sabato 26 dicembre 2009

26.12.09 Il compleanno: ricordi in diretta.

Gloriosamente.

Saranno vent'anni.

Casa.

Modenese da parte di madre.

Sloveno da parte di padre.

mercoledì 23 dicembre 2009

domenica 20 dicembre 2009

Padova sotto la neve.



Mi ricordo.

domenica 13 dicembre 2009

Toro Scatenato


Personalmente, mi sono fatto una risata.
(E poi ho pensato alla tesi dell'autocomplotto. Che Paese faticoso...)
Come fa la gente a decidere di morire d'inverno? Con gli alberi spogli e la brina che ruba il fiato ai prati. E le carovane di automobili con i vetri che paiono di ghiaccio. Ho i piedi gelati a causa del cielo bigio. Stagione morta e pungente. Ma mica morta per sempre.

venerdì 11 dicembre 2009

Scagliare la pietra senza ritirare la mano, ma mostrandola intenta a fare altro.

Gladiatori in riva al mare.

Il commercio delle dita.

Uno - due.

Una vecchia storia.

Il pensionato è andato via.

lunedì 7 dicembre 2009

Dettagli sfuggiti.

Sinuosità.

Infanzia.

Sudate carte.

sabato 5 dicembre 2009

Lasciatemi cantare. Con la chitarra in mano.

Luca scrive febbrilmente la tesi.
Scrive la tesi in inglese.
Scrive e corregge la tesi. Luca comincia a pensare in inglese. Meglio: Luca ha paura di cominciare a pensare in inglese.
Per fortuna Luca sa di essere italiano, troppo italiano, per cominciare a farlo.
Ma Luca è affaticato dalla tesi; e perciò è incline alla farneticazione.
Tuttavia, ciò che è certo è che Luca rischia di rispondere in inglese alle domande di suo fratello. Le domande di suo fratello sono in italiano.
Anche Luca è in italiano.
Scrive in italiano.
Legge in italiano.
Corregge in italiano.
Pensa in italiano.
Vive in italiano.
È felice in italiano.

Ah: è felice.

domenica 29 novembre 2009

venerdì 27 novembre 2009

Cosa sarebbe il ridicolo senza il senso del ridicolo?
Probabilmente solo una ridicolaggine.

domenica 22 novembre 2009

Zero, sottozero.

La "a" di Ancona.

Il tristo mietitore #2.

Vernissaggi solitari.

venerdì 20 novembre 2009

Occhi


«Chi derise la nostra sconfitta
e l'estrema vergogna
ed il modo
soffocato da identica stretta
impari a conoscere
il nodo.»

mercoledì 18 novembre 2009

Sangue blu

Nemmeno fosse agosto. Non è il momento per tirarsi i gavettoni.

