venerdì 23 novembre 2007

Il teatro della disillusione: la vanità di mangiafuoco

«Come un animale in gabbia. Un animale di una certa età. Che so, un leone con la laringite. Un babbuino con l’artrosi.
Se fossi un palloncino, adesso, avrei la forma dello Zeppelin. E sarei enorme. Sfuggirei dalle mani del bambino che mi compra, oppure lo trascinerei con me. Fino ad un certo punto, almeno; il sole scalda troppo, e non ho messo la crema.
(Neppure sulle mani, che si spaccano come il ghiaccio.)
Ho iniziato a leggere “La ribellione”, ieri sera. La prima pagina è incantevole dal punto di vista narrativo. Mi sono addormentato, però, quasi subito, per svegliarmi in mezzo alla notte e rendermi conto del libro chiuso e della luce accesa.
È stato in quell’istante che il pugile si è alzato ed è andato in bagno. A togliere la saliva dalla faccia, forse. Sono stanco, molto stanco. Quasi mi gira la testa. Ma che ci faccio, io, qui, a guardare la pioggia (che ora s’è liberata), attraverso una veneziana al neon?
Mi penso mentre, vestito da marinaio (alla Paperino, per intenderci), sbircio attraverso un oblò e vedo il mare bagnare e asciugare il vetro opaco. Soffio in una trombetta a spirale e lei va a sbattere contro l’oblò, e si piega. Anche il suono si piega; si incrina, e suona l’inizio del suo requiem per la spirale spezzata.
Invece guardo solo la pioggia, recitando il mio teatro, vestito di verdone. [...]»

(Provaglio d’Iseo, 21 novembre, 13:42)

«[...] Siete pratici di Roma? Mi piacerebbe esserlo. Mi piacerebbe essere a Roma, ora. Fra i Campi Elisi e la Grande Arche. Sulla Rambla de Raval.
È più bella Buda o Pest?
In questo momento vorrei che le mie mani potessero ridurre duemila anni di cristianità a sedici vestali ed una penna stilografica.
[Usavo sempre la stilografica, da bambino. Ero un bambino decisamente stilografico; un esperto di inchiostri da rovesciare. Usavo anche il pennino. Forse è per questo che ascolto i Procol Harum.]
Ecco, mi sono distratto troppo a lungo. Non so più cosa stia accadendo, scorrere del tempo a parte. Sono le undici e un quarto. Se spara il cannone di Mary Poppins, tutto va bene per il Barone von Trapp.»

(Provaglio d’Iseo, 22 novembre, 10:55)

«[...] Ora ho deciso deliberatamente di distrarmi nelle divagazioni, perché sono stanco di questa prigione di neon proiettati che mi separa dall’acqua. Della noia che mi ruba la strada.
Potrei mettermi in macchina e guidare verso una meta non precisata, fino, almeno, alla fine del carburante. Poi fermare la macchina nella cortina e restare dentro, con le mani sul volante, aspettando che succeda qualcosa.
Cosa potrebbe accadere?
Quale passante si interesserebbe ad un piccolo uomo che tiene le mani sul volante di una macchina spenta? Pensionati e cani, prostitute, poliziotti? Sarei senza riferimenti, ma forse non più, né meno, di adesso. Semplicemente in un luogo diverso. Metaspaziale. Un luogo di transito. Sarei una scheggia in un transiente, una scintilla sul gas di una cucina deserta: una scintilla che esiste, è esistita, ma non per il mondo umano, perché non ha testimonianza.»

(Provaglio d’Iseo, 22 novembre, 12:07)

«[...] Ancora in attesa; le mamme imbiancano.
Sento già il fischio del vapore, il rombo del motore. Il volante fra le mani. La strada sotto i piedi. Come in un’altra generazione. Senza bussola.

Conto le pecorelle che, lente, avanzano verso la fabbrica di lecca-lecca. Hanno il pelo bagnato ed i denti in vista; alcune di esse indossano casacche sgargianti, altre orecchini che sono campanelle. Gioghi e lattine attaccate a fili.
Mi metto in fila.»

(Provaglio d’Iseo, 22 novembre, 14:00)

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