Un delirio di musica balcanica. Una frenesia forsennata, un’ebbrezza strepitosa, una taranta carsica. Fisarmonica trombone batteria basso-tuba chitarra cappelli colbacchi paillette colori sgargianti fantasie gilet.
Le gambe volano; grida di gioia. La stazione diventa un matrimonio gitano, dove i danzatori baffuti si contendono la sposa e lo sposo si tuffa nel vino rosso.
Poi, di rapido (!) passo, verso i treni. Verso la ferraglia in pausa. Giri l’angolo del binario 1 e, nel perdurare folle della musica sempre più ripida, resti sospeso nel vuoto, accanto a Luigi Negrelli in mezzobusto, a cerniere in terra (cadute da chissà quale giacca), binari, vernice sui muri (“TRENTO”, stazione di Trento), tabacchi - giornali. Immagini di silenzio, e completa assenza di movimento, nel sottofondo invasato della musica. Sospeso, come parole che non escono.
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