"Come forth, from love's spire
Born in life's fire,
Born in life's fire.
Come forth, from love's spire
In the burning, all are [of our] yearning,
for life to be.
And in pain there will [must] be gain,
New Life!
Stirring in, salty streams
And dark hidden seams
Where the fossil sun gleams.
They were, sent from [to] the gates
Ride the tides of fate
Ride the tides of fate.
They were, sent from [to] the gates,
In the burning all are [of our] yearning,
For life to be.
There's no end to my life,
No beginning to my death:
Death is life."
(Musorgskij, Lake)
[Le premesse (prima e seconda, non filosofica) sono lì a far passare il tempo. Il resto si espone compostamente.]
mercoledì 31 ottobre 2007
martedì 30 ottobre 2007
I Katzenjammer Kids
«Quella sera eravamo seduti nell’atrio dell’albergo, ad aspettare che lo zio Bernard venisse a prendere Serena. Aveva accettato di aspettarla fuori. Portava con sé la moglie, un’ex indossatrice. Doveva arrivare alle 6.00 di sera. Alle 6.15 Serena ha detto: “Forse si è perso. Questo è un posto difficile da trovare, proprio di fronte alla stazione. Bernard non conosce questa parte della città”.
Siami rimasti lì ancora un po’. È passata una lunga auto color avorio, molto silenziosa.
“Era la sua macchina,” ha detto Serena, “in tutta la città non ce n’è un’altra come la sua. Era Bernard. Povero Bernard, non ha visto l’albergo.”
"Lo troverà, mamma,” ha osservato Linda.
Altri 7 o 8 minuti. Poi l’auto color avorio è arrivata di nuovo, ha parcheggiato.
“È lui,” ha esclamato Serena. “È lui!”
“È lo zio Bernard,” ha annunciato Linda Lee.
Sono balzate in piedi. Linda si è rivolta a me: “Vieni a salutarlo”.
“No.”
“Vieni solo a dire ‘ciao’, su...”
“No.”
Sono corse fuori, incontro allo zio Bernard. Avere soldi significa qualcosa, e anche avere lo stesso sangue...
Sono rimasto nell’atrio, in poltrona, ad aspettare. Ho aspettato 1 quarto d’ora, poi sono salito con l’ascensore. Sono andato in camera, mi sono tolto le scarpe e mi sono steso sul letto, al buio. Il sangue e i soldi e Cappuccetto Rosso e Tarzan delle Scimmie e l’Orfanella Annie e Pierino e il Lupo e i Ponti di Londra crollano tutti e Robin Hood e i 3 Porcellini che andarono al Mercato e la Vecchia che Viveva in una Scarpa e aveva Tanti Bambini che non li conosceva tutti e Biancaneve e mia madre e mio padre e le elementari e Stanley Greenburg il bullo della scuola e il primo lavoro e il terrore delle pareti e la strage delle ore e gli uomini che lavorano nelle fabbriche accanto a me con palline di marmo graffiate come occhi, il loro unico desiderio conservare un posto che li aveva già uccisi, e poi tutte le puttane nel mio letto e nelle mie povere automobili, cuori come accette, io, nella chiesa cattolica, ad assorbirne il fasto, a sputarlo, che tenevo duro, Krazy Kat, i Katzenjammer Kids, e loro laggiù che succhiano il culo a un ricco pazzo, più per i soldi che per il sangue; il comunismo non è riuscito a trovare una soluzione, la letteratura ha fallito come il solito, e l’omicidio è fuori...
Mi sono addormentato.
Mi sono svegliato quando Linda Lee ha aperto la porta.
“Quello zio Bernard è proprio un figlio di puttana,” ha detto.»
(C. Bukowski, “Shakespeare non l’ha mai fatto”; trad. L. Schenoni)
Siami rimasti lì ancora un po’. È passata una lunga auto color avorio, molto silenziosa.
“Era la sua macchina,” ha detto Serena, “in tutta la città non ce n’è un’altra come la sua. Era Bernard. Povero Bernard, non ha visto l’albergo.”
"Lo troverà, mamma,” ha osservato Linda.
Altri 7 o 8 minuti. Poi l’auto color avorio è arrivata di nuovo, ha parcheggiato.
“È lui,” ha esclamato Serena. “È lui!”
“È lo zio Bernard,” ha annunciato Linda Lee.
Sono balzate in piedi. Linda si è rivolta a me: “Vieni a salutarlo”.
“No.”
“Vieni solo a dire ‘ciao’, su...”
“No.”
Sono corse fuori, incontro allo zio Bernard. Avere soldi significa qualcosa, e anche avere lo stesso sangue...
Sono rimasto nell’atrio, in poltrona, ad aspettare. Ho aspettato 1 quarto d’ora, poi sono salito con l’ascensore. Sono andato in camera, mi sono tolto le scarpe e mi sono steso sul letto, al buio. Il sangue e i soldi e Cappuccetto Rosso e Tarzan delle Scimmie e l’Orfanella Annie e Pierino e il Lupo e i Ponti di Londra crollano tutti e Robin Hood e i 3 Porcellini che andarono al Mercato e la Vecchia che Viveva in una Scarpa e aveva Tanti Bambini che non li conosceva tutti e Biancaneve e mia madre e mio padre e le elementari e Stanley Greenburg il bullo della scuola e il primo lavoro e il terrore delle pareti e la strage delle ore e gli uomini che lavorano nelle fabbriche accanto a me con palline di marmo graffiate come occhi, il loro unico desiderio conservare un posto che li aveva già uccisi, e poi tutte le puttane nel mio letto e nelle mie povere automobili, cuori come accette, io, nella chiesa cattolica, ad assorbirne il fasto, a sputarlo, che tenevo duro, Krazy Kat, i Katzenjammer Kids, e loro laggiù che succhiano il culo a un ricco pazzo, più per i soldi che per il sangue; il comunismo non è riuscito a trovare una soluzione, la letteratura ha fallito come il solito, e l’omicidio è fuori...
Mi sono addormentato.
Mi sono svegliato quando Linda Lee ha aperto la porta.
“Quello zio Bernard è proprio un figlio di puttana,” ha detto.»
(C. Bukowski, “Shakespeare non l’ha mai fatto”; trad. L. Schenoni)
Libertà e perline colorate...
Un gelato al limon
gelato al limon
gelato al limon
spofondati in fondo a una città
un gelato al limon
è vero limon.
Ti piace?
Mentre un'altra estate se ne va.
Libertà e perline colorate
ecco quello che io ti darò
e la sensualità delle vite disperate
ecco il dono che io ti farò
donna che stai entrando nella mia vita
con una valigia di perplessità
ah, non avere paura che sia già finita
ancora tante cose quest’uomo ti darà.
E un gelato al limon
gelato al limon
gelato al limon
sprofondati in fondo a una città
un gelato al limon
gelato al limon
gelato al limon
mentre un’altra estate passerà…
Ti offro una doccia ai bagni diurni
che sono degli abissi di tiepidità
dove come oceani notturni
rimbombano le voci della tua città
e ti offro la luna del pomeriggio
per il sogno arabo che ami tu
e una stretta forte della mia mano
per te donna che non mi scappi più…
e un gelato al limon
gelato al limon, gelato al limon
E ti offro l'intelligenza degli elettricisti
cosi almeno un pò di luce avrà
la nostra stanza negli alberghi tristi
dove la notte calda ci scioglierà.
Come… un gelato al limon,
gelato al limon, gelato al limon…
(P. Conte)
gelato al limon
gelato al limon
spofondati in fondo a una città
un gelato al limon
è vero limon.
Ti piace?
Mentre un'altra estate se ne va.
Libertà e perline colorate
ecco quello che io ti darò
e la sensualità delle vite disperate
ecco il dono che io ti farò
donna che stai entrando nella mia vita
con una valigia di perplessità
ah, non avere paura che sia già finita
ancora tante cose quest’uomo ti darà.
E un gelato al limon
gelato al limon
gelato al limon
sprofondati in fondo a una città
un gelato al limon
gelato al limon
gelato al limon
mentre un’altra estate passerà…
Ti offro una doccia ai bagni diurni
che sono degli abissi di tiepidità
dove come oceani notturni
rimbombano le voci della tua città
e ti offro la luna del pomeriggio
per il sogno arabo che ami tu
e una stretta forte della mia mano
per te donna che non mi scappi più…
e un gelato al limon
gelato al limon, gelato al limon
E ti offro l'intelligenza degli elettricisti
cosi almeno un pò di luce avrà
la nostra stanza negli alberghi tristi
dove la notte calda ci scioglierà.
Come… un gelato al limon,
gelato al limon, gelato al limon…
(P. Conte)
lunedì 29 ottobre 2007
It was a new day yesterday but it's an old day now
"Whenever I get to feel this way,
try to find new words to say,
I think about the bad old days
we used to know.
Nights of winter turn me cold -
fears of dying, getting old.
We ran the race and the race was won
by running slowly.
Could be soon we'll cease to sound,
slowly upstairs, faster down.
Then to revisit stony grounds,
we used to know.
Remembering mornings, shillings spent,
made no sense to leave the bed.
The bad old days they came and went
giving way to fruitful years.
Saving up the birds in hand
while in the bush the others land.
Take what we can before the man
says it's time to go.
Each to his own way, I'll go mine.
Best of luck in what you find.
But for your own sake remember times
we used to know."
("Stand up", Jethro Tull)
try to find new words to say,
I think about the bad old days
we used to know.
Nights of winter turn me cold -
fears of dying, getting old.
We ran the race and the race was won
by running slowly.
Could be soon we'll cease to sound,
slowly upstairs, faster down.
Then to revisit stony grounds,
we used to know.
Remembering mornings, shillings spent,
made no sense to leave the bed.
The bad old days they came and went
giving way to fruitful years.
Saving up the birds in hand
while in the bush the others land.
Take what we can before the man
says it's time to go.
Each to his own way, I'll go mine.
Best of luck in what you find.
But for your own sake remember times
we used to know."