«Dunque oggi alla Camera si va alla fiducia sull'acqua. Che bisogno aveva il governo di questo mezzo estremo per trasformare in legge un decreto, avendo i numeri di una larga maggioranza? Che fretta c'è su un tema di simile portata? È abbastanza intuibile. Se si affronta un iter normale, le cose vanno per le lunghe visto che il Pd è intenzionato a dar battaglia con l'Italia dei valori.
Entrambi i partiti hanno annunciato un fuoco di sbarramento a suon di emendamenti. Ma se accade, la storia comincia a far rumore; e se fa rumore c'è il rischio che gli italiani mangino la foglia. Cadrebbe la cortina di silenzio che negli ultimi anni ha avvolto il business legato alla distribuzione del più universale e strategico dei beni nazionali.
Il nodo è semplice. Lo Stato è in bolletta, da vent'anni non investe più come si deve sulla rete e oggi meno che mai ha soldi per un'azione di ammodernamento che costerebbe come otto ponti sullo stretto di Messina. Meglio dunque lasciare la patata calda ai privati, che con meno remore politiche potrebbero scaricare sulle tariffe il costo di un'operazione indilazionabile, e che per la mano pubblica è una delle ultime ghiotte occasioni di far cassa. Da qui un decreto che, caso unico in Europa, obbliga a mettere in gara tutti i servizi legati all'acqua e accelerarne la trasformazione in Spa, dimenticando che, quasi ovunque le grandi società sono entrate nel gioco, le tariffe sono aumentate in assenza di investimenti sulla rete.
Ovvio che meno se ne parla, meglio è. Se in Parlamento scatta la bagarre, c'è il rischio che i Comuni virtuosi (inclusi quelli con i colori della maggioranza), che hanno tenuto duro nel non cedere i loro servizi alle società di Milano, Genova, Bologna e Roma, creino un'alleanza per proteggere "l'acqua del sindaco", cioè il loro ultimo territorio di autogoverno e autonomia dopo la perdita dell'Ici.
Se se ne parla, può succedere che gli utenti apprendano che, laddove le grandi società sono entrate in campo, le perdite della rete sono rimaste le stesse, i controlli di qualità sono spesso diminuiti e magari le tariffe sono aumentate . Magari si capisce che vi sono servizi che non possono essere privatizzati oltre un certo limite, perché allora l'acqua passa al mercato finanziario, diventa quotazione in borsa, e il cittadino non ha più un sindaco con cui protestare dei disservizi, ma solo un sordo "call center" piazzato magari a Sydney, Pechino o New York. No, non si deve sapere che siamo di fronte a un passaggio epocale, di quelli che cambiano tutto, come la recinzione dei pascoli liberi nell'Inghilterra del Settecento.
Non è un caso che si sia tentato di buttare una riforma simile nel pentolone di un decreto omnibus riguardante tutti i pubblici servizi, e non è un caso che - durante la discussione - si sia scorporato dal decreto medesimo il discorso il gas, i trasporti e il nodo delle farmacie. Gas, trasporti e farmacie erano la foglia di fico. Se oggi nel decreto su cui si pone la fiducia rimane solo l'acqua con i rifiuti, significa che l'acqua e i rifiuti sono il grande affare indilazionabile, l'accoppiata perfetta su cui si reggono i profitti delle multi-utility, e parallelamente le ingordigie della criminalità organizzata. Non è un caso che si parli tanto di "oro blu".
La storia dell'umanità lo dice chiaro. Chi governa l'acqua, comanda. Le prime forme di compartecipazione democratica dal basso sono nate in Italia attorno all'uso delle sorgenti, quando i paesi e le frazioni hanno pensato ad affrancarsi grazie all'acqua. Lo scontro non è tra pubblico e privato, ma tra controllo delle risorse dal basso e delega totale dei servizi, con conseguente, lucroso monopolio di alcuni. Oggi potremmo dover rinunciare a un pezzo della nostra sovranità.»
(P. Rumiz, "la Repubblica" on-line, 18 novembre 2009)


Quando il sistema fallisce, le alternative (per lo meno a medio termine) sono due: rivoluzionarlo, ovvero accelerare su di esso, portandolo alle estreme conseguenze.
Se il liberismo capitalista ha dimostrato di essere veramente efficace solo nel merito della disparità sociale, ebbene oggi vi si insiste. Privatizzare, privatizzare, privatizzare. Telefonia, energia, trasporti, produzione industriale, assicurazioni, banche: Istituto Bancario S. Paolo di Torino, Monte dei Paschi di Siena, Mediocredito Centrale, Bnl, Enichem, Saipem, Nuovo Pignone, Efim, Finmeccanica, Aeroporti di Roma, Cofiri, Autostrade, Comit, Credit, Ilva, Stet, Seat, Ina, Imi, Eni, Enel, Sip-Telecom. Altro.
In nome dell'efficienza - del paravento dell'efficienza, dietro al quale si celano bassi sentimenti e opache operazioni di controllo.
Il motore del 2000 non sarà bello né lucente: sarà l'ingordigia di denaro e potere.

lunedì 16 novembre 2009

domenica 15 novembre 2009

Primati e quadrupedi.

Vale l'assioma: quando non ve n'è dentro, non (ce) ne si può tirare fuori.
Senza scomodare il concetto di insieme, né quello di vuoto.

Ma i miei vasetti sono belli pieni.
E colorati.

giovedì 12 novembre 2009

Favole al telefono.

«Sei un povero penoso», tutto ciò che mi è venuto da dire.
Lo penso davvero.
Penoso. Ma soprattutto povero: cioè misero e disgraziato.


Ma ora ho altro a cui pensare.

lunedì 9 novembre 2009

Il pelo sullo stomaco, il pelo nel cervello.

