«Macchinista, macchinista, faccia sporca
metti l’olio nei stantufi,
di risaia siamo stufi
e a casa nostra vogliamo andar.»
Stanotte, alle 2:14 (con due maledetti punti di separazione, perché è quell’ora, e perché questo sta a significare), ho deciso:
“Domani comprerò una nuova agenda. È un gesto solitario, va compiuto in solitudine.”
È la prima volta che compro un’agenda per i miei appunti. Mi sono sempre state regalate. Questa volta credo proprio che sia necessario il necessario distacco. Riscatto. Boh.
L’altra l’ho conclusa con due pagine d’anticipo. “Ha finito il suo tempo”, mi sono detto, e l’ho messa nel cassetto, con dentro un braccialetto strappato (strappato da me a me, dal mio polso), un biglietto di Giulia e un sacco di pensieri.
Ora di voltare pagina. Macché, di cambiare libro. Di cambiare qualcosa, merda.
E poi è inverno, ormai.
«Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.
Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai, la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un'altra estate.
Anche la luce sembra morire
nell'ombra incerta di un divenire
dove anche l'alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.
Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l'amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.
La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l'inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un'alba antica.
Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti.»
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