("Stand up", Jethro Tull)
domenica 28 ottobre 2007
Le domeniche in casa
"Un amico d'infanzia, dopo questa canzone,
mi ha detto 'È bellissima, è un incubo riuscito.
Ma dimmi, sogni spesso le cose che hai scritto?
Oppure le hai inventate solo per scandalizzare?'
'Amore, amore, naviga via,
devo ancora svegliarmi'."
("Cercando un altro Egitto")
mi ha detto 'È bellissima, è un incubo riuscito.
Ma dimmi, sogni spesso le cose che hai scritto?
Oppure le hai inventate solo per scandalizzare?'
'Amore, amore, naviga via,
devo ancora svegliarmi'."
("Cercando un altro Egitto")
sabato 27 ottobre 2007
Nient'altro che una superiorità di posizione
"Gli uomini, bisogna vederli dall'alto. Spegnevo la luce e mi mettevo alla finestra: essi neppure sospettavano che si potesse osservarli dal disopra. Curano la facciata, qualche volta la parte posteriore, ma tutti i loro effetti son calcolati per spettatori d'un metro e settanta. Chi ha mai riflettuto sulla forma di un cappello duro visto da un sesto piano? Gli uomini dimenticano di difendere spalle e crani con colori vivi e stoffe vistose, non sanno combattere questo grande nemico dell'umanità: la prospettiva dall'alto. Mi sporgevo e mi mettevo a ridere: dov'era andato a finire quel famoso "portamento eretto" di cui andavano così orgogliosi: erano spiaccicati sul marciapiede e due lunghe gambe mezzo rampanti uscivano da sotto le loro spalle.
Sul balcone d'un sesto piano: è qui che avrei dovuto passare tutta la vita. Bisogna puntellare le superiorità morali mediante simboli materiali, se no quelle si afflosciano. Ora, di preciso, qual è la mia superiorità sugli uomini? Nient'altro che una superiorità di posizione: io mi sono piazzato al di sopra dell'umano che è in me e lo contemplo. Ecco perché mi piacevano le torri di Notre Dame, le piattaforme della Torre Eiffel, il Sacro Cuore, il mio sesto piano in via Delambre. Sono simboli eccellenti.
Bisognava ogni tanto ridiscendere in istrada. Per andare all'ufficio, ad esempio. Soffocavo. Quando si è sullo stesso piano con gli uomini, è molto più difficile considerarli come formiche: ci toccano."
(J.P. Sartre, "Erostrato", trad. E. Giolitti)
Sul balcone d'un sesto piano: è qui che avrei dovuto passare tutta la vita. Bisogna puntellare le superiorità morali mediante simboli materiali, se no quelle si afflosciano. Ora, di preciso, qual è la mia superiorità sugli uomini? Nient'altro che una superiorità di posizione: io mi sono piazzato al di sopra dell'umano che è in me e lo contemplo. Ecco perché mi piacevano le torri di Notre Dame, le piattaforme della Torre Eiffel, il Sacro Cuore, il mio sesto piano in via Delambre. Sono simboli eccellenti.
Bisognava ogni tanto ridiscendere in istrada. Per andare all'ufficio, ad esempio. Soffocavo. Quando si è sullo stesso piano con gli uomini, è molto più difficile considerarli come formiche: ci toccano."
(J.P. Sartre, "Erostrato", trad. E. Giolitti)
La leggenda dello slovacco bevitore
Cari amici,
sono lieto di comunicarvi che la triste profezia dello slovacco ubriaco non si è verificata: a tutto il 27 ottobre, sono ancora vivo.
(e puzzo di fritto, me tapino)
"Abbiamo trovato uno scompartimento di prima classe e siamo saliti. Dovevamo fare un bel viaggetto di 14 ore, grazie allo zio Bernard. Dopo essere saliti abbiamo scoperto che era un treno senza bar, senza carrozza ristorante, senza nemmeno un servizio di carrello che passasse nel corridoio. Saremmo rimasti senza cibo, senza acqua e senza sbobba per 14 ore; al treno non sarebbe stata aggiunta nessuna carrozza. Comunque c'erano i gabinetti. Nizza era stata poco gratificante...
Siamo arrivati a Mannheim e dalla stazione abbiamo telefonato a Carl.
'Arrivo subito', ha detto.
È stato di parola. Siamo andati al Park Hotel e ci hanno dato la suite 218, che dava sul parco con il serbatoio sopraelevato e le fontane. Dovevo andare ad Amburgo a tenere una lettura di poesie. Ancora non posso soffrire le letture di poesie; mi ubriaco e litigo con il pubblico. Non ho mai scritto poesie per leggerle, ma di certo mi rendeva i soldi per l'affitto. A tutti i poeti che ho conosciuto, e ne ho conosciuti troppi, piace tenere letture. Io mi sono sempre sentito solitario, disadattato, ma i miei confratelli poeti sono molto estroversi, molto socievoli, a quanto pare. Non mi piacciono, li evito. Quella sera Carl ci ha invitato a cena a casa sua. Ho detto: 'Va bene, ma andiamo a comperare un po' di vino'. Così siamo scesi in strada e abbiamo comperato moltissimo vino. Abbiamo anche acquistato degli impermeabili. Pioveva di continuo. Il Reno straripava. La chiamavano 'L'inondazione del secolo'.
Dovunque vado provoco sempre condizioni atmosferiche tremende. Una volta ho fatto una lettura nell'Illinois e il giorno dopo hanno avuto il peggior tornado della loro storia, e un mese dopo è morto il poeta che aveva organizzato la lettura. Una volta ho tenuto una lettura al Museo d'Arte Moderna di Houston e dopo che me ne sono andato c'è stata un'inondazione improvvisa che ha distrutto il museo e rovinato opere d'arte per un valore di un milione e mezzo di dollari. Una volta ho tenuto una lettura all'Istituto delle Arti della California e più tardi, nella casa in montagna del professore, mentre bevevo scotch e guardavo le gambe di sua moglie, degli avvoltoi hanno volato in tondo sopra il tetto e uno è sceso nel cortile. È per questa ragione che mi faccio sempre pagare molto, per le mie letture: non so mai se ne uscirò vivo."
(C. Bukowski, "Shakespeare non l'ha mai fatto", trad. L. Schenoni)
sono lieto di comunicarvi che la triste profezia dello slovacco ubriaco non si è verificata: a tutto il 27 ottobre, sono ancora vivo.
(e puzzo di fritto, me tapino)
"Abbiamo trovato uno scompartimento di prima classe e siamo saliti. Dovevamo fare un bel viaggetto di 14 ore, grazie allo zio Bernard. Dopo essere saliti abbiamo scoperto che era un treno senza bar, senza carrozza ristorante, senza nemmeno un servizio di carrello che passasse nel corridoio. Saremmo rimasti senza cibo, senza acqua e senza sbobba per 14 ore; al treno non sarebbe stata aggiunta nessuna carrozza. Comunque c'erano i gabinetti. Nizza era stata poco gratificante...
Siamo arrivati a Mannheim e dalla stazione abbiamo telefonato a Carl.
'Arrivo subito', ha detto.
È stato di parola. Siamo andati al Park Hotel e ci hanno dato la suite 218, che dava sul parco con il serbatoio sopraelevato e le fontane. Dovevo andare ad Amburgo a tenere una lettura di poesie. Ancora non posso soffrire le letture di poesie; mi ubriaco e litigo con il pubblico. Non ho mai scritto poesie per leggerle, ma di certo mi rendeva i soldi per l'affitto. A tutti i poeti che ho conosciuto, e ne ho conosciuti troppi, piace tenere letture. Io mi sono sempre sentito solitario, disadattato, ma i miei confratelli poeti sono molto estroversi, molto socievoli, a quanto pare. Non mi piacciono, li evito. Quella sera Carl ci ha invitato a cena a casa sua. Ho detto: 'Va bene, ma andiamo a comperare un po' di vino'. Così siamo scesi in strada e abbiamo comperato moltissimo vino. Abbiamo anche acquistato degli impermeabili. Pioveva di continuo. Il Reno straripava. La chiamavano 'L'inondazione del secolo'.
Dovunque vado provoco sempre condizioni atmosferiche tremende. Una volta ho fatto una lettura nell'Illinois e il giorno dopo hanno avuto il peggior tornado della loro storia, e un mese dopo è morto il poeta che aveva organizzato la lettura. Una volta ho tenuto una lettura al Museo d'Arte Moderna di Houston e dopo che me ne sono andato c'è stata un'inondazione improvvisa che ha distrutto il museo e rovinato opere d'arte per un valore di un milione e mezzo di dollari. Una volta ho tenuto una lettura all'Istituto delle Arti della California e più tardi, nella casa in montagna del professore, mentre bevevo scotch e guardavo le gambe di sua moglie, degli avvoltoi hanno volato in tondo sopra il tetto e uno è sceso nel cortile. È per questa ragione che mi faccio sempre pagare molto, per le mie letture: non so mai se ne uscirò vivo."
(C. Bukowski, "Shakespeare non l'ha mai fatto", trad. L. Schenoni)
venerdì 26 ottobre 2007
Life on Mars?
It's a God awful small affair
To the girl with the mousey hair,
But her mummy is yelling, "No!"
And her daddy has told her to go,
But her friend is no where to be seen.
Now she walks through her sunken dream
To the seats with the clearest view
And she's hooked to the silver screen,
But the film is sadd'ning bore
For she's lived it ten times or more.
She could spit in the eyes of fools
As they ask her to focus on
Sailors
Fighting in the dance hall.
Oh man!
Look at those cavemen go.
It's the freakiest show.
Take a look at the lawman
Beating up the wrong guy.
Oh man!
Wonder if he'll ever know
He's in the best selling show.
Is there life on Mars?
It's on America's tortured brow
That Mickey Mouse has grown up a cow.
Now the workers have struck for fame
'Cause Lennon's on sale again.
See the mice in their million hordes
From Ibeza to the Norfolk Broads.
Rule Britannia is out of bounds
To my mother, my dog, and clowns,
But the film is a sadd'ning bore
'Cause I wrote it ten times or more.
It's about to be writ again
As I ask you to focus on
Sailors
Fighting in the dance hall.