«ROMA - Il sottosegretario Giovanardi ne è sicuro: "Stefano Cucchi è morto perché "anoressico e drogato". Parole pesantissime, che per la sorella del ragazzo morto misteriosamente "si commentano da sole".
Non è la prima volta che Giovanardi commenta la morte di Stefano. E, come già, in passato non concede spazio al dubbio: "Era in carcere perchè era uno spacciatore abituale. La verità verrà fuori, e si capirà che è morto soprattutto perchè era di 42 chili". Così il sottosegretario alla Presidenza alla trasmissione "24 Mattino" su Radio 24. Nessun dubbio. Non ci sono responsabilità umane nella morte Stefano Cucchi. Quel corpo pieno di lividi e fratture di cui è ancora ignota la causa, quelle cartelle cliniche apparentemente manomesse, quella coltre di dubbi che circonda la morte del ragazzo romano, per il sottosegretario, non significano nulla. Se c'è un colpevole, per Giovanardi, è la droga: "Che ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente, poi c'è il fatto che in cinque giorni sia peggiorato, certo bisogna vedere come i medici l'hanno curato. Ma sono migliaia le persone che si riducono in situazioni drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così".
"A Giovanardi che fa queste dichiarazioni a titolo gratuito - dice la sorella di Steano, Ilaria, - rispondo semplicemente che il fatto che Stefano avesse problemi di droga noi non l'abbiamo mai negato, ma questo non giustifica il modo in cui è morto". "Non voglio aggiungere altro - conclude - la cosa che ha detto il sottosegretario si commenta da sola". Anche Giovanni, il padre di Stefano fa sentire la sua voce, rilanciando come la famiglia sia "sempre in attesa di giustizia".
Le parole dell'uomo di governo provocano anche la reazione dell'Idv. Che, per bocca del senatore Stefano Pedica, attacca il sottosegretario: "Ha perso una buona occasione per tacere. Non si puo' fare sterile propaganda politica su un ragazzo morto per circostanze ancora tutte da verificare. C'è un'indagine in corso per accertare la verità dei fatti su quanto accaduto a Stefano Cucchi e che aspettarne l'esito, prima di dare giudizi gratuiti, significa rispettare il dolore di una famiglia".
E della vicenda si potrebbe occupare anche Amnesty International. "Ho ricevuto richiesta di informazioni dall'ufficio londinese dell'organizzazione" rivela Luigi Manconi, presidente dell'associazione "A buon diritto" che ha seguito il caso fin dal primo momento.»
("la Repubblica" on-line, 9 novembre 2009)


Il problema, Giovanardi, è che sei un drogato. Di becero cattolicesimo, per lo meno.
Vaffanculo, va'.


«Voi per esempio fate gli studenti
e vi aggirate per i banchi,
quand'ecco che ad un tratto vi accorgete
che un'amica ha gli occhi bianchi!
Corretele in aiuto consegnandoci
i goldoni al suo ragazzo,
così che lui non debba più accecarla
per eccesso di entusiazzo!
Se lei però continua a continuare
a avere gli occhi in quella tinta,
vuol dire che è parecchio innamorata
o che la droga l'ha già vinta,
ma in questo caso estremo c'è un rimedio
che ai drogati gli si addice:
gli cavi le pupille poi li sgridi
e via il problema alla radice!..»

O almeno amare il mare.

Con lentezza.
Da quanto tempo non dicevo "sto bene"?
Lo so, quanto: più di dieci mesi.
Fra chi sa e chi no, e chi fa finta di non sapere o di non volerlo fare, e chi fa di tutto per saperlo senza riuscire ad avanzare.
Perciò adesso tutti sul ponte, anche con il temporale. Ché la pioggia in faccia fa lacrime che non sono tristi. E addosso la cerata gialla impermeabile dei "Capitani coraggiosi" che leggevo da bambino. (Ricordo ancora la copertina rigida e profonda del libro, e le suggestioni che provocava in me.) In fin dei conti, in mezzo alla tempesta, come nella bonaccia, basta conoscere la bussola.

Alè!

domenica 8 novembre 2009

Il re del pop

«Pedro Almodovar, a Roma con Penelope Cruz - mentre posavano per i fotografi a Fontana di Trevi hanno fatto rivivere alla folla di turisti momenti gloriosi da "dolce vita" - per l'uscita di Gli abbracci spezzati (il 13 novembre, oltre 300 copie) entra nel dibattito religioso anche perché nel film il crocefisso è molto presente sulle pareti delle varie case. "In realtà è presente in tutto il mio cinema come elemento decorativo, esente da riferimenti cattolici. Per me il crocefisso appartiene all'iconografia pop, come il cuore trafitto, e come elemento pop mi piace moltissimo", dice.».
("la Repubblica" on-line, 8 novembre 2009)

Altro che Michael Jackson.
Delizioso (compresi i riferimenti alle 300 copie e alla dolce vita, più mora che bionda).

lunedì 2 novembre 2009

Roboetica.


