martedì 23 ottobre 2007

(abbastanza fuso)

Esame: fatto. Inglese: decoroso. Presenza scenica: ottima (complice il mio completo di velluto a coste, marrone). Le quotazioni delle mie attività (di lavoro, beninteso) riprendono quota. Lo vedi, tu, com’è... fare e disfare. Ah.
Se stiamo abbastanza bene (ehi, sottovoce) è già qualcosa. Anche quando sbagliamo i compiti...
(la sento solo io quest’armonica a bocca?)
La tv mi ricorda che “Mediterraneo” è dedicato a “tutti quelli che stanno scappando”; via, via, e poi via... Io, dal canto mio, che di mestiere non faccio il dio, penso alla vecchia signora sorridente che era qui poco fa e che non ha più tempo, non conta più i punti. (Di invisibili cicatrici?)
Facciamo del nostro meglio. Senza sorrisi di stucco - per carità!: in fin dei conti solo fastidiosi. Ma , indietro indietro, neppure smorfie (quasi allocutorie); tutt’al più pernacchie, o grandi soffi ad occhi chiusi. (Spalanca gli occhi, adesso, e guarda qui!)
Amo il Mediterraneo (lo sporco Mediterraneo, come dice Bukowski) e mi ci tuffo!

“Ci fu il periodo nel quale vendette cosmetici porta a porta. Lui li chiamava “trucchi”, per ricordarsi che erano un raggiro al mondo e, più in piccolo (o più in grande), a se stessi. Si presentava alle porte uguali di villette uguali, disposte in fila per due o per cinque, con il suo vestito chiaro ed il suo panama estivo ruotato leggermente all’indietro; sorrideva, e recitava “A quali trucchi si affida?”, o magari “Lei, signora, lo vedo bene, è piena di trucchi”. Non restava mai deluso; tutt’al più disilluso.

Quando suonava la chitarra e cantava con la sua voce dolente, con le sue note dolorose, chinato in avanti, ricordo che i suoi capelli erano abbastanza lunghi da coprire le spalle e la cinghia. Intorno al fuoco, insieme a Marlon Brando e a Pochaontas, raccontava dolcemente, con gli occhi socchiusi e le labbra scostate dal microfono, di viaggi e intemperie, delle stelle del Messico, di orari e bandiere. Poi si fermava, prendeva l’armonica e la suonava a lungo, con note lente e intense, quasi come avesse voluto frenare e attutire gli scoppiettii del fuoco, o forse noi; noi, che ce ne stavamo a contemplare lui, il fuoco e le stelle del Messico.

Ieri l’ho rivisto. Sulla riva di un fiume. Agitava davanti a sé un sottile bastone, quasi uno stelo, fendendo l’aria come per ferirla, ma con un movimento flemmatico, simile ad una proiezione rallentata. Non ho pianto.”

(LF, da “L'abito non fa [niente]”)

Anche oggi mi ha assalito una specie di folle dostoevskijana febbre, che mi rendeva febbrile (sic), veloce (macché stampelle) e ficcante nel parlare. Che mi ha portato oltre il mio lavoro anche se l’avevo tanto trascurato (ed era uscito pazzo dal dolore, poveretto).
E poi mi ha lasciato stupito, e divertito. Come il vincitore di un gioco; ma che gioco?
(abbastanza bene, anch’io, devo essere sincero)

1 commento:

GRETA ha detto...

ti sono fischiate le orecchie?
FORZA LUCAAAAAAA