi viene voglia di cambiarmi il cognome.
Cammino da sempre sopra i pezzi di vetro,
e non ho mai capito come, ma dimmi dov'è la tua mano,
dimmi dov'è il tuo cuore?

Povero me! Povero me! Povero me!
Non ho nemmeno un amico qualunque per bere un caffè.
Povero me! Povero me! Povero me!
Guarda che pioggia di acqua e di foglie, che povero autunno che è.
Povero me! Povero me! Povero me!
Mi guardo intorno e sono tutti migliori di me.
Povero me, povero me, povero me,
guarda che pioggia di acqua e di foglie, che povero autunno che è,
guarda che pioggia di acqua e di foglie, che povero autunno che è.

Cammino come un dissidente, come un deragliato,
come un disertore, senza nemmneno un cappello
o un ombrello da aprire, ho il cervello in manette.
Dico cose già dette e vedo cose già viste,
i simpatici mi stanno antipatici, i comici mi rendono triste.
Mi fa paura il silenzio ma non sopporto il rumore,
dove sarà la tua mano, dolce,
dove sarà il tuo amore?

Povero me! Povero me! Povero me!
Non ho nemmeno un amico qualunque per bere un caffè.
Povero me! Povero me! Povero me!
Guarda che pioggia di acqua e di foglie, che povero autunno che è.
Povero me! Povero me! Povero me!
Mi guardo intorno e sono tutti migliori di me.
Povero me, povero me, povero me,
guarda che pioggia di acqua e di foglie, che povero autunno che è,
guarda che pioggia di acqua e di foglie, che povero autunno che è.»

mercoledì 21 novembre 2007

Un altro giorno è andato

E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito,
quanto tempo è ormai passato e passerà?
Le orchestre di motori ne accompagnano i sospiri:
l' oggi dove è andato l' ieri se ne andrà.
Se guardi nelle tasche della sera
ritrovi le ore che conosci già,
ma il riso dei minuti cambia in pianto ormai
e il tempo andato non ritroverai...

Giornate senza senso, come un mare senza vento,
come perle di collane di tristezza...
Le porte dell'estate dall' inverno son bagnate:
fugge un cane come la tua giovinezza.
Negli angoli di casa cerchi il mondo,
nei libri e nei poeti cerchi te,
ma il tuo poeta muore e l' alba non vedrà
e dove corra il tempo chi lo sa?

Nel sole dei cortili i tuoi fantasmi giovanili
corron dietro a delle Silvie beffeggianti,
si è spenta la fontana, si è ossidata la campana:
perchè adesso ridi al gioco degli amanti?
Sei pronto per gettarti sulle strade,
l' inutile bagaglio hai dentro in te,
ma temi il sole e l' acqua prima o poi cadrà
e il tempo andato non ritornerà...

Professionisti acuti, fra i sorrisi ed i saluti,
ironizzano i tuoi dubbi sulla vita,
le madri dei tuoi amori sognan trepide dottori,
ti rinfacciano una crisi non chiarita:
la sfera di cristallo si è offuscata
e l' aquilone tuo non vola più,
nemmeno il dubbio resta nei pensieri tuoi
e il tempo passa e fermalo se puoi...

Se i giorni ti han chiamato tu hai risposto da svogliato,
il sorriso degli specchi è già finito,
nei vicoli e sui muri quel buffone che tu eri
è rimasto solo a pianger divertito.
Nel seme al vento afferri la fortuna,
al rosso saggio chiedi i tuoi perchè,
vorresti alzarti in cielo a urlare chi sei tu,
ma il tempo passa e non ritorna più...

E un altro giorno è andato, la sua musica ha finito,
quanto tempo è ormai passato e passerà.
Tu canti nella strada frasi a cui nessuno bada,
il domani come tutto se ne andrà:
ti guardi nelle mani e stringi il vuoto,
se guardi nelle tasche troverai
gli spiccioli che ieri non avevi, ma
il tempo andato non ritornerà,
il tempo andato non ritornerà,
il tempo andato non ritornerà...

(F.G., "L'isola non trovata", 1971)

lunedì 19 novembre 2007

N(annucci)uovo acquisto: Caravan

Standing on a golf course
Dressed in PVC
I chanced upon a Golf Girl
Selling cups of tea
She asked me did I want one
Asked me with a grin
For three pence you can buy one
Full right to the brim

So of course I had to have one
In fact I ordered three
So I could watch the Golf Girl
Could see she fancied me
And later on the golf course
After drinking tea
It started raining golf balls
And she protected me

Her name was Pat
And we sat under a tree
She kissed me
We go for walks
In fine weather
All together
On the golf course
We talk in morse

("Golf girl", prima canzone di "In the land of grey and pink")

domenica 18 novembre 2007

Tornato a Trient.

(sorridente)
(molto sorridente)

venerdì 16 novembre 2007

Pronti partenza via

(sento il fischio del vapore.)
(senti il fischio del vapore?)

giovedì 15 novembre 2007

In tempi di cartoni giapponesi

“...Ciò che mi ha spinto a interrompere brevemente il cimitero giapponese è una cosa che ho letto in un romanzo giapponese qualche anno fa a proposito di un uomo che incontra una donna in un supermercato di Tokyo e la donna diventa l’amante del narratore. Credo che sarebbe un’esperienza molto esotica incontrare una futura amante in un supermercato.
Ho pensato molto a questa cosa, soprattutto di recente con quel po’ di spesa che ho fatto a Berkeley quando abitavo nella casa in cui la donna si è impiccata.
Andavo a fare la spesa nel vicino supermercato e gironzolavo qua e là con il carrello comprando cose a caso che non avevo alcuna voglia di mangiare, se non per soddisfare il fabbisogno nutritivo giornaliero.
...e ogni tanto pensavo al romanzo giapponese e all’incontro con una nuova amante mentre facevo la spesa al supermercato. Che posto unico e curioso per un incontro casuale e intimo!
3 febbraio 1982, finito.

Chissà come poteva iniziare questa relazione e a chi toccava il primo passo? Magari nel reparto zuppe in scatola, mentre esaminavo le varie possibilità a disposizione? Una zuppa al pomodoro poteva essere una bell’idea per una giornata di pioggia, quand’ecco che la voce di una bionda interrompeva la mia breve meditazione.
Non l’avevo nemmeno sentita avvicinarsi. Non credo che si sia avvicinata di soppiatto con il carrello. È solo che non stavo facendo molta attenzione, oppure si è veramente avvicinata di soppiatto dopo avermi pedinato fino al reparto zuppe in scatola.
«Ciao» mi ha detto lei, con voce gradevole e invitante.
Io mi voltavo stupefatto, distogliendo lo sguardo dagli scaffali dove la zuppa di pomodoro faceva bella mostra di sé per un ipotetico pranzo in una domenica di pioggia.
Un tempo uscivo spesso con le bionde.
A dire il vero, avevo un debole per loro.
La vista di una bionda mi rendeva felice. Chissà come avevo fatto a non accorgermi che si era avvicinata. Ha fatto seguire il suo ciao da uno «Scusa, ma non ci conosciamo già?».
In realtà c’è stata una donna che me l’ha detto davvero a una festa ed è finita con un’avventura di una notte.
Questa però era un’altra.
Chi può dire come sarebbe andata a finire?
Ci siamo messi in coda insieme alla cassa perché lei mi ha offerto un passaggio in macchina fino a casa, ma prima ovviamente mi sarei fermato a bere una cosa da lei, visto che era di strada per andare a casa mia, intendendo per casa mia il posto dove un’altra donna s’era impiccata.
La cliente prima di noi alla cassa aveva cinquemila cose nel suo convoglio di carrelli e questo ci ha dato il tempo di conoscerci un po’ meglio.
Lei si chiamava X e si era appena laureata all’Università della California a Berkeley, in Filosofia, ma visto che non aveva ancora trovato un lavoro che richiedesse una vasta conoscenza della filosofia, per il momento lavorava in una boutique di Walnut Creek e no, non era sua abitudine attaccare discorso con gli sconosciuti al supermercato, ma c’era qualcosa nel modo in cui stavo fissando i barattoli di zuppe pronte che aveva stuzzicato la sua attenzione e così, un po’ per gioco, le era venuta voglia di saperne di più di uno che prendeva le zuppe tanto seriamente.
Le ho detto che stavo pensando che forse era il caso di prendere una zuppa al pomodoro per quando pioveva.
«Avevo intuito che potesse essere qualcosa del genere» ha detto lei.
La donna prima di noi era scesa a 2399 cose e continuava a scaricare il suo Southern Pacific Railroad di carrelli e il rotolo che si dipanava a profusione dal registratore di cassa stava cominciando a formare un nastro di Möbius.
«Ho una domanda sulla zuppa al pomodoro» ha detto X. «E non mi fraintendere, ma in questo momento non sta piovendo, anzi non piove da giorni e stando alle previsioni dovrebbe continuare così.»
«Prima o poi pioverà» ho detto.
«Comunque non importa, visto che tanto la zuppa non l’hai presa» ha detto lei.
«Alle volte mi capita di pensare alle cose prima di prenderle» ho detto io. «E la zuppa rientra in questa categoria.»
«Sono contenta di averti salutato» ha detto lei. «Non mi capita spesso di conoscere gente come te.»
Poi c’è stato un momento di silenzio in cui abbiamo guardato il carrello della signora di fronte a noi svuotarsi ulteriormente. Il numero di cose nel carrello a questo punto era sceso sotto il migliaio.
La cassiera aveva battuto così tante cose da quei carrelli che si muoveva come dentro un sogno, inerme, e tirava fuori una scatoletta di tonno, una scatola di riso, un panetto di burro, una confezione di tovaglioli, un sacchetto di cucchiai di plastica, un fustino di detersivo, un collare per cani, un vasetto di senape, una banana, una bottiglia di aceto e così via...
Man mano che la roba andava ad aggiungersi al conto, un ragazzo la infilava nelle buste. Stava riempiendo la cinquantesima. La sua faccia aveva la desolazione di un detenuto dell’Isola del Diavolo.
Se lavorava per mantenersi all’università, allora aveva cominciato a infilare quella roba da matricola e ormai era laureando.
X mi ha sorriso. Ero un sorriso che diceva che presto saremmo usciti di lì per andarci a rilassare un po’ da lei, sorseggiando bicchieri di vino bianco e imparando a conoscerci meglio.
Magari avremmo scherzato un po’ su tutte le cose che la cliente prima di noi aveva infilato nei carrelli, oppure avremmo parlato di cose più intime che ci avrebbero portato più velocemente nel suo letto.
Ma qualcosa doveva accadere molto velocemente nel reparto zuppe in scatola, perché non potevo stare lì in eterno a fissare dei barattoli di zuppa al pomodoro.
Bisognava che lei si facesse viva presto per poter dare il via a questa storia d’amore prima della chiusura, altrimenti avrei continuato a pensare a quell’ossessionante romanzo giapponese senza mai riuscire a diventare il protagonista di una romantica storia d’amore da supermercato e sarei finito invece alle Hawaii, a vagare per un cimitero giapponese che aveva l’Oceano Pacifico come confine.”

(R. Brautigan, “Una donna senza fortuna”, trad. E. Monti)

mercoledì 14 novembre 2007

Un approccio piuttosto indolente

“La storia della ballerina aveva qualcosa di interessante. L’avevo conosciuta a San Francisco tre o quattro anni prima e mi ero invaghito di lei. Aveva più o meno vent’anni allora, ma aveva l’aria innocente di una quindicenne e ballava in un corpo di ballo che io ero stato a vedere parecchie volte tra prove e balletti.
Aveva un fisico molto, molto interessante e il seno un po’ troppo grosso per una ballerina. Era bionda anche lei e molto carina, modello ragazza della porta accanto. Purtroppo aveva un approccio piuttosto indolente alla danza e credo che questo alla fine l’abbia portata a smettere.
Una volta durante le prove, c’era una scena del balletto in cui lei doveva restare immobile a terra con indosso un body nero. Le altre ballerine le ballavano intorno e poi, dopo cinque minuti d’immobilità, lei doveva rialzarsi e tornare a ballare con loro.
Per cinque minuti lei non si è mossa minimamente ed è rimasta distesa in maniera piuttosto invitante a terra. Quando però è venuto il momento di tornare ai movimenti del balletto, lei ha continuato a rimanere immobile. A quel punto era importante che si unisse al balletto e invece lei ha continuato a rimanere distesa.
«Ehi, S» le ha detto una delle ballerine e alla fine ha gridato «S!», ma niente. Dormiva. Le altre ballerine hanno dovuto interrompere il balletto e svegliarla.
Lei aveva l’aria confusa e l’erotismo sonnolente del dopo risveglio.
Credo che abbia lasciato il corpo di ballo poco dopo e io non l’avevo più rivista fino alla settimana prima a Mendocino.”

(R. Brautigan, “Una donna senza fortuna”, trad. E. Monti)

martedì 13 novembre 2007

Pigs on the wing

(part 1)
If you didn't care what happened to me,
And I didn't care for you
We would zig zag our way through the boredom and pain
Occasionally glancing up through the rain
Wondering which of the buggers to blame
And watching for pigs on the wing.
(part 2)
You know that I care what happens to you
And I know that you care for me too
So I don't feel alone
Of the weight of the stone
Now that I've found somewhere safe
To bury my bone
And any fool knows a dog needs a home
A shelter from pigs on the wing

("Animals", 1977)

domenica 11 novembre 2007

Mettete dei fiori nei vostri cannoni...


...o della verdura; va bene anche la verdura.
Buongiorno a tutti!

giovedì 8 novembre 2007

Non si può più dare la colpa al caldo


Sottotitolo: una risata ci seppellirà.

Ricevo e-mail e telefonate che mi fanno capire che c’è parecchia pazzia, in città.
Io, di mio, sono (quasi) posseduto da prepotente genialità.

Un insetto di fuoco, incandescente, è uscito dall’asciugacapelli e mi ha punto in testa.
Un fuco infiammato. Molto arrabbiato. Probabilmente.

Mi ha scottato fra i capelli, pungendomi con cattiveria; per poi andare a nascondersi, con uno sfrigolio da friggitrice, nel buco nero del lavandino.
Frrr rrrr frr.
Come un fuoco d’artificio che si spegne. Sulla mia testa!
Un insetto d’artificio che spegne il suo pungiglione sulla mia carrozza, diventata zucca. Mi tortura la testa, la cute, con la sua sigaretta.
Ah, fuco di fuoco! Il lavandino è stato la tua fine.

Ringraziamo naturalmente: l’incerto divenire, l’incesto in divenire, il pilota autocratico, gli alluvionisti e gli illusionati, i poveri sottili, le miniere di carbonari e le case massoniere, croce e furbizia, l’asciugacappelli, radio vaticano, Wagner come nome proprio di brasiliano, l’amministrazione di centrosinistra di Legnago, i comportamenti di Padre Pio da stigmatizzare, i fiori d‘artificio, i cuochi di paglia, i miei capelli sul pavimento e quindi le mie scarpe in testa, l’avita bassa, l’ovest di Paperino ed il sud-est asmatico, l’Orlando fumoso, l’amato calice.

Dica “trentatré”.

mercoledì 7 novembre 2007

Tutto a gonfie vele?


Trasformo il fuoco in legno, il vaso in fango, il risveglio in sogno.

martedì 6 novembre 2007

A bocca aperta contro il vento (saporito)

Sono come un neonato sopra un aeroplano.
Domanda: si può scrivere una specie di copione? Sono un po’ in difficoltà, ultimamente. I miei dialoghi sono un po’ stantii. Faccio decisamente meno fatica a leggere le mie parole.
Secondo me i giapponesi non portano i baffi. Portano i baffi?
Ora potrei dire, con voce bassa e pacata: «I giapponesi non hanno baffi, baby». Sarebbe perfetto.
Scriverei per me i miei dialoghi; lasciando spazio all’improvvisazione degli altri attori/autori, però, la faccenda si farebbe complicata. Dovrei, perciò, dedicarmi a sontuosi monologhi, ovvero costruire brevi frasi adatte a più domande, e quindi a più risposte.
«C’è stato un altro attentato in Pakistan, stamattina».
«È solo un mare della luna, baby».
«Sei sporco qui» (sfiorando con l’indice una piega della bocca)
«È solo un mare della luna, baby».
«La prossima estate, vacanze in Tunisia!».
«È solo un mare della luna, baby».
«Non riesco a capire come tu possa startene lì seduto, su quella poltrona, senza fare niente!».
«È solo un mare della luna, baby».
«Sono davvero in crisi».
«È solo un mare della luna, baby». (il Mare Crisium, accidenti)
Sarebbe molto comodo. Molto comodo. Sarebbe perfetto.
Spero di ritrovare le parole nel mio baule, perché così non si fa.

(Apro il baule; ha un piccolo sbuffo di polvere, quasi un colpo di tosse. Ci sono alcune stoffe, di colori caldi. Spostandole, sento il prurito arrivare fin dentro il naso. Faccio una smorfia per spaventarlo.
Saranno sotto questi stracci rossi e gialli, le parole?
Starnutisco e poi ci guardo.)