mercoledì 28 ottobre 2009

Il giudizio divino

"Avevano deciso di abortire. Ma una volta all’ospedale, per gli accertamenti preliminari all’interruzione di gravidanza, il primario, obiettore di coscienza, le ha umiliate nel corridoio del reparto, davanti al personale e alle degenti. «Assassina, sta uccidendo suo figlio», ha urlato Leandro Aletti, responsabile di Ostetricia e ginecologia dell’ospedale di Melzo e noto antiabortista, simpatizzante di Comunione e liberazione, a ciascuna delle tre donne, dai 27 ai 36 anni, che avevano scelto quella struttura pubblica per abortire.
L’aggressione verbale è riportata nella denuncia per ingiuria presentata al giudice di pace di Cassano d’Adda: «Il primario, noto antiabortista, ci ha insultate e diffamate — denunciano le donne — offendendo il nostro decoro e arrecandoci un danno morale». Dopo due rinvii, a dicembre si terrà l’udienza sul caso. Anche se entrambe le parti stanno cercando un accordo per evitare di arrivare al processo. Con il primario che, sebbene il suo avvocato Mario Brusa parli di un «fraintendimento tra le parti», sarebbe pronto a firmare una lettera di scuse e chiarimenti per archiviare l’accaduto. La direzione sanitaria ha già presentato le sue scuse.
Sotto accusa è anche la procedura che prevede di compilare la cartella clinica, preliminare all’aborto, in un atrio lungo la corsia del reparto. Pratica a cui nella struttura, si dice, si ricorre quando la sala visite è occupata, ma che in sostanza comporta la violazione della privacy delle donne. «Mentre iniziavamo il colloquio con il medico di turno venivamo accostate dal primario che ci aggrediva con insulti ad alta voce — si legge nel ricorso — così tutti i presenti venivano edotti della ragioni della nostra presenza nel reparto rendendo di pubblico dominio una scelta delicata e assolutamente personale».
Un episodio «lesivo della nostra dignità», tanto che una delle tre donne sarebbe stata anche identificata da una conoscente che passava di lì. «Le muove l’umiliazione subita in un momento delicato che nessuna donna affronta a cuor leggero», commenta l’a vvocato delle denuncianti, Ilaria Scaccabarozzi. La direzione dell’o spedale di Melzo precisa che in tema di accoglienza a chi vuole abortire «la paziente viene sottoposta alla raccolta dei dati sanitari e di degenza all’interno degli spazi deputati come previsto dal regolamento sulla privacy»."
(Ilaria Carra, "la Repubblica" on-line, 27 ottobre 2009)

«Assassina, sta uccidendo suo figlio», urla il ginecologo. Sul corridoio del reparto che dirige, in mezzo a pazienti, infermieri, strutturati.
«Non abortite: dateci in pasto i vostri figli. Dateli in pasto a questa Società: fateli diventare poveri; poveri di spirito, poveri di strumenti: poveri diavoli. Fateli soffrire. Abbandonateli alla loro vita: faticosa, incomprensibile, insopportabile. Fate perdere loro la dignità. Allora, allora sì che saranno vivi! Donne: voi siete un mezzo, non un fine; siete una necessità biologica. Scabrosa, come ogni necessità. Peccaminosa, fuori dallo scopo. Un mezzo deve agire secondo indicazione: non può avere un’autonomia, non può avere una volontà. E non cercate di farci credere che “la scelta è dolorosa”: voi non potete scegliere! In quanto al dolore, è il prezzo del piacere.»
La vita. Già.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ricordo il tono canzonatorio delle voci delle infermiere e degli anestesisti mentre attendavamo il nostro turno per la visita preliminare all'interruzione di gravidanza: "E' un'epidemia, guarda quante sono! Ci hanno dato dentro in questo periodo". Credevo di poter fermare quelle voci al di fuori del mio corpo ma mi sbagliavo. "Ora la imbottiamo così lavoriamo meglio, la tensione la sta facendo stare troppo vigile" le ultime parole prima di cadere spossata in completo potere altrui.
La pillola abortiva potrebbe far evitare a molte donne il supplizio di dipendere dalle mani di chi non ha la sensibilità di capire che cosa sta succedendo...

luca ha detto...

Tra presa di distanza e sprezzo c'è una bella differenza.
Con l'amore, bistrattato, sullo sfondo.

Altro che 'darci dentro': è l'insensibilità, ad essere epidemica.