Oh man!
Look at those cavemen go.
It's the freakiest show.
Take a look at the lawman
Beating up the wrong guy.
Oh man!
Wonder if he'll ever know
He's in the best selling show.
Is there life on Mars?
(D. Bowie)
To the girl with the mousey hair,
But her mummy is yelling, "No!"
And her daddy has told her to go,
But her friend is no where to be seen.
Now she walks through her sunken dream
To the seats with the clearest view
And she's hooked to the silver screen,
But the film is sadd'ning bore
For she's lived it ten times or more.
She could spit in the eyes of fools
As they ask her to focus on
Sailors
Fighting in the dance hall.
Oh man!
Look at those cavemen go.
It's the freakiest show.
Take a look at the lawman
Beating up the wrong guy.
Oh man!
Wonder if he'll ever know
He's in the best selling show.
Is there life on Mars?
It's on America's tortured brow
That Mickey Mouse has grown up a cow.
Now the workers have struck for fame
'Cause Lennon's on sale again.
See the mice in their million hordes
From Ibeza to the Norfolk Broads.
Rule Britannia is out of bounds
To my mother, my dog, and clowns,
But the film is a sadd'ning bore
'Cause I wrote it ten times or more.
It's about to be writ again
As I ask you to focus on
Sailors
Fighting in the dance hall.
Oh man!
Look at those cavemen go.
It's the freakiest show.
Take a look at the lawman
Beating up the wrong guy.
Oh man!
Wonder if he'll ever know
He's in the best selling show.
Is there life on Mars?
(D. Bowie)
Circo abusivo
Un delirio di musica balcanica. Una frenesia forsennata, un’ebbrezza strepitosa, una taranta carsica. Fisarmonica trombone batteria basso-tuba chitarra cappelli colbacchi paillette colori sgargianti fantasie gilet.
Le gambe volano; grida di gioia. La stazione diventa un matrimonio gitano, dove i danzatori baffuti si contendono la sposa e lo sposo si tuffa nel vino rosso.
Poi, di rapido (!) passo, verso i treni. Verso la ferraglia in pausa. Giri l’angolo del binario 1 e, nel perdurare folle della musica sempre più ripida, resti sospeso nel vuoto, accanto a Luigi Negrelli in mezzobusto, a cerniere in terra (cadute da chissà quale giacca), binari, vernice sui muri (“TRENTO”, stazione di Trento), tabacchi - giornali. Immagini di silenzio, e completa assenza di movimento, nel sottofondo invasato della musica. Sospeso, come parole che non escono.
Le gambe volano; grida di gioia. La stazione diventa un matrimonio gitano, dove i danzatori baffuti si contendono la sposa e lo sposo si tuffa nel vino rosso.
Poi, di rapido (!) passo, verso i treni. Verso la ferraglia in pausa. Giri l’angolo del binario 1 e, nel perdurare folle della musica sempre più ripida, resti sospeso nel vuoto, accanto a Luigi Negrelli in mezzobusto, a cerniere in terra (cadute da chissà quale giacca), binari, vernice sui muri (“TRENTO”, stazione di Trento), tabacchi - giornali. Immagini di silenzio, e completa assenza di movimento, nel sottofondo invasato della musica. Sospeso, come parole che non escono.
giovedì 25 ottobre 2007
Le rondini sotto il soffitto
Ogni scelta è una rinuncia ad un viaggio immaginario.
Ogni scelta è una rinuncia ad un viaggio. Immaginario?
(forse forse a Trento torna il sole)
Ogni scelta è una rinuncia ad un viaggio. Immaginario?
(forse forse a Trento torna il sole)
I modi dei nodi - Time table (Banks/Collins/Gabriel/Hackett/Rutherford)
Alla sera i nodi vengono al pettine.
Una settimana è passata. Un mese, quasi. Cammino o striscio, con gli occhi fissi. In mezzo alle risate, alle pozzanghere e ai fazzoletti. Cammino o striscio: saltello, più che altro, sulle mani. Noblesse oblige.
(Troppe volte zero, baby, non vuol dire uno.)
Gli alberi cominciano a perdere i capelli. (Non è solo la terra ad essere pesante da portare.) Si staccano ed oscillano, salgono un poco e poi cadono in picchiata, brillando inumiditi ai raggi del sole. Si raccolgono a terra, in mucchi o piccoli gruppi, in (dolce) attesa di una spazzolata di vento.
Che mattinata veneziana. Dov’è l’Harry’s bar? Voglio innamorarmi di un canale.
E andiamo a Genova con i suoi svincoli micidiali
O a Milano con i suoi sarti ed i suoi giornali (i suoi terrori settentrionali?)
O a Venezia che sogna e si bagna sui suoi canali
O a Bologna, a Bologna coi suoi orchestrali.
Se non avessi il gesso, potrei tagliare la corda. Pardon, saltare.
Penso alle strade di Padova, ai suoi portici, a zone che conosco bene, ad altre che non ho visto, che non vedrò, dove magari ora c’è Giulia. Boh. Io sono a Trento e vorrei andare a Bologna. O a Venezia, vista la mattina. Quando piove, a Venezia, che succede?
Faccio a pugni con te,
poi ti vengo a cercare.
Benedico e ringrazio
e maledico il mondo, com'è.
E mi domando perché
ti dovrei chiamare?
Tutte le volte che passi
e ti fermi lontano, lontano da me.
Sarà come sarà,
se sarà vero.
Sarà come sarà.
Sarà che mi dirai “vai avanti”
e poi nasconderai
la fine del sentiero, però
ti leggo nel pensiero.
Le mie chiavi di casa
puoi tenertele tu.
Per trovarmi una stanza
ed un pezzo di pane,
non mi servono più.
Sarà che mi vedrai tremare
durante il temporale
ed alzare la testa e bestemmiare
quando torna il sole.
Sarà come sarà,
se sarà vero.
Sarà come sarà.
Sarà che inciamperò da qualche parte
e poi ripartirò, da zero, però
ti leggo nel pensiero.
Chiedimi perdono per come sono
perché è così che mi hai voluto tu!
Prendimi per il collo, prendimi per mano
che non mi trovo più...
Torno a casa la notte
e non mi lasciano entrare.
E nemmeno ci provo a chiamarti per nome,
e nemmeno ci provo a bussare.
Ma tu davvero sai prendere il miele
e trasformarlo in pane?
Davvero sai pescare un uomo
caduto nel mare?
Sarà come sarà,
se sarà vero.
Sarà come sarà
e mi vedrai davvero.
Poco prima dell'alba,
quando il buio è più nero, però
ti leggo nel pensiero.
Ti leggo nel pensiero.
(“Ti leggo nel pensiero”)
Alla sera i modi vengono al pettine.
Una settimana è passata. Un mese, quasi. Cammino o striscio, con gli occhi fissi. In mezzo alle risate, alle pozzanghere e ai fazzoletti. Cammino o striscio: saltello, più che altro, sulle mani. Noblesse oblige.
(Troppe volte zero, baby, non vuol dire uno.)
Gli alberi cominciano a perdere i capelli. (Non è solo la terra ad essere pesante da portare.) Si staccano ed oscillano, salgono un poco e poi cadono in picchiata, brillando inumiditi ai raggi del sole. Si raccolgono a terra, in mucchi o piccoli gruppi, in (dolce) attesa di una spazzolata di vento.
Che mattinata veneziana. Dov’è l’Harry’s bar? Voglio innamorarmi di un canale.
E andiamo a Genova con i suoi svincoli micidiali
O a Milano con i suoi sarti ed i suoi giornali (i suoi terrori settentrionali?)
O a Venezia che sogna e si bagna sui suoi canali
O a Bologna, a Bologna coi suoi orchestrali.
Se non avessi il gesso, potrei tagliare la corda. Pardon, saltare.
Penso alle strade di Padova, ai suoi portici, a zone che conosco bene, ad altre che non ho visto, che non vedrò, dove magari ora c’è Giulia. Boh. Io sono a Trento e vorrei andare a Bologna. O a Venezia, vista la mattina. Quando piove, a Venezia, che succede?
Faccio a pugni con te,
poi ti vengo a cercare.
Benedico e ringrazio
e maledico il mondo, com'è.
E mi domando perché
ti dovrei chiamare?
Tutte le volte che passi
e ti fermi lontano, lontano da me.
Sarà come sarà,
se sarà vero.
Sarà come sarà.
Sarà che mi dirai “vai avanti”
e poi nasconderai
la fine del sentiero, però
ti leggo nel pensiero.
Le mie chiavi di casa
puoi tenertele tu.
Per trovarmi una stanza
ed un pezzo di pane,
non mi servono più.
Sarà che mi vedrai tremare
durante il temporale
ed alzare la testa e bestemmiare
quando torna il sole.
Sarà come sarà,
se sarà vero.
Sarà come sarà.
Sarà che inciamperò da qualche parte
e poi ripartirò, da zero, però
ti leggo nel pensiero.
Chiedimi perdono per come sono
perché è così che mi hai voluto tu!
Prendimi per il collo, prendimi per mano
che non mi trovo più...
Torno a casa la notte
e non mi lasciano entrare.
E nemmeno ci provo a chiamarti per nome,
e nemmeno ci provo a bussare.
Ma tu davvero sai prendere il miele
e trasformarlo in pane?
Davvero sai pescare un uomo
caduto nel mare?
Sarà come sarà,
se sarà vero.
Sarà come sarà
e mi vedrai davvero.
Poco prima dell'alba,
quando il buio è più nero, però
ti leggo nel pensiero.
Ti leggo nel pensiero.
(“Ti leggo nel pensiero”)
Alla sera i modi vengono al pettine.
mercoledì 24 ottobre 2007
Un po' troppo (One of my turns - Waters)
Scrivo troppo.
Cheeeeeeeeeee giornata uggiosa. Mi confondo nel delicato Suono del Tuono.
Compleanno di Giulia.
La colazione dolce è (solo) una barbara abitudine italiana, secondo me. Questa mattina è più salata, più che altro.
Mercoledì. Mercoledì. Mercoledì. Percolante mercoledì. Ne siete proprio sicuri?
Lettore di “Herzog”; forse Herzog stesso. Alcuni pensieri mi hanno ormai gettato qui, ed ora... eccoci qui.
Tanti auguri, amore mio.
Ore 2:48: Sarà stato stupido ma io adesso rutto noccioline. Non è da tutti, cazzo.
Ore 2:53: Ora vorrei essere spaventoso.
(penso molto -MOLTO- intensamente a “Lookin’ out my back door” e al Grande Lebowski che si scotta)
La compagnia, ier’ sera, la tavolata, insomma, era molto simile al non-compleanno di Alice. Cappellai matti e altre comparse.
“Al di là dell'innocenza e al di là della pietà, al di là delle emozioni e al di là della realtà. Al di là dei lunghi inverni e del povero che chiama la sua povertà. Nasceranno bambini vestiti di cielo, suonatori di flauto. Al di là delle bottiglie che ti portano lontano, al di là della pazienza che ti fa morire piano. Al di là dei pomeriggi in cui fabbrichi il tuo mondo che ti tradirà. Nasceranno bambini vestiti di cielo, suonatori di flauto.
Ho visto torri alte e un Paradiso, crescere sopra isole deserte, dov'eri tu quando parlavo tanto, ed ero solo come è una bestemmia. Torre d'avorio e pena nella notte, cristallizzato nella tua agonia. Dov'eri tu vestito da scolaro, quando dormivo senza avere sogni, dov'eri tu col tuo sorriso onesto, dov'eri tu col tuo vestito hippy e il tuo ospedale per i cuori infranti, chiusi dentro un cassetto insieme al vino, dov'eri tu con il tuo buonumore. Tu mi stavi ammazzando, tu mi stavi ammazzando con amore. E io dormivo dove era più freddo, dentro il mio pozzo ormai senza pudore, con il mio cuore stranamente nudo e mi dicevo adesso si che sto crescendo, invece era soltanto una stazione, certezza necessaria e sufficiente, utile tutt'al più per affogare, per liberarmi da un vestito stretto ed indossarne uno un po' più largo. Dov'eri tu che mi dicevi sempre, "Guarda che bello, come siamo pazzi". Dov'eri tu quando restavo zitto ed ero ingenuo come era una bestemmia, dov'eri tu con la pace nel cuore. Tu mi stavi ammazzando, tu mi stavi ammazzando con amore. E adesso guarda ho rotto il mio orologio e ho costruito la mia stanza a specchi e cullo il mio suicidio come un bimbo che aspetta il giorno che verrà Natale e non invidio la tua casa bianca, dove resisterai fino a cent'anni, per finire su un letto di granito, con il conforto della tua coscienza, le mani nette e il cuore di cristallo e i cani abbaieranno a mezza voce. Io forse allora non sarò più niente, solo una ‘X’ nel ciclo dell'azoto, se c'è un inferno mi saprà ascoltare. Buonanotte fratello, buonanotte fratello con amore.”
Che dolore, questa musica (F.D.G.), che dolore. Che dolore, questa bottiglia quasi vuota.
Oggi è il compleanno di Giacomo Bulgarelli; qualcuno lo sapeva? Festeggio alla grande con una bella bottiglia (piena) di acqua. Fresca. Vera. Nestlé. E la carrozza ritornata zucca (rintronata).
Mio padre fumava la pipa. Ha smesso. Non ricordo bene come facesse, ma... si devono fare almeno tre cariche, mi dicevano. La prima molto leggera, la seconda intermedia, la terza pigiata. Penso che si tratti di un percorso di avvicinamento al calore del fornello. Funziona. Giulia ha una pipa; gliel'ho regalata io, tanto, tanto tempo fa. L'abbiamo fumata insieme, qualche volta. Tanto, tanto tempo fa.
“E poi e poi, gente viene qui e ti dice di sapere già ogni legge delle cose. E tutti, sai, vantano un orgoglio cieco di verità fatte di formule vuote... E tutti, sai, ti san dire come fare, quali leggi rispettare, quali regole osservare, qual è il vero vero...”
Ma perché sei proprio in ogni, ogni canzone? In tutte e ciascuna nota, in queste parole?
“E poi e poi, se ti scopri a ricordare, ti accorgerai che non te ne importa niente e capirai che una sera o una stagione son come lampi, luci accese e dopo spente e capirai che la vera ambiguità è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini... E poi, e poi, che quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere, vivere e poi, poi vivere e poi, poi vivere...”
Vorrei urlare. Dare un calcio ad un sasso e buttarlo nel mare. Però vorrei anche arrivare fino in fondo. Forse dovrei andare via da Trento; a momenti mi sento schiacciare dai suoi bei muri. Non sono morto né guarito, ma ci sto provando, eccome. Risolutamente. Eccomi qui.
Hai ragione sulla luna, ma sbagli riguardo alle stelle, così fredde da sembrare aghi. Buon compleanno, amore mio. Addio, amore mio.
Rileggo lettere? Non rileggo lettere. Forse è meglio di no.
Il cappellaio matto mi ha invitato alla sua festa. Intanto corre via.
Suvvia, mitighiamo i bassi, mitighiamo gli alti.
“restaron soltanto il mare e un bikini amaranto”...
Forza forza forza forza forza forza forza. Dopo la scrittura, sempre meglio. Però scrivo troppo.
Cheeeeeeeeeee giornata uggiosa. Mi confondo nel delicato Suono del Tuono.
Compleanno di Giulia.
La colazione dolce è (solo) una barbara abitudine italiana, secondo me. Questa mattina è più salata, più che altro.
Mercoledì. Mercoledì. Mercoledì. Percolante mercoledì. Ne siete proprio sicuri?
Lettore di “Herzog”; forse Herzog stesso. Alcuni pensieri mi hanno ormai gettato qui, ed ora... eccoci qui.
Tanti auguri, amore mio.
Ore 2:48: Sarà stato stupido ma io adesso rutto noccioline. Non è da tutti, cazzo.
Ore 2:53: Ora vorrei essere spaventoso.
(penso molto -MOLTO- intensamente a “Lookin’ out my back door” e al Grande Lebowski che si scotta)
La compagnia, ier’ sera, la tavolata, insomma, era molto simile al non-compleanno di Alice. Cappellai matti e altre comparse.
“Al di là dell'innocenza e al di là della pietà, al di là delle emozioni e al di là della realtà. Al di là dei lunghi inverni e del povero che chiama la sua povertà. Nasceranno bambini vestiti di cielo, suonatori di flauto. Al di là delle bottiglie che ti portano lontano, al di là della pazienza che ti fa morire piano. Al di là dei pomeriggi in cui fabbrichi il tuo mondo che ti tradirà. Nasceranno bambini vestiti di cielo, suonatori di flauto.
Ho visto torri alte e un Paradiso, crescere sopra isole deserte, dov'eri tu quando parlavo tanto, ed ero solo come è una bestemmia. Torre d'avorio e pena nella notte, cristallizzato nella tua agonia. Dov'eri tu vestito da scolaro, quando dormivo senza avere sogni, dov'eri tu col tuo sorriso onesto, dov'eri tu col tuo vestito hippy e il tuo ospedale per i cuori infranti, chiusi dentro un cassetto insieme al vino, dov'eri tu con il tuo buonumore. Tu mi stavi ammazzando, tu mi stavi ammazzando con amore. E io dormivo dove era più freddo, dentro il mio pozzo ormai senza pudore, con il mio cuore stranamente nudo e mi dicevo adesso si che sto crescendo, invece era soltanto una stazione, certezza necessaria e sufficiente, utile tutt'al più per affogare, per liberarmi da un vestito stretto ed indossarne uno un po' più largo. Dov'eri tu che mi dicevi sempre, "Guarda che bello, come siamo pazzi". Dov'eri tu quando restavo zitto ed ero ingenuo come era una bestemmia, dov'eri tu con la pace nel cuore. Tu mi stavi ammazzando, tu mi stavi ammazzando con amore. E adesso guarda ho rotto il mio orologio e ho costruito la mia stanza a specchi e cullo il mio suicidio come un bimbo che aspetta il giorno che verrà Natale e non invidio la tua casa bianca, dove resisterai fino a cent'anni, per finire su un letto di granito, con il conforto della tua coscienza, le mani nette e il cuore di cristallo e i cani abbaieranno a mezza voce. Io forse allora non sarò più niente, solo una ‘X’ nel ciclo dell'azoto, se c'è un inferno mi saprà ascoltare. Buonanotte fratello, buonanotte fratello con amore.”
Che dolore, questa musica (F.D.G.), che dolore. Che dolore, questa bottiglia quasi vuota.
Oggi è il compleanno di Giacomo Bulgarelli; qualcuno lo sapeva? Festeggio alla grande con una bella bottiglia (piena) di acqua. Fresca. Vera. Nestlé. E la carrozza ritornata zucca (rintronata).
Mio padre fumava la pipa. Ha smesso. Non ricordo bene come facesse, ma... si devono fare almeno tre cariche, mi dicevano. La prima molto leggera, la seconda intermedia, la terza pigiata. Penso che si tratti di un percorso di avvicinamento al calore del fornello. Funziona. Giulia ha una pipa; gliel'ho regalata io, tanto, tanto tempo fa. L'abbiamo fumata insieme, qualche volta. Tanto, tanto tempo fa.
“E poi e poi, gente viene qui e ti dice di sapere già ogni legge delle cose. E tutti, sai, vantano un orgoglio cieco di verità fatte di formule vuote... E tutti, sai, ti san dire come fare, quali leggi rispettare, quali regole osservare, qual è il vero vero...”
Ma perché sei proprio in ogni, ogni canzone? In tutte e ciascuna nota, in queste parole?
“E poi e poi, se ti scopri a ricordare, ti accorgerai che non te ne importa niente e capirai che una sera o una stagione son come lampi, luci accese e dopo spente e capirai che la vera ambiguità è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini... E poi, e poi, che quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere, vivere e poi, poi vivere e poi, poi vivere...”
Vorrei urlare. Dare un calcio ad un sasso e buttarlo nel mare. Però vorrei anche arrivare fino in fondo. Forse dovrei andare via da Trento; a momenti mi sento schiacciare dai suoi bei muri. Non sono morto né guarito, ma ci sto provando, eccome. Risolutamente. Eccomi qui.
Hai ragione sulla luna, ma sbagli riguardo alle stelle, così fredde da sembrare aghi. Buon compleanno, amore mio. Addio, amore mio.
Rileggo lettere? Non rileggo lettere. Forse è meglio di no.
Il cappellaio matto mi ha invitato alla sua festa. Intanto corre via.
Suvvia, mitighiamo i bassi, mitighiamo gli alti.
“restaron soltanto il mare e un bikini amaranto”...
Forza forza forza forza forza forza forza. Dopo la scrittura, sempre meglio. Però scrivo troppo.
Ad esempio, scooter, vacanze, autunno
Ecco. Incompreso.
"S130 is not on. Not that I'm playin' that great but still in all I oughta be able to hear it, y'know what I mean ?
Are you hearing it now ?
No. Now. It's too loud. I can't play that good. Am I havin' some of that Texas accent back ?
I hope so.
But I always sound like this, man, I hear myself on tape I always sound like this.
Take 5.
God! Shall I start that way ? Ready ?
Over to you baby.
Busted flat in Baton Rouge, waiting for a train
And I's feelin' nearly as faded as my jeans.
Bobby thumbed a diesel down just before it rained,
It rode us all the way in to New Orleans.
I pulled my harpoon out of my dirty red bandanna,
An' I's playin' soft while Bobby sang the blues, yeah.
Windshield wipers slapping time, I was holding Bobby's hand in mine,
We sang every song that driver knew.
Freedom is just another word for nothing left to lose,
Nothing don't mean nothing honey if it ain't free.
Yeah, an' feeling good was easy, Lord, when he sang the blues,
You know feeling good was good enough for me, hmm mm,
Good enough for me and my Bobby McGee.
From the Kentucky coal mines to the California sun,
Bobby shared the secrets of my soul.
Through all kinds of weather, through everything that we done,
Said Bobby baby, he kept me from the cold.
One day up near Salinas, Lord, I let him slip away,
But he was lookin' for that home and I hope he finds it.
But I'd trade all of my tomorrows for one single yesterday
To be holdin' Bobby's body next to mine.
Freedom's just another word for nothing left to lose,
Nothing, that's all that Bobby left me, yeah.
Feelin' good was easy, Lord, when he sang the blues,
I said feeling good was good enough for me, hmm mm,
It's good enough for me and my Bobby McGee.
La la la, la la la la, la la la, la la la la
La la la la la Bobby McGee.
La la la la la, la la la la la
La la la la la la, Bobby McGee.
La la la, la la la la la la,
La la la, la la la la la la,
Na na na na na na na na, Bobby McGee, yeah.
Na na na na na na na na, na na na na,
Na na na na na na na na, na na na na,
Hey now Bobby Lord, Bobby McGee, yeah.
Hell, I'm calling my lover, calling my man,
I said I'm calling my lover, I do the best I can,
I said now c'mon,Bobby now, come on Bobby McGee, yeah.
Lordy, Lordy, Lordy, Lordy, Lordy, Lordy, Lordy Lord
Hey, hey, hey, Bobby McGee, yeah!
That's when somebody else has to take over."
(diciamo J. Joplin)
"S130 is not on. Not that I'm playin' that great but still in all I oughta be able to hear it, y'know what I mean ?
Are you hearing it now ?
No. Now. It's too loud. I can't play that good. Am I havin' some of that Texas accent back ?
I hope so.
But I always sound like this, man, I hear myself on tape I always sound like this.
Take 5.
God! Shall I start that way ? Ready ?
Over to you baby.
Busted flat in Baton Rouge, waiting for a train
And I's feelin' nearly as faded as my jeans.
Bobby thumbed a diesel down just before it rained,
It rode us all the way in to New Orleans.
I pulled my harpoon out of my dirty red bandanna,
An' I's playin' soft while Bobby sang the blues, yeah.
Windshield wipers slapping time, I was holding Bobby's hand in mine,
We sang every song that driver knew.
Freedom is just another word for nothing left to lose,
Nothing don't mean nothing honey if it ain't free.
Yeah, an' feeling good was easy, Lord, when he sang the blues,
You know feeling good was good enough for me, hmm mm,
Good enough for me and my Bobby McGee.
From the Kentucky coal mines to the California sun,
Bobby shared the secrets of my soul.
Through all kinds of weather, through everything that we done,
Said Bobby baby, he kept me from the cold.
One day up near Salinas, Lord, I let him slip away,
But he was lookin' for that home and I hope he finds it.
But I'd trade all of my tomorrows for one single yesterday
To be holdin' Bobby's body next to mine.
Freedom's just another word for nothing left to lose,
Nothing, that's all that Bobby left me, yeah.
Feelin' good was easy, Lord, when he sang the blues,
I said feeling good was good enough for me, hmm mm,
It's good enough for me and my Bobby McGee.
La la la, la la la la, la la la, la la la la
La la la la la Bobby McGee.
La la la la la, la la la la la
La la la la la la, Bobby McGee.
La la la, la la la la la la,
La la la, la la la la la la,
Na na na na na na na na, Bobby McGee, yeah.
Na na na na na na na na, na na na na,
Na na na na na na na na, na na na na,
Hey now Bobby Lord, Bobby McGee, yeah.
Hell, I'm calling my lover, calling my man,
I said I'm calling my lover, I do the best I can,
I said now c'mon,Bobby now, come on Bobby McGee, yeah.
Lordy, Lordy, Lordy, Lordy, Lordy, Lordy, Lordy Lord
Hey, hey, hey, Bobby McGee, yeah!
That's when somebody else has to take over."
(diciamo J. Joplin)
martedì 23 ottobre 2007
(abbastanza fuso)
Esame: fatto. Inglese: decoroso. Presenza scenica: ottima (complice il mio completo di velluto a coste, marrone). Le quotazioni delle mie attività (di lavoro, beninteso) riprendono quota. Lo vedi, tu, com’è... fare e disfare. Ah.
Se stiamo abbastanza bene (ehi, sottovoce) è già qualcosa. Anche quando sbagliamo i compiti...
(la sento solo io quest’armonica a bocca?)
La tv mi ricorda che “Mediterraneo” è dedicato a “tutti quelli che stanno scappando”; via, via, e poi via... Io, dal canto mio, che di mestiere non faccio il dio, penso alla vecchia signora sorridente che era qui poco fa e che non ha più tempo, non conta più i punti. (Di invisibili cicatrici?)
Facciamo del nostro meglio. Senza sorrisi di stucco - per carità!: in fin dei conti solo fastidiosi. Ma , indietro indietro, neppure smorfie (quasi allocutorie); tutt’al più pernacchie, o grandi soffi ad occhi chiusi. (Spalanca gli occhi, adesso, e guarda qui!)
Amo il Mediterraneo (lo sporco Mediterraneo, come dice Bukowski) e mi ci tuffo!
“Ci fu il periodo nel quale vendette cosmetici porta a porta. Lui li chiamava “trucchi”, per ricordarsi che erano un raggiro al mondo e, più in piccolo (o più in grande), a se stessi. Si presentava alle porte uguali di villette uguali, disposte in fila per due o per cinque, con il suo vestito chiaro ed il suo panama estivo ruotato leggermente all’indietro; sorrideva, e recitava “A quali trucchi si affida?”, o magari “Lei, signora, lo vedo bene, è piena di trucchi”. Non restava mai deluso; tutt’al più disilluso.
Quando suonava la chitarra e cantava con la sua voce dolente, con le sue note dolorose, chinato in avanti, ricordo che i suoi capelli erano abbastanza lunghi da coprire le spalle e la cinghia. Intorno al fuoco, insieme a Marlon Brando e a Pochaontas, raccontava dolcemente, con gli occhi socchiusi e le labbra scostate dal microfono, di viaggi e intemperie, delle stelle del Messico, di orari e bandiere. Poi si fermava, prendeva l’armonica e la suonava a lungo, con note lente e intense, quasi come avesse voluto frenare e attutire gli scoppiettii del fuoco, o forse noi; noi, che ce ne stavamo a contemplare lui, il fuoco e le stelle del Messico.
Ieri l’ho rivisto. Sulla riva di un fiume. Agitava davanti a sé un sottile bastone, quasi uno stelo, fendendo l’aria come per ferirla, ma con un movimento flemmatico, simile ad una proiezione rallentata. Non ho pianto.”
(LF, da “L'abito non fa [niente]”)
Anche oggi mi ha assalito una specie di folle dostoevskijana febbre, che mi rendeva febbrile (sic), veloce (macché stampelle) e ficcante nel parlare. Che mi ha portato oltre il mio lavoro anche se l’avevo tanto trascurato (ed era uscito pazzo dal dolore, poveretto).
E poi mi ha lasciato stupito, e divertito. Come il vincitore di un gioco; ma che gioco?
(abbastanza bene, anch’io, devo essere sincero)
Se stiamo abbastanza bene (ehi, sottovoce) è già qualcosa. Anche quando sbagliamo i compiti...
(la sento solo io quest’armonica a bocca?)
La tv mi ricorda che “Mediterraneo” è dedicato a “tutti quelli che stanno scappando”; via, via, e poi via... Io, dal canto mio, che di mestiere non faccio il dio, penso alla vecchia signora sorridente che era qui poco fa e che non ha più tempo, non conta più i punti. (Di invisibili cicatrici?)
Facciamo del nostro meglio. Senza sorrisi di stucco - per carità!: in fin dei conti solo fastidiosi. Ma , indietro indietro, neppure smorfie (quasi allocutorie); tutt’al più pernacchie, o grandi soffi ad occhi chiusi. (Spalanca gli occhi, adesso, e guarda qui!)
Amo il Mediterraneo (lo sporco Mediterraneo, come dice Bukowski) e mi ci tuffo!
“Ci fu il periodo nel quale vendette cosmetici porta a porta. Lui li chiamava “trucchi”, per ricordarsi che erano un raggiro al mondo e, più in piccolo (o più in grande), a se stessi. Si presentava alle porte uguali di villette uguali, disposte in fila per due o per cinque, con il suo vestito chiaro ed il suo panama estivo ruotato leggermente all’indietro; sorrideva, e recitava “A quali trucchi si affida?”, o magari “Lei, signora, lo vedo bene, è piena di trucchi”. Non restava mai deluso; tutt’al più disilluso.
Quando suonava la chitarra e cantava con la sua voce dolente, con le sue note dolorose, chinato in avanti, ricordo che i suoi capelli erano abbastanza lunghi da coprire le spalle e la cinghia. Intorno al fuoco, insieme a Marlon Brando e a Pochaontas, raccontava dolcemente, con gli occhi socchiusi e le labbra scostate dal microfono, di viaggi e intemperie, delle stelle del Messico, di orari e bandiere. Poi si fermava, prendeva l’armonica e la suonava a lungo, con note lente e intense, quasi come avesse voluto frenare e attutire gli scoppiettii del fuoco, o forse noi; noi, che ce ne stavamo a contemplare lui, il fuoco e le stelle del Messico.
Ieri l’ho rivisto. Sulla riva di un fiume. Agitava davanti a sé un sottile bastone, quasi uno stelo, fendendo l’aria come per ferirla, ma con un movimento flemmatico, simile ad una proiezione rallentata. Non ho pianto.”
(LF, da “L'abito non fa [niente]”)
Anche oggi mi ha assalito una specie di folle dostoevskijana febbre, che mi rendeva febbrile (sic), veloce (macché stampelle) e ficcante nel parlare. Che mi ha portato oltre il mio lavoro anche se l’avevo tanto trascurato (ed era uscito pazzo dal dolore, poveretto).
E poi mi ha lasciato stupito, e divertito. Come il vincitore di un gioco; ma che gioco?
(abbastanza bene, anch’io, devo essere sincero)
Sempre e per sempre
Cercarsi (e trovarsi) è bello e pacificante; farlo da sobri, è meraviglioso. Mi voglio meravigliare - vi voglio stupire.
Inchino, piroetta, inchino. Il naso rosso è finto, i grandi guanti pure, mentre il fiore (un po' avvizzito ma tenace) all'occhiello no. Inchino, piroetta, inchino.
"Pioggia e sole
cambiano
la faccia alle persone
Fanno il diavolo a quattro nel cuore e passano
e tornano
e non la smettono mai
Sempre e per sempre tu
ricordati
dovunque sei,
se mi cercherai
Sempre e per sempre
dalla stessa parte mi troverai
Ho visto gente andare, perdersi e tornare
e perdersi ancora
e tendere la mano a mani vuote
E con le stesse scarpe camminare
per diverse strade
o con diverse scarpe
su una strada sola
Tu non credere
se qualcuno ti dirà
che non sono più lo stesso ormai
Pioggia e sole abbaiano e mordono
ma lasciano, lasciano
il tempo che trovano
E il vero amore può
nascondersi,
confondersi
ma non può perdersi mai
Sempre e per sempre
dalla stessa parte mi troverai
Sempre e per sempre
dalla stessa parte mi troverai"
(parole, e musiche, cui sono molto legato; forse un po' fuorvianti, anche, in parte, per me stesso, ma...)
...dalla stessa parte... mi voglio meravigliare (levo il cappello all'aria con la mano destra, facendolo volteggiare), vi voglio stupire (cappello alla pancia, inchino).
(Due ore, queste ultime, molto, molto intense; importanti, credo.)
Inchino, piroetta, inchino. Il naso rosso è finto, i grandi guanti pure, mentre il fiore (un po' avvizzito ma tenace) all'occhiello no. Inchino, piroetta, inchino.
"Pioggia e sole
cambiano
la faccia alle persone
Fanno il diavolo a quattro nel cuore e passano
e tornano
e non la smettono mai
Sempre e per sempre tu
ricordati
dovunque sei,
se mi cercherai
Sempre e per sempre
dalla stessa parte mi troverai
Ho visto gente andare, perdersi e tornare
e perdersi ancora
e tendere la mano a mani vuote
E con le stesse scarpe camminare
per diverse strade
o con diverse scarpe
su una strada sola
Tu non credere
se qualcuno ti dirà
che non sono più lo stesso ormai
Pioggia e sole abbaiano e mordono
ma lasciano, lasciano
il tempo che trovano
E il vero amore può
nascondersi,
confondersi
ma non può perdersi mai
Sempre e per sempre
dalla stessa parte mi troverai
Sempre e per sempre
dalla stessa parte mi troverai"
(parole, e musiche, cui sono molto legato; forse un po' fuorvianti, anche, in parte, per me stesso, ma...)
...dalla stessa parte... mi voglio meravigliare (levo il cappello all'aria con la mano destra, facendolo volteggiare), vi voglio stupire (cappello alla pancia, inchino).
(Due ore, queste ultime, molto, molto intense; importanti, credo.)
enoxaparina sodica 4000 u.i. - riflessioni sul lavoro
Sono andato a farmi togliere un po’ di sangue, giusto per fare l’appello delle piastrine, ed ora eccomi qui, in laboratorio.
Al lavoro.
Non mi ci riconosco, ora. Tutto così distante, così legato a un anno fa. Mi gonfia gli occhi.
Pagliaccio senza trucco. E senza trucchi.
Spero, prego che tutto questo non mi ricacci indietro, alla maturità di altri saluti e altri mestieri.
Frego le mani dorso contro dorso (doors to doors?).
Schiaccio la faccia sul cuscino surrealistico. Musica di cembali. Forse è vero, che la prescia è stata accelerata da dietro, dal tempo giustiziere; ma anche dagli eventi, non c’è che dire. Non c’è che dire.
Incrocio le gambe (lo ritieni credibile?), ma non le braccia, ah no!, e mi preparo a sdraiarmi sulla calmapiatta (in-a-gadda-da-vida, honey).
Magari senza punture sulla panza, perché bruciano, quelle.
Non riesco a capire se mi stia muovendo in orizzontale o in verticale; e non è tanto questione di essere eretti o pancia-in-giù.
Cerco di sostituire, in pectore, alla felicità (sia persa o ritrovata) la serenità.
Scongiurando il disagio, ed i pensieri vecchi, le nostalgie; la lunghezza di questi minuti che non mi fanno vedere soluzione, l’ansia di oggi e del giorno appresso, i pensieri forse a volte leggermente ingannatori (poveretti), i desideri (insondabili), i ricordi tristi, le soluzioni (di continuità), i sospiri.
Le piccole crisi mi gettano in uno sconforto grande e tondo, che mi rotola sopra, pieno di brutti nani e di cameriere sfatte che ballano il can can.
Sono in disequilibrio su me stesso. Disabitudine alla realtà; come il Geldof-Pink del Muro (sartriano?). Costa tanto costruire un equilibrio.
Non smetto di provarci - ora va un po’ meglio.
Beata scrittura, croce e delizia in una lunga, usata abitudine. Se non chiarisci (perché ti confondi), almeno svuoti il mio stomaco.
ore 10.36 (Molto meglio, ora; alti e bassi, sicuro. Ma molto meglio. Testa, testa, torna qui; e restaci.)
Al lavoro.
Non mi ci riconosco, ora. Tutto così distante, così legato a un anno fa. Mi gonfia gli occhi.
Pagliaccio senza trucco. E senza trucchi.
Spero, prego che tutto questo non mi ricacci indietro, alla maturità di altri saluti e altri mestieri.
Frego le mani dorso contro dorso (doors to doors?).
Schiaccio la faccia sul cuscino surrealistico. Musica di cembali. Forse è vero, che la prescia è stata accelerata da dietro, dal tempo giustiziere; ma anche dagli eventi, non c’è che dire. Non c’è che dire.
Incrocio le gambe (lo ritieni credibile?), ma non le braccia, ah no!, e mi preparo a sdraiarmi sulla calmapiatta (in-a-gadda-da-vida, honey).
Magari senza punture sulla panza, perché bruciano, quelle.
Non riesco a capire se mi stia muovendo in orizzontale o in verticale; e non è tanto questione di essere eretti o pancia-in-giù.
Cerco di sostituire, in pectore, alla felicità (sia persa o ritrovata) la serenità.
Scongiurando il disagio, ed i pensieri vecchi, le nostalgie; la lunghezza di questi minuti che non mi fanno vedere soluzione, l’ansia di oggi e del giorno appresso, i pensieri forse a volte leggermente ingannatori (poveretti), i desideri (insondabili), i ricordi tristi, le soluzioni (di continuità), i sospiri.
Le piccole crisi mi gettano in uno sconforto grande e tondo, che mi rotola sopra, pieno di brutti nani e di cameriere sfatte che ballano il can can.
Sono in disequilibrio su me stesso. Disabitudine alla realtà; come il Geldof-Pink del Muro (sartriano?). Costa tanto costruire un equilibrio.
Non smetto di provarci - ora va un po’ meglio.
Beata scrittura, croce e delizia in una lunga, usata abitudine. Se non chiarisci (perché ti confondi), almeno svuoti il mio stomaco.
ore 10.36 (Molto meglio, ora; alti e bassi, sicuro. Ma molto meglio. Testa, testa, torna qui; e restaci.)
lunedì 22 ottobre 2007
In tandem verso la vittoria
Bukowski pianse quando Judy Garland cantò al Philarmonic di Nuova York; Bukowski pianse quando Shirley Temple cantò I Got Animal Crackers in My Soup; Bukowski ha pianto in squallidi albergucci; Bukowski non sa vestire, Bukowski non sa parlare, Bukowski ha paura delle donne, Bukowski ha lo stomaco in cattivo arnese, Bukowski è pieno di terrori, odia i vocabolari, le monache, le monete, gli autobus, le chiese, le panchine del parco, i ragni, le mosche, le pulci, i depravati; Bukowski non ha fatto la guerra. Bukowski è vecchio, Bukowski non fa volare un aquilone da 45 anni; se Bukowski fosse una scimmia lo caccerebbero via dalla tribù…
per Bukowski Topolino è un nazista; Bukowski ha fatto il pagliaccio alla fagiolata di Barney; Bukowski ha fatto la figura del somaro alla tavernetta di Shelly; Bukowski è geloso di Ginsberg, Bukowski è invidioso della Cadillac mod. ’69, Bukowski non capisce Rimbaud; Bukowski si pulisce il culo con carta da pacchi, Bukowski sarà morto fra 5 anni, è dal 1963 che Bukowski non scrive una poesia decente, Bukowski ha pianto quando Judy Garland… ha ucciso un uomo a Reno…
Bukowski, il grande scrittore; una statua di Bukowski al Cremlino, che si spara una sega; Bukowski e Castro, gruppo statuario ai giardini pubblici dell’Avana, coperto di cacca di uccelli; Bukowski e Castro in tandem che pedalano verso la vittoria: Bukowski dietro; Bukowski che fa il bagno in un nido di rigogoli; Bukowski che frusta una mulatta di 19 anni con un frustino da domatore, una mulatta dall’enorme seno, una mulatta che legge Rimbaud; Bukowski cucù nel salotto del mondo si chiede chi avrà spento la fortuna… Bukowski commosso da Judy Garland, quando ormai era tardi per tutti…
Bukowski porta le mutande nere, Bukowski ha paura di volare in aereo. Bukowski odia Babbo Natale. Bukowski intaglia figurine deformi nella gomma da cancellare. quando l’acqua sgocciola, piange. quando Bukowski piange, l’acqua sgocciola.”
“«ma Bukowski sta attento a dove vomita e non l’ho visto mai pisciare sul pavimento»”.
“oh gran bruttezza dell’uomo dovunque come stronzo di cane che calpesti al mattino non avendolo visto un’altra volta”
("Storie di ordinaria follia")
per Bukowski Topolino è un nazista; Bukowski ha fatto il pagliaccio alla fagiolata di Barney; Bukowski ha fatto la figura del somaro alla tavernetta di Shelly; Bukowski è geloso di Ginsberg, Bukowski è invidioso della Cadillac mod. ’69, Bukowski non capisce Rimbaud; Bukowski si pulisce il culo con carta da pacchi, Bukowski sarà morto fra 5 anni, è dal 1963 che Bukowski non scrive una poesia decente, Bukowski ha pianto quando Judy Garland… ha ucciso un uomo a Reno…
Bukowski, il grande scrittore; una statua di Bukowski al Cremlino, che si spara una sega; Bukowski e Castro, gruppo statuario ai giardini pubblici dell’Avana, coperto di cacca di uccelli; Bukowski e Castro in tandem che pedalano verso la vittoria: Bukowski dietro; Bukowski che fa il bagno in un nido di rigogoli; Bukowski che frusta una mulatta di 19 anni con un frustino da domatore, una mulatta dall’enorme seno, una mulatta che legge Rimbaud; Bukowski cucù nel salotto del mondo si chiede chi avrà spento la fortuna… Bukowski commosso da Judy Garland, quando ormai era tardi per tutti…
Bukowski porta le mutande nere, Bukowski ha paura di volare in aereo. Bukowski odia Babbo Natale. Bukowski intaglia figurine deformi nella gomma da cancellare. quando l’acqua sgocciola, piange. quando Bukowski piange, l’acqua sgocciola.”
“«ma Bukowski sta attento a dove vomita e non l’ho visto mai pisciare sul pavimento»”.
“oh gran bruttezza dell’uomo dovunque come stronzo di cane che calpesti al mattino non avendolo visto un’altra volta”
("Storie di ordinaria follia")
Battere e levare, prendere e lasciare
Lo vedi tu com'è
Bisogna fare e disfare
Continuamente e malamente e con amore
Battere e levare
Stasera guardo questa strada e non lo so
Dove mi tocca andare
Lo vedi, siamo come cani senza collare
Lo vedi tu com'è
E' prendere e lasciare
Inutilmente e crudelmente e per amore
Battere e levare
Ma non lo vedi come passa il tempo?
Come ci fa cambiare?
E noi che siamo come cani senza padroni
So che tu lo sai perfettamente
Come ti devi comportare
Abbiamo avuto tempo sufficiente
Per imparare
E poi lo sai che non vuol dire niente
Dimenticare
E tu lo sai che io lo so
E quello che non so
Lo so cantare
Lo vedi tu com'è,
Come si deve fare
Precisamente e solamente
Battere e levare
Vedo cadere questa stella e non so più
Cosa desiderare
Lo vedi siamo come cani di fronte al mare.
(F. De Gregori)
Bisogna fare e disfare
Continuamente e malamente e con amore
Battere e levare
Stasera guardo questa strada e non lo so
Dove mi tocca andare
Lo vedi, siamo come cani senza collare
Lo vedi tu com'è
E' prendere e lasciare
Inutilmente e crudelmente e per amore
Battere e levare
Ma non lo vedi come passa il tempo?
Come ci fa cambiare?
E noi che siamo come cani senza padroni
So che tu lo sai perfettamente
Come ti devi comportare
Abbiamo avuto tempo sufficiente
Per imparare
E poi lo sai che non vuol dire niente
Dimenticare
E tu lo sai che io lo so
E quello che non so
Lo so cantare
Lo vedi tu com'è,
Come si deve fare
Precisamente e solamente
Battere e levare
Vedo cadere questa stella e non so più
Cosa desiderare
Lo vedi siamo come cani di fronte al mare.
(F. De Gregori)
Chissà dove sei
Chissà dove sei, perduta nella notte,
col tuo trucco infame e la tua giacca da bandito.
Io ti ho aspettato all'ombra dei tuoi "per come"
col mio viso angelico percosso dai fatti.
Chissà dove sei, perduta nei segni,
con la tua sigaretta come una matita,
e le tue speranze di vittoria.
Io ti ho accettato come una bella calligrafia,
un biglietto da visita e due occhi diversi.
Può accadere di tutto,
puoi anche conquistare vari uomini bruni
e misurarne l'aspetto,
ma il mio indirizzo è "Via del sopracciglio destro"
con rispetto parlando, e altre parti, altre parti di me.
(F. De Gregori)
col tuo trucco infame e la tua giacca da bandito.
Io ti ho aspettato all'ombra dei tuoi "per come"
col mio viso angelico percosso dai fatti.
Chissà dove sei, perduta nei segni,
con la tua sigaretta come una matita,
e le tue speranze di vittoria.
Io ti ho accettato come una bella calligrafia,
un biglietto da visita e due occhi diversi.
Può accadere di tutto,
puoi anche conquistare vari uomini bruni
e misurarne l'aspetto,
ma il mio indirizzo è "Via del sopracciglio destro"
con rispetto parlando, e altre parti, altre parti di me.
(F. De Gregori)
domenica 21 ottobre 2007
Atlantide
Lui adesso vive ad Atlantide
con un cappello pieno di ricordi
ha la faccia di uno che ha capito
e anche un principio di tristezza in fondo all'anima
nasconde sotto il letto barattoli di birra disperata
e a volte ritiene di essere un eroe
Lui adesso vive in California
da 7 anni sotto una veranda ad aspettare le nuvole
è diventato un grosso suonatore di chitarra
e stravede per una donna chiamata Lisa
quando le dice tu sei quella con cui vivere
gli si forma una ruga sulla guancia sinistra
Lui adesso vive nel terzo raggio
dove ha imparato a non fare più domande del tipo
conoscete per caso una ragazza di Roma
la cui faccia ricorda il crollo di una diga?
Io la conobbi un giorno ed imparai il suo nome
ma mi portò lontano il vizio dell'amore
E così pensava l'uomo di passaggio
mentre volava alto nel cielo di Napoli
rubatele pure i soldi, rubatele anche i ricordi
ma lasciatele per sempre la sua dolce curiosità
ditele che l'ho perduta quando l'ho capita
ditele che la perdono per averla tradita.
con un cappello pieno di ricordi
ha la faccia di uno che ha capito
e anche un principio di tristezza in fondo all'anima
nasconde sotto il letto barattoli di birra disperata
e a volte ritiene di essere un eroe
Lui adesso vive in California
da 7 anni sotto una veranda ad aspettare le nuvole
è diventato un grosso suonatore di chitarra
e stravede per una donna chiamata Lisa
quando le dice tu sei quella con cui vivere
gli si forma una ruga sulla guancia sinistra
Lui adesso vive nel terzo raggio
dove ha imparato a non fare più domande del tipo
conoscete per caso una ragazza di Roma
la cui faccia ricorda il crollo di una diga?
Io la conobbi un giorno ed imparai il suo nome
ma mi portò lontano il vizio dell'amore
E così pensava l'uomo di passaggio
mentre volava alto nel cielo di Napoli
rubatele pure i soldi, rubatele anche i ricordi
ma lasciatele per sempre la sua dolce curiosità
ditele che l'ho perduta quando l'ho capita
ditele che la perdono per averla tradita.
Premessa seconda
Questo blog, di vita incerta, nasce per più motivi, tutti futili e tutti non abbastanza forti. Il gesso e James Stewart, la situazione internazionale, quella ambientale (in senso locale), l'emulazione, la vanità, l'innamoramento.
Non sappiamo se e quanto resisterà, ma questa è cosa che dicono in molti, e va presa con i dovuti rapporti (anche intensi, volendo).
Scrivo molto, Oggi, ed anche per i pochi altri. Quindi, eccoci qua.
La scelta del nome è legata a ricordi vividi e a passati (presenti) amori, e ad un modo di sentire che feci mio e che ancora assecondo con una certa tenerezza.
Il resto è sulla pagina.
Non sappiamo se e quanto resisterà, ma questa è cosa che dicono in molti, e va presa con i dovuti rapporti (anche intensi, volendo).
Scrivo molto, Oggi, ed anche per i pochi altri. Quindi, eccoci qua.
La scelta del nome è legata a ricordi vividi e a passati (presenti) amori, e ad un modo di sentire che feci mio e che ancora assecondo con una certa tenerezza.
Il resto è sulla pagina.
Premessa prima
«Ti prego, dammi il suo indirizzo, il suo numero telefonico.»
Tacque. Aveva già acquistato un modo di sospirare come se fosse stato seduto per centinaia di anni in un confessionale a gemere sui peccati e sulle follie dell'umanità. «E va bene» disse alla fine, con sforzo evidente «allora non lo sai proprio?»
«Che cosa, non so proprio?» gridai. «Mio Dio, Leo, deciditi a spiegarti chiaramente.»
«Heinrich non è più sacerdote» mormorò a voce bassissima.
«Ma pensavo che sacerdote si rimanga fino a che si ha fiato in corpo.»
«Naturalmente» rispose. «Voglio dire che non è più al suo posto. È andato via, sparito senza lasciar traccia, già da alcuni mesi.»
Tirò fuori tutto questo con molta fatica. «Be'» dissi «si farà pur vivo, un giorno o l'altro.» Poi mi venne in mente un'altra cosa e domandai: «È solo?».
«No» rispose Leo in tono severo «è andato via con una ragazza.» Dall'inflessione della voce pareva che avesse detto: "Ha la peste addosso".
La ragazza mi faceva pena. Era certamente cattolica e adesso per lei doveva essere terribile vivere insieme a un ex prete in una cameretta, subire tutti gli aspetti del "desiderio della carne" e intorno biancheria, mutande, bretelle, piattini colmi di mizziconi, biglietti del cinema strappati e il denaro che cominciava a scarseggiare: e quando la ragazza scendeva le scale per andare a comperare il pane, le sigarette o una bottiglia di vino, una padrona biliosa apriva una porta e lei non poteva neppure gridare: "Mio marito è un artista, sicuro, un artista!". Mi facevano molta pena tutti e due, la ragazza più di Heinrich. Le autorità ecclesiastiche erano certamente molto severe in questi casi, specialmente se si trattava di un coadiutore insignificante, anche un tipo un po' difficile. Con un tipo come Sommerwild avrebbero probabilmente chiuso tutti gli occhi possibili. Lui, del resto, non aveva una governante brutta e ringhiosa, con le gambe dalla pelle giallastra; la sua era invece una giovane donna fiorente, graziosa, che egli chiamava Maddalena: un'ottima cuoca, sempre molto curata e sorridente.
«Bene» dissi «allora per il momento niente da fare per me da queste parti.»
«Mio Dio» esclamò Leo «è incredibile con che durezza prendi una cosa simile!»
«Non sono né il vescovo di Heinrich e neppure direttamente interessato alla cosa» risposi; «quello che mi fa soffire sono i particolari. Hai almeno l'indirizzo o il numero di telefono di Edgar?»
«Vuoi dire Wieneken?»
«Sì» risposi. «Ti ricorderai pure di Edgar, no? A Colonia vi siete incontrati una volta da noi e andavamo sempre a casa sua a giocare e a mangiare le patate in insalata.»
«Sì, naturalmente» disse «certo che mi ricordo; ma Wieneken non è in Germania, per quanto ne so. Qualcuno mi ha raccontato che sta compiendo un viaggio di studio con una commissione, India o Tailandia, non lo so esattamente.»
«Ne sei sicuro?» domandai.
«Abbastanza» rispose; «sì, certo, adesso mi ricordo, Heribert me lo ha raccontato.»
«Chi?» gridai «chi te lo ha raccontato?»
Tacque, non lo udivo più nemmeno sospirare, e ora sapevo perché non voleva venire da me. «Chi?» gridai una seconda volta, ma non mi rispose. Aveva già imparato anche quel tossicchiare sommesso da confessionale che avevo udito qualche volta quando stavo in chiesa ad aspettare Maria. «È meglio che tu non venga neppure domani» dissi a bassa voce. «Dimmi soltanto ancora che hai visto anche Maria.»
Evidentemente non aveva imparato nient'altro che a sospirare e tossicchiare. Anche adesso sospirò, profondamente, a lungo, con aria infelice. «Non hai neppure bisogni di rispondermi» gli dissi; «salutami quel tipo simpatico con il quale ho parlato già due volte al telefono.»
«Strüder?» domandò piano.
«Non so come si chiami, ma al telefono è stato molto simpatico.»
«Ma quello nessuno lo prende sul serio» disse lui; «è... come dire, tenuto per carità.» Leo riuscì davvero a mettere insieme per questa occasione una specie di risatina. «Qualche volta arriva ad acciuffare il telefono e dice un mucchio di schiocchezze.»
Mi alzai. Attraverso l'apertura delle tende gettai un'occhiata all'orologio giù in piazza. Mancavano tre minuti alle nove.
«Adesso devi andare» gli dissi «altrimenti te lo mettono nelle carte. E non perdere la lezione, domani.»
«Ma cerca di capirmi» supplicò lui.
«Maledizione» esclamai «ti capisco. Ti capisco anche troppo bene.»
«Ma che tipo di uomo sei, in conclusione?» domandò Leo.
«Sono un clown» risposi «e faccio raccolta di attimi. Ciao.» E riattaccai.
(H. Böll, 'Opinioni di un clown', trad. A. Pandolfi)
Tacque. Aveva già acquistato un modo di sospirare come se fosse stato seduto per centinaia di anni in un confessionale a gemere sui peccati e sulle follie dell'umanità. «E va bene» disse alla fine, con sforzo evidente «allora non lo sai proprio?»
«Che cosa, non so proprio?» gridai. «Mio Dio, Leo, deciditi a spiegarti chiaramente.»
«Heinrich non è più sacerdote» mormorò a voce bassissima.
«Ma pensavo che sacerdote si rimanga fino a che si ha fiato in corpo.»
«Naturalmente» rispose. «Voglio dire che non è più al suo posto. È andato via, sparito senza lasciar traccia, già da alcuni mesi.»
Tirò fuori tutto questo con molta fatica. «Be'» dissi «si farà pur vivo, un giorno o l'altro.» Poi mi venne in mente un'altra cosa e domandai: «È solo?».
«No» rispose Leo in tono severo «è andato via con una ragazza.» Dall'inflessione della voce pareva che avesse detto: "Ha la peste addosso".
La ragazza mi faceva pena. Era certamente cattolica e adesso per lei doveva essere terribile vivere insieme a un ex prete in una cameretta, subire tutti gli aspetti del "desiderio della carne" e intorno biancheria, mutande, bretelle, piattini colmi di mizziconi, biglietti del cinema strappati e il denaro che cominciava a scarseggiare: e quando la ragazza scendeva le scale per andare a comperare il pane, le sigarette o una bottiglia di vino, una padrona biliosa apriva una porta e lei non poteva neppure gridare: "Mio marito è un artista, sicuro, un artista!". Mi facevano molta pena tutti e due, la ragazza più di Heinrich. Le autorità ecclesiastiche erano certamente molto severe in questi casi, specialmente se si trattava di un coadiutore insignificante, anche un tipo un po' difficile. Con un tipo come Sommerwild avrebbero probabilmente chiuso tutti gli occhi possibili. Lui, del resto, non aveva una governante brutta e ringhiosa, con le gambe dalla pelle giallastra; la sua era invece una giovane donna fiorente, graziosa, che egli chiamava Maddalena: un'ottima cuoca, sempre molto curata e sorridente.
«Bene» dissi «allora per il momento niente da fare per me da queste parti.»
«Mio Dio» esclamò Leo «è incredibile con che durezza prendi una cosa simile!»
«Non sono né il vescovo di Heinrich e neppure direttamente interessato alla cosa» risposi; «quello che mi fa soffire sono i particolari. Hai almeno l'indirizzo o il numero di telefono di Edgar?»
«Vuoi dire Wieneken?»
«Sì» risposi. «Ti ricorderai pure di Edgar, no? A Colonia vi siete incontrati una volta da noi e andavamo sempre a casa sua a giocare e a mangiare le patate in insalata.»
«Sì, naturalmente» disse «certo che mi ricordo; ma Wieneken non è in Germania, per quanto ne so. Qualcuno mi ha raccontato che sta compiendo un viaggio di studio con una commissione, India o Tailandia, non lo so esattamente.»
«Ne sei sicuro?» domandai.
«Abbastanza» rispose; «sì, certo, adesso mi ricordo, Heribert me lo ha raccontato.»
«Chi?» gridai «chi te lo ha raccontato?»
Tacque, non lo udivo più nemmeno sospirare, e ora sapevo perché non voleva venire da me. «Chi?» gridai una seconda volta, ma non mi rispose. Aveva già imparato anche quel tossicchiare sommesso da confessionale che avevo udito qualche volta quando stavo in chiesa ad aspettare Maria. «È meglio che tu non venga neppure domani» dissi a bassa voce. «Dimmi soltanto ancora che hai visto anche Maria.»
Evidentemente non aveva imparato nient'altro che a sospirare e tossicchiare. Anche adesso sospirò, profondamente, a lungo, con aria infelice. «Non hai neppure bisogni di rispondermi» gli dissi; «salutami quel tipo simpatico con il quale ho parlato già due volte al telefono.»
«Strüder?» domandò piano.
«Non so come si chiami, ma al telefono è stato molto simpatico.»
«Ma quello nessuno lo prende sul serio» disse lui; «è... come dire, tenuto per carità.» Leo riuscì davvero a mettere insieme per questa occasione una specie di risatina. «Qualche volta arriva ad acciuffare il telefono e dice un mucchio di schiocchezze.»
Mi alzai. Attraverso l'apertura delle tende gettai un'occhiata all'orologio giù in piazza. Mancavano tre minuti alle nove.
«Adesso devi andare» gli dissi «altrimenti te lo mettono nelle carte. E non perdere la lezione, domani.»
«Ma cerca di capirmi» supplicò lui.
«Maledizione» esclamai «ti capisco. Ti capisco anche troppo bene.»
«Ma che tipo di uomo sei, in conclusione?» domandò Leo.
«Sono un clown» risposi «e faccio raccolta di attimi. Ciao.» E riattaccai.
(H. Böll, 'Opinioni di un clown', trad. A. Pandolfi)
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