(petali e timidi sorrisi)

venerdì 30 ottobre 2009

Pastorale italiana.

«“Quando si alzò dal letto, la luce dell’alba era già sparita da un pezzo, per lasciare il posto ad un sole sicuro e abbacinante.
Il tipico vocio estivo, nel quale le grida delle mamme si confondono e mescolano con quelle dei bambini, filtrava assieme ai raggi dalle imposte bruciacchiate.
«Che scherzo del destino: sembra ‘Divorzio all’italiana’», pensava. «Altro che divorzio; mi mangerebbero vivo.» Non si può mica più ricorrere al delitto d’onore. E poi, che cosa cruenta!
E, del resto, c’è una qual certa violenza anche ad infilarsi sotto le lenzuola. Un forma di brutalità, nel sussurrarsi dolcezze nelle orecchie.
Ti amerò per sempre.
Non ci lasceremo mai.
Baciami qui.
Non fare lo scemo.

Due belle cosce sono un sopruso di sincerità.
«Quanti anni avrà, ora, lei, più o meno?». Ventitre, compleanno più, compleanno meno. I capelli lunghi e mossi e un seno formato e sodo, eccitante sotto la canottiera stretta. «Ma che c’entra con l’età? E certo, lo concedo: sarebbe molto più molle, se avesse sessant’anni. Invece è burrosa e piena», mormorava fra sé e sé, sbirciando nello specchio il rasoio che gli schiariva il volto disteso.
Il modo migliore per mantenere un aspetto rilassato è stare rilassati: non cedere al pensiero di come si dovrebbe stare in Società. Qualche piccola bugia a se stessi rende addirittura simpatici.
La cravatta stringeva prima ancora d’annodarla. «Una volta, almeno, c’era il rumore del ventilatore», pensò. La verità? La verità è che l’aria condizionata è molto più flaccida. Nella medesima stanza, dietro la stessa finestra che si apre sulla piazza sempre identica.
«Da alcuni mesi, ormai, non riesce più a porre le basi per relazioni stabili. Qualunque contatto, nemmeno troppo alla lunga, lo costringe e, quindi, respinge. Ciononostante, egli continua a coinvolgere amanti e a trascinarle a fondo nel suo confuso divenire».
«Anche questa, dopotutto, è una forma di menzogna».
«Una forma di menzogna talmente sincera e palese da far arrossire. Una menzogna onesta, ecco; una menzogna garbata».

