«“Quando si alzò dal letto, la luce dell’alba era già sparita da un pezzo, per lasciare il posto ad un sole sicuro e abbacinante.
Il tipico vocio estivo, nel quale le grida delle mamme si confondono e mescolano con quelle dei bambini, filtrava assieme ai raggi dalle imposte bruciacchiate.
«Che scherzo del destino: sembra ‘Divorzio all’italiana’», pensava. «Altro che divorzio; mi mangerebbero vivo.» Non si può mica più ricorrere al delitto d’onore. E poi, che cosa cruenta!
E, del resto, c’è una qual certa violenza anche ad infilarsi sotto le lenzuola. Un forma di brutalità, nel sussurrarsi dolcezze nelle orecchie.
Ti amerò per sempre.
Non ci lasceremo mai.
Baciami qui.
Non fare lo scemo.
Due belle cosce sono un sopruso di sincerità.
«Quanti anni avrà, ora, lei, più o meno?». Ventitre, compleanno più, compleanno meno. I capelli lunghi e mossi e un seno formato e sodo, eccitante sotto la canottiera stretta. «Ma che c’entra con l’età? E certo, lo concedo: sarebbe molto più molle, se avesse sessant’anni. Invece è burrosa e piena», mormorava fra sé e sé, sbirciando nello specchio il rasoio che gli schiariva il volto disteso.
Il modo migliore per mantenere un aspetto rilassato è stare rilassati: non cedere al pensiero di come si dovrebbe stare in Società. Qualche piccola bugia a se stessi rende addirittura simpatici.
La cravatta stringeva prima ancora d’annodarla. «Una volta, almeno, c’era il rumore del ventilatore», pensò. La verità? La verità è che l’aria condizionata è molto più flaccida. Nella medesima stanza, dietro la stessa finestra che si apre sulla piazza sempre identica.
«Da alcuni mesi, ormai, non riesce più a porre le basi per relazioni stabili. Qualunque contatto, nemmeno troppo alla lunga, lo costringe e, quindi, respinge. Ciononostante, egli continua a coinvolgere amanti e a trascinarle a fondo nel suo confuso divenire».
«Anche questa, dopotutto, è una forma di menzogna».
«Una forma di menzogna talmente sincera e palese da far arrossire. Una menzogna onesta, ecco; una menzogna garbata».
Le 10 e quaranta. Giusto il tempo di un caffè, prima della messa. Regola numero 1: mai, mai perdere la santa funzione. Potrebbe essere l’inizio e la fine di ogni forma di melodramma.”
Questo è l’inizio della storia che avrei raccontato se non avessi poi virato, per restare ligio al dovere, su una forma giornalistica più consona e appropriata.
È l’inizio di una storia che ricalca quella del Barone Cefalù di Pietro Germi. Fefè (il Barone, appunto), un meraviglioso Marcello Mastroianni, per avere carta bianca con la sua giovane cugina e amante induce la moglie all’adulterio in modo da poterla giustamente ammazzare. Delitto d’onore, ovviamente; meglio del divorzio. Fefè esce di prigione molto velocemente, grazie a un’amnistia, e sposa la cugina. Che però durante il viaggio di nozze, alla fine del film, lascia intendere che forse non sarà troppo fedele.
Penso a Fefè Cefalù ogni volta che inciampo in Pierferdinando Casini. È più forte di me.
Devo ammetterlo: è vero che, di questi tempi, affrontando l’argomento “immoralità sensuali”, suona strano non andare con la mente a Berlusconi. Ma Silvio Berlusconi, in fin dei conti, nella recente (eclatante) vicenda delle escort a Palazzo Grazioli, ha solo dimostrato di essere un misero puttaniere; di più: un priapeo patologico. Può bastare, questo, a renderlo “interessante”? In certo modo – va ammesso – sì. D’altra parte, però, il suo morboso e perverso desiderio sessuale non è l’unico vizio che lo affligge. Se è per questo, infatti, è certamente anche strafatto. E poi ha numerosi vezzi ‘meta-immorali’: la megalomania, l’arroganza, la morbosa pesantezza del suo sense of humor. E allora, in una visione di questo tipo, e cioè più ampia e articolata, si può prescindere da lui, e concentrarsi su un suo simile: Casini, appunto. Non tanto per il suo sguardo vacuo e vagamente inebetito (lo sguardo che l’ottuso assume quando non comprende ma è determinato a fare); quanto piuttosto per ciò che il bolognese Pierferdinando, simbolicamente, rappresenta nell’allegoria cattolica.
Casini è immorale quanto Berlusconi; ma meno smaccato. Meno verace. E molto più propenso a sposare le posizioni del Potere vaticano e ad intrattenere con esso relazioni quantomeno cortesi; senza mai farsi sfuggire l’occasione di esaltare un certo tipo di moralismo di sapore vagamente reazionario.
Ma il Casini ha una storia interessante; anzi, più storie. Quella politica è legata ai nomi di Antonio Bisaglia e Arnaldo Forlani. Il primo è morto annegato in circostanze non esattamente limpide nel 1984, anticipando di qualche anno le morti, sempre per annegamento, del fratello Mario (1992) e del segretario particolare Mazzolaio (1993). Il secondo è un personaggio condensabile qui nell’eloquente “Non ricordo” che rivolse, nel 1992, ai giudici che lo interrogavano sulle tangenti ricevute dalla DC nell’ambito della vendita di Montedison a Eni.
Anche la storia personale di Pierferdinando, comunque, ha qualcosa da dire. Tanto per cominciare, Casini è sposato in seconde nozze con Azzurra Caltagirone; dalla quale ha avuto una figlia e con la quale ha concepito un secondo figlio prima di contrarre il matrimonio. Matrimonio, peraltro, saggiamente celebrato in comune. Azzurra, del resto, ha un cognome che non mente: è infatti la figlia di Francesco Gaetano Caltagirone, uomo di grande ricchezza e infinita intraprendenza. Nato immobiliarista, papà Caltagirone ha successivamente ampliato il suo raggio d’interesse al settore dei media, acquisendo nell’ordine il controllo de “il Messaggero” di Roma, “il Mattino” di Napoli, il (tri)veneto “Gazzettino”, il “Corriere adriatico” di Ancona, il “Nuovo quotidiano di Puglia” ed un paio di distribuzioni gratuite, tra le quali “Leggo”. A questo va aggiunta la sua partecipazione, con un non insignificante pacchetto azionario, nel “Monte dei Paschi di Siena”. Non proprio il Don Ciccio Matara di Germi, insomma; ma neppure San Francesco. Nel settore del formidabile suocero ha operato però anche Pierferdinando, mandando in porto un ottimo affare: l’acquisto (alle Assicurazioni Generali) del palazzo nel quale abitava per un prezzo di circa due volte inferiore a quello di mercato. Non male, per un dilettante.
A questo punto va detto che, se l’atteggiamento matrimoniale libertino del Nostro può essere elemento di critica da parte del Potere vaticano, il suo pollice verde per gli affari non dovrebbe rappresentare un problema.
L’Istituto Opere Religiose (IOR), infatti, non è esattamente un’associazione filantropica.
In una interessante ricostruzione firmata qualche tempo fa da Curzio Maltese, una impressionante sequenza di eventi è posta in successione ed in correlazione.
Dapprima il crac del Banco Ambrosiano, liquidato con un quarto del denaro dovuto e qualche cadavere qua e là. Poi i conti segreti aperti dai politici. Quindi i rapporti con Enimont, e quelli con la mafia (che, pare, versava parecchi soldi nelle case della IOR). Infine, i soldi in nero versati dai cosiddetti “furbetti del quartierino”.
Quella organizzata dal Potere vaticano, peraltro, è probabilmente l’unica Chiesa al mondo a disporre di una propria banca d’affari.
Amore, soldi e case, insomma. In fondo, gli ingredienti per una vita perfetta.
Proprio il concetto di perfezione stride, per contingenza o per necessità, con la vita quotidiana. E l’Italia, di fatto, si riduce ad essere un paese drogato dalla repressione. Nel quale la politica è chiassosa, prepotente e violenta. Nel quale la solidarietà è dominata dalla paura. Nel quale la Società non riesce ad emanciparsi da regole inique e paure irrazionali. Nel quale, in naturale contraddizione, le abitudini sessuali sono sempre più orientate verso una forma di stranita perversione maniacale: usuale e stupefacente al tempo stesso. Berlusconi, a pensarci, sembra quasi un agnello sacrificale.
Ho un piccolo aneddoto finale; potrebbe apparire fuori tema, ma trovo che sia invece significativo. Un amico straniero mi ha recentemente reso partecipe di un paio di sue perplessità. La prima riguardava la facilità con la quale le ragazze italiane si dedicano al sesso orale sin dal primo appuntamento (sic!); la seconda era legata alla pratica orale stessa: effettuata senza preservativo. «Probabilmente non apprezzano il sapore del lattice», ho pensato. Il quale, in fondo, dovrebbe essere lo stesso che ha il succhiotto da poppante; ma, d’altra parte, che hanno pure i guanti da cucina. Abbiamo quindi parlato di preservativi. Nel suo paese, dice, sono gratis. (Nessun modello de luxe, per carità; la base: quella per evitare malattie ed altri effetti indesiderati, per intenderci.) In Italia costano molto.
«Qui i preservativi costano tanto perché in Italia c’è il Vaticano», gli ho detto. Non mi pareva del tutto convinto. «Forse è cattolico», ho pensato fra me e me. «Impossibile», subito dopo.
Più probabilmente, è vittima, anche lui, del meccanismo viziato che porta la maggior parte delle persone che vivono qui a scontare una fiscale e invincibile soggezione. Sia nei confronti del Potere vaticano e della sua dottrina sociale, che dei suoi interessati emissari.