lunedì 25 febbraio 2008

Fette e topi.

«Se sono matto, per me va benissimo, pensò Moses Herzog. C’era della gente che pensava che fosse toccato, e per qualche tempo persino lui l’aveva dubitato. Ma adesso, benché continuasse a comportarsi in maniera un po’ stramba, si sentiva pieno di fiducia, allegro, lucido e forte. Gli pareva d’essere stregato, e scriveva lettere alla gente più impensata. Era talmente infatuato da quella corrispondenza, che dalla fine di giugno, dovunque andasse, si trascinava dietro una valigia piena di carte. Se l’era portata, quella valigia, da New York a Martha’s Vineyard. Ma da Martha’s Vineyard era riscappato indietro subito; due giorni dopo aveva preso l’aereo per Chicago, e da Chicago era filato in un paesino del Massachusetts occidentale. Lì, nascosto in mezzo alla campagna, scriveva a più non posso, freneticamente, ai giornali, agli uomini pubblici, ad amici e parenti e finì per scrivere pure ai morti, prima ai suoi morti e poi anche ai morti famosi.
Era estate alta nelle Berkshires. Herzog viveva da solo nella casa grande e antica. Lui che di solito era così schizzinoso per il cibo, ora mangiava pan carré in cellophane, fagioli in scatola e formaggini. Ogni tanto coglieva dei lamponi nel giardino invaso dalle erbacce, scostando gli spinosi arboscelli con distratta cautela; quanto al dormire, dormiva sul materasso, senza lenzuola — sull’abbandonato letto matrimoniale — o nell’amaca coprendosi solo con il cappotto. Alte canne di yucca, alberelli d’acero e carrubi lo assediavano d’ogni parte, in giardino. Di notte, se apriva gli occhi, le stelle erano vicinissime, simili a corpi spirituali. Fuochi, certo; gas — minerali, calore, atomi — ma alle cinque del mattino, per un uomo che giace in un ‘amaca avvolto nel proprio cappotto, cose piene d’eloquenza.
Quando un pensiero nuovo gli assaliva il cuore correva in cucina, suo quartier generale, e ne prendeva nota. Dalle pareti l’intonaco si scrostava e ogni tanto Herzog, con la manica, era costretto a pulire dal tavolo le caccole dei topi, chiedendosi, tranquillamente, perché mai ai topi di campagna piacessero la cera e la paraffina. Perforavano la paraffina che ricopriva le conserve; rosicchiavano le candeline per la torta di compleanno, fino allo stoppino. Un ratto si era mangiucchiato un pan carré, lasciando dentro ogni fetta la forma del proprio corpo. Era anche capace di fare a mezzo coi topi.
E tuttavia un cantuccio della sua mente restava ancora aperto al mondo esterno. La mattina udiva i corvi. Quei loro gridi rauchi, lui li trovava deliziosi. Sull’imbrunire sentiva i tordi. Di notte c’era una civetta. Quando camminava per il giardino, innervosito da una lettera che gli ronzava per la mente, vedeva le rose attorcigliarsi intorno alla grondaia; o le more dei gelsi — e sul gelso ingozzarsi gli uccelli. Le giornate erano calde, le sere rosse e polverose. Guardava ogni cosa con ingordigia, eppure gli pareva d’essere mezzo cieco.
Il suo amico, anzi il suo ex amico Valentine, e sua moglie, la sua ex moglie Madeleine, avevano messo in giro la voce che avesse smarrito la ragione. Che fosse vero?
Nel fare un giro intorno alla casa deserta, vide il proprio viso riflesso nel vetro grigio e velato di ragnatele di una finestra. Aveva un’aria stranamente riposata. Un raggio gli partiva dal centro della fronte, percorreva il naso diritto e scendeva sulle labbra carnose, mute.»

(S. Bellow, “Herzog”, trad. L. Ciotti Miller)

1 commento:

Anonimo ha detto...

La sanità mentale, l'igiene alimentare, la verginità anale. I topi sono sani di mente? I topi lo prendono in culo? Dovrei lavare questi piatti prima di mangiare?
La gente è sana, posata, santa: diamine se sono sani! Sono tutti sani e santi, compreso De Mita.