mercoledì 11 luglio 2012

Lettere da Sapporo #4


«C’è una folla che guarda, in un tremendo silenzio. L’uomo in tuta contempla l’effetto dei colpi. È scuro in volto, non mostra nemmeno soddisfazione. Aspetta e basta. Aspetta che il prepotente esca.
Ma il prepotente non esce, se la fa sotto. Allora Cipputi si avvicina al finestrino e guardando dentro scandisce con voci baritonale: “Ti sono piaciuto?”. È quello il vero colpo da maestro:...»
Grazie mille, maestro Rumiz; e grazie mille, maestro operaio che non ne può proprio più.
La mia giornata finisce così: leggendo delle gesta eroiche di un ignoto operaio narrate dalla penna deliziosa di un delizioso girovago.
È iniziata, pure oggi, la giornata, alle 6.30. Ed è stata lavoro duro, molto duro, sotto i cazzotti del jet leg e di un pranzo prepotente. (Da registrare l’ilarità scatenata dal sottoscritto quando ha definito “spicy” una zuppetta di soia, scalogno (o simile), wasabi e chissà cos’altro.
Oggi è arrivato pure il capo, che però noi tre (Osawa san, Kawahara san ed il sottoscritto) abbiamo raggiunto solo in serata. Ha colto, il capo, l’eterea complicità tra stranieri creatasi fra di noi dopo giorni spalla a spalla, la comprensione in due inglesi-non-inglesi; e ha faticato ad affrontarla, lì per lì. Chiacchiere in italiano, nonostante il mio sforzo, sempre meno efficace, di coinvolgere i nostri gentilissimi ospiti.
Infine il suo, di colpo da maestro. Durante una cena ancora una volta indimenticabile (una sorta di raclette alla giapponese, con tanto di germogli di soia piastrati).
«Ho letto che soffiarsi il naso in pubblico, in Giappone, è come scoreggiare», ricordavo ad amici, parenti e colleghi prima di partire.
Ed eccolo lì, il capo, maestoso, estrarre il fazzoletto.
Silenzio. Mio, divertito e incredulo. Loro, avvertito dell’imminente pericolo.
Una strombazzata lunga, ripetuta, straordinariamente insistita, complice della sua inopportunità, fiera di sbagliare, gagliardamente senza fine. Una scoreggia a culo nudo, sopra i piatti dei convitati sempre più pallidi, sempre più muti.
«Tutti aspettano che accada qualcosa. E difatti accade». Ecco, e lo fa così.

«Tutti aspettano che accada qualcosa. E difatti accade». Ecco, e lo fa così.

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