Le 10 e quaranta. Giusto il tempo di un caffè, prima della messa. Regola numero 1: mai, mai perdere la santa funzione. Potrebbe essere l’inizio e la fine di ogni forma di melodramma.”
Questo è l’inizio della storia che avrei raccontato se non avessi poi virato, per restare ligio al dovere, su una forma giornalistica più consona e appropriata.
È l’inizio di una storia che ricalca quella del Barone Cefalù di Pietro Germi. Fefè (il Barone, appunto), un meraviglioso Marcello Mastroianni, per avere carta bianca con la sua giovane cugina e amante induce la moglie all’adulterio in modo da poterla giustamente ammazzare. Delitto d’onore, ovviamente; meglio del divorzio. Fefè esce di prigione molto velocemente, grazie a un’amnistia, e sposa la cugina. Che però durante il viaggio di nozze, alla fine del film, lascia intendere che forse non sarà troppo fedele.
Penso a Fefè Cefalù ogni volta che inciampo in Pierferdinando Casini. È più forte di me.
Devo ammetterlo: è vero che, di questi tempi, affrontando l’argomento “immoralità sensuali”, suona strano non andare con la mente a Berlusconi. Ma Silvio Berlusconi, in fin dei conti, nella recente (eclatante) vicenda delle escort a Palazzo Grazioli, ha solo dimostrato di essere un misero puttaniere; di più: un priapeo patologico. Può bastare, questo, a renderlo “interessante”? In certo modo – va ammesso – sì. D’altra parte, però, il suo morboso e perverso desiderio sessuale non è l’unico vizio che lo affligge. Se è per questo, infatti, è certamente anche strafatto. E poi ha numerosi vezzi ‘meta-immorali’: la megalomania, l’arroganza, la morbosa pesantezza del suo sense of humor. E allora, in una visione di questo tipo, e cioè più ampia e articolata, si può prescindere da lui, e concentrarsi su un suo simile: Casini, appunto. Non tanto per il suo sguardo vacuo e vagamente inebetito (lo sguardo che l’ottuso assume quando non comprende ma è determinato a fare); quanto piuttosto per ciò che il bolognese Pierferdinando, simbolicamente, rappresenta nell’allegoria cattolica.
Casini è immorale quanto Berlusconi; ma meno smaccato. Meno verace. E molto più propenso a sposare le posizioni del Potere vaticano e ad intrattenere con esso relazioni quantomeno cortesi; senza mai farsi sfuggire l’occasione di esaltare un certo tipo di moralismo di sapore vagamente reazionario.
Ma il Casini ha una storia interessante; anzi, più storie. Quella politica è legata ai nomi di Antonio Bisaglia e Arnaldo Forlani. Il primo è morto annegato in circostanze non esattamente limpide nel 1984, anticipando di qualche anno le morti, sempre per annegamento, del fratello Mario (1992) e del segretario particolare Mazzolaio (1993). Il secondo è un personaggio condensabile qui nell’eloquente “Non ricordo” che rivolse, nel 1992, ai giudici che lo interrogavano sulle tangenti ricevute dalla DC nell’ambito della vendita di Montedison a Eni.
Anche la storia personale di Pierferdinando, comunque, ha qualcosa da dire. Tanto per cominciare, Casini è sposato in seconde nozze con Azzurra Caltagirone; dalla quale ha avuto una figlia e con la quale ha concepito un secondo figlio prima di contrarre il matrimonio. Matrimonio, peraltro, saggiamente celebrato in comune. Azzurra, del resto, ha un cognome che non mente: è infatti la figlia di Francesco Gaetano Caltagirone, uomo di grande ricchezza e infinita intraprendenza. Nato immobiliarista, papà Caltagirone ha successivamente ampliato il suo raggio d’interesse al settore dei media, acquisendo nell’ordine il controllo de “il Messaggero” di Roma, “il Mattino” di Napoli, il (tri)veneto “Gazzettino”, il “Corriere adriatico” di Ancona, il “Nuovo quotidiano di Puglia” ed un paio di distribuzioni gratuite, tra le quali “Leggo”. A questo va aggiunta la sua partecipazione, con un non insignificante pacchetto azionario, nel “Monte dei Paschi di Siena”. Non proprio il Don Ciccio Matara di Germi, insomma; ma neppure San Francesco. Nel settore del formidabile suocero ha operato però anche Pierferdinando, mandando in porto un ottimo affare: l’acquisto (alle Assicurazioni Generali) del palazzo nel quale abitava per un prezzo di circa due volte inferiore a quello di mercato. Non male, per un dilettante.
A questo punto va detto che, se l’atteggiamento matrimoniale libertino del Nostro può essere elemento di critica da parte del Potere vaticano, il suo pollice verde per gli affari non dovrebbe rappresentare un problema.
L’Istituto Opere Religiose (IOR), infatti, non è esattamente un’associazione filantropica.
In una interessante ricostruzione firmata qualche tempo fa da Curzio Maltese, una impressionante sequenza di eventi è posta in successione ed in correlazione.
Dapprima il crac del Banco Ambrosiano, liquidato con un quarto del denaro dovuto e qualche cadavere qua e là. Poi i conti segreti aperti dai politici. Quindi i rapporti con Enimont, e quelli con la mafia (che, pare, versava parecchi soldi nelle case della IOR). Infine, i soldi in nero versati dai cosiddetti “furbetti del quartierino”.
Quella organizzata dal Potere vaticano, peraltro, è probabilmente l’unica Chiesa al mondo a disporre di una propria banca d’affari.
Amore, soldi e case, insomma. In fondo, gli ingredienti per una vita perfetta.
Proprio il concetto di perfezione stride, per contingenza o per necessità, con la vita quotidiana. E l’Italia, di fatto, si riduce ad essere un paese drogato dalla repressione. Nel quale la politica è chiassosa, prepotente e violenta. Nel quale la solidarietà è dominata dalla paura. Nel quale la Società non riesce ad emanciparsi da regole inique e paure irrazionali. Nel quale, in naturale contraddizione, le abitudini sessuali sono sempre più orientate verso una forma di stranita perversione maniacale: usuale e stupefacente al tempo stesso. Berlusconi, a pensarci, sembra quasi un agnello sacrificale.
Ho un piccolo aneddoto finale; potrebbe apparire fuori tema, ma trovo che sia invece significativo. Un amico straniero mi ha recentemente reso partecipe di un paio di sue perplessità. La prima riguardava la facilità con la quale le ragazze italiane si dedicano al sesso orale sin dal primo appuntamento (sic!); la seconda era legata alla pratica orale stessa: effettuata senza preservativo. «Probabilmente non apprezzano il sapore del lattice», ho pensato. Il quale, in fondo, dovrebbe essere lo stesso che ha il succhiotto da poppante; ma, d’altra parte, che hanno pure i guanti da cucina. Abbiamo quindi parlato di preservativi. Nel suo paese, dice, sono gratis. (Nessun modello de luxe, per carità; la base: quella per evitare malattie ed altri effetti indesiderati, per intenderci.) In Italia costano molto.
«Qui i preservativi costano tanto perché in Italia c’è il Vaticano», gli ho detto. Non mi pareva del tutto convinto. «Forse è cattolico», ho pensato fra me e me. «Impossibile», subito dopo.
Più probabilmente, è vittima, anche lui, del meccanismo viziato che porta la maggior parte delle persone che vivono qui a scontare una fiscale e invincibile soggezione. Sia nei confronti del Potere vaticano e della sua dottrina sociale, che dei suoi interessati emissari.
Ma questo modo di vivere non è dignitoso. E allora, forse, la vera libertà non può che passare attraverso l’abbandono di certa retorica ipocrita e l’inseguimento (appassionato) di una cultura più autonoma e aperta.»

giovedì 29 ottobre 2009

Ad essere obiettivi.


(grazie, Tiz..)

mercoledì 28 ottobre 2009

Il giudizio divino

"Avevano deciso di abortire. Ma una volta all’ospedale, per gli accertamenti preliminari all’interruzione di gravidanza, il primario, obiettore di coscienza, le ha umiliate nel corridoio del reparto, davanti al personale e alle degenti. «Assassina, sta uccidendo suo figlio», ha urlato Leandro Aletti, responsabile di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Melzo e noto antiabortista, simpatizzante di Comunione e liberazione, a ciascuna delle tre donne, dai 27 ai 36 anni, che avevano scelto quella struttura pubblica per abortire.
L’aggressione verbale è riportata nella denuncia per ingiuria presentata al giudice di pace di Cassano d’Adda: «Il primario, noto antiabortista, ci ha insultate e diffamate — denunciano le donne — offendendo il nostro decoro e arrecandoci un danno morale». Dopo due rinvii, a dicembre si terrà l’udienza sul caso. Anche se entrambe le parti stanno cercando un accordo per evitare di arrivare al processo. Con il primario che, sebbene il suo avvocato Mario Brusa parli di un «fraintendimento tra le parti», sarebbe pronto a firmare una lettera di scuse e chiarimenti per archiviare l’accaduto. La direzione sanitaria ha già presentato le sue scuse.
Sotto accusa è anche la procedura che prevede di compilare la cartella clinica, preliminare all’aborto, in un atrio lungo la corsia del reparto. Pratica a cui nella struttura, si dice, si ricorre quando la sala visite è occupata, ma che in sostanza comporta la violazione della privacy delle donne. «Mentre iniziavamo il colloquio con il medico di turno venivamo accostate dal primario che ci aggrediva con insulti ad alta voce — si legge nel ricorso — così tutti i presenti venivano edotti della ragioni della nostra presenza nel reparto rendendo di pubblico dominio una scelta delicata e assolutamente personale».
Un episodio «lesivo della nostra dignità», tanto che una delle tre donne sarebbe stata anche identificata da una conoscente che passava di lì. «Le muove l’umiliazione subita in un momento delicato che nessuna donna affronta a cuor leggero», commenta l’a vvocato delle denuncianti, Ilaria Scaccabarozzi. La direzione dell’o spedale di Melzo precisa che in tema di accoglienza a chi vuole abortire «la paziente viene sottoposta alla raccolta dei dati sanitari e di degenza all’interno degli spazi deputati come previsto dal regolamento sulla privacy»."
(Ilaria Carra, "la Repubblica" on-line, 27 ottobre 2009)

«Assassina, sta uccidendo suo figlio», urla il ginecologo. Sul corridoio del reparto che dirige, in mezzo a pazienti, infermieri, strutturati.
«Non abortite: dateci in pasto i vostri figli. Dateli in pasto a questa Società: fateli diventare poveri; poveri di spirito, poveri di strumenti: poveri diavoli. Fateli soffrire. Abbandonateli alla loro vita: faticosa, incomprensibile, insopportabile. Fate perdere loro la dignità. Allora, allora sì che saranno vivi! Donne: voi siete un mezzo, non un fine; siete una necessità biologica. Scabrosa, come ogni necessità. Peccaminosa, fuori dallo scopo. Un mezzo deve agire secondo indicazione: non può avere un’autonomia, non può avere una volontà. E non cercate di farci credere che “la scelta è dolorosa”: voi non potete scegliere! In quanto al dolore, è il prezzo del piacere.»
La vita. Già.

lunedì 26 ottobre 2009

Il tuo sguardo nel mio - XIV (Roma)

Fiat lux.

Il vaso di Pandora.

In faccia all'universo.

Il pendolo di Foucault.

Messe diurne.

Apparizioni #4.

Vapore binario.

Pantheons.

E sempre alégri bisogna stare.

Varie linee appollaiate.

Socrate, Sartre; Sinatra.

venerdì 23 ottobre 2009

Oggi, 23 ottobre: mi son svegliato e...

Domani.
Domani è il 24 ottobre.

Chissà cosa accadrà: l'esperienza di questi mesi mi mette in guardia.
Sicuramente sarò a Roma.

Sicuramente ti penserò; e sarà più che negli altri giorni. E quindi non sarà proprio poco.
Mi auguro buon viaggio, caricando lo zaino in spalla: si va, si va.

mercoledì 21 ottobre 2009

Illusioni(smi).

Dolce di giorno.

Quello che traspare.

Naufragi.

«Mi tengo a quest’albero mutilato
Abbandonato in questa dolina
Che ha il languore
Di un circo
Prima o dopo lo spettacolo
E guardo
Il passaggio quieto
Delle nuvole sulla luna


Stamani mi sono disteso
In un’urna d’acqua
E come una reliquia
Ho riposato

L’Isonzo scorrendo
Mi levigava
Come un suo sasso
Ho tirato su
Le mie quattro ossa
E me ne sono andato
Come un acrobata
Sull’acqua

Mi sono accoccolato
Vicino ai miei panni
Sudici di guerra
E come un beduino
Mi sono chinato a ricevere
Il sole

Questo è l’Isonzo
E qui meglio
Mi sono riconosciuto
Una docile fibra
Dell’universo

Il mio supplizio
È quando
Non mi credo
In armonia

Ma quelle occulte
Mani
Che m’intridono
Mi regalano
La rara
Felicità

Ho ripassato
Le epoche
Della mia vita

Questi sono
I miei fiumi

Questo è il Serchio
Al quale hanno attinto
Duemil’anni forse
Di gente mia campagnola
E mio padre e mia madre.

Questo è il Nilo
Che mi ha visto
Nascere e crescere
E ardere d’inconsapevolezza
Nelle distese pianure

Questa è la Senna
E in quel suo torbido
Mi sono rimescolato
E mi sono conosciuto

Questi sono i miei fiumi
Contati nell’Isonzo

Questa è la mia nostalgia
Che in ognuno
Mi traspare
Ora ch’è notte
Che la mia vita mi pare
Una corolla
Di tenebre»

("I fiumi", G. Ungaretti; L'allegria)

Goodbye blackberry way.

Il mal consiglio.

Obladì, obladà.

E su questa pietra.

Italia, Italia.

martedì 20 ottobre 2009

Sono le tre e un quarto, quasi.

Dieci mesi.

Malinconia, nostalgia, senso di vuoto.

domenica 18 ottobre 2009

Il tuo sguardo nel mio - XIII (Verona)

Vie d'uscita.

Impostazioni #7.

Ventidue buone ragioni.

Nudità.

Funambolismi #2.







Nostalgia.