Quando “La ribellione” di Joseph Roth prende una piega che porta verso l’epilogo del libro e della storia del protagonista, lui, Andreas Pum, si ritrova in prigione, per sei settimane. In una cella buia, nella quale l’unica finestra è posta in alto, in posizione quasi irraggiungibile, almeno per uno storpio, e cioè per lo stesso Andreas. Nella permanente oscurità, e quindi semi-privato della vista, o almeno della vista dei colori, della percezione chiara dei perimetri, Andreas sviluppa, come i ciechi, l’udito; riesce così a capire, per lo meno nel suo immaginario, cosa accade fuori dalla prigione, in quel mondo che ha mutilato la sua Persona, che l’ha messa al margine, rifiutata - in quel mondo, insomma, in rivoluzione e contro-rivoluzione.
Io ho un’ottima vista, lo sanno tutti. Ciononostante, adoro assaggiare, toccare, annusare, ascoltare: i brividi, l’acredine dolciastra, la lingua che s’allarga o la testa che si stringe sulla nuca come un limone.
Amo tastare gli oggetti: percepirne il freddo lucido, la ruvidezza arrossante, il loro imbarazzo molle o la durezza inflessibile. Fare entrare in discussione i diversi sensi: Come può un tubo rosso essere così freddo? Ed è quello che sento adesso, su questa lastra, ciò che si chiama “calor bianco”?
Così, ho sempre infilato il naso negli odori. Nelle tazze, sui pistilli, tra i banchi del mercato - nell’aria del mattino. I pochi momenti nei quali il raffreddore mi dà tregua sono attraversati dallo stordimento di milioni di colori ventosi.
Ultimamente, poi, sto incontrando persone caratterizzate da odori particolari; alcuni mi piacciono, taluni molto, altri no.
Si sa, la discriminazione passa anche attraverso il naso.
1 commento:
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