Mi sono imbattuto in un articolo nel quale, finalmente, i due pescatori freddati dai nostri baldi marò Salvatore Girone e Massimilano Latorre non sono più “due pescatori indiani” travestiti da pirati: ma «un padre di due figli adolescenti Velentin Jelestin e un giovane tamil, Ajesh Binki, orfano di entrambi i genitori e unico sostentamento per le due sorelle, di 17 e 15 anni. Pescatori, punto. Poveri, punto. A volte morti di fame, punto».
Devo ammetterlo: ogni volta che vedo le le foto e le riprese televisive che ritraggono i nostri valorosi militari, provo un senso di repulsione. Quei due scimmioni, nelle loro tutine mimetiche, gonfiati di palestra e di puttanate, rasati, con quei maledetti pizzetti e gli occhiali a mascherina...
Mi concentro, per non farmi sopraffare dal pregiudizio, ma è più forte di me. Lo vedo, lo vedi che sono due dannati fascisti mitomani, di quelli che trovano realizzazione di sé quando possono imbracciare un fucile e magari giocare a fare gli eroi, anche (e soprattutto) quando davvero non ce n’è bisogno?
Ci siamo già sentiti dire, a suo tempo, che Quattrocchi e amici erano prodi paladini della libertà. Già: se ne andavano in giro per un territorio di guerra a fare i mercenari (cioè ad essere pagati, dal miglior offerente, per sparare), sono stati catturati durante un’azione di guerra e uno di loro, per farci vedere “come muore un italiano”, è stato freddato mentre giocava a fare il duro.
A me è bastato. E di altri falsi campioni non sento davvero l’esigenza.
C’è in ballo una questione di diritto internazionale: l’India deve rispettare le leggi condivise, fin dove queste arrivano; e rispettare le proprie, oltre.
E basta.
Il nostro paese è stato ridicolizzato dalla politica internazionale di un nano che faceva le corna nelle foto istituzionali, “cucù” da dietro le statue ad altri capi di stato e telefonava alle sue troie durante gli incontri ufficiali.
Ma merita un altro rispetto. E non è giusto che si debba vergognare, ancora, di due esaltati che sparano a vista. Questi, per quanto mi riguarda, dopo il doveroso e corretto processo se ne devono marcire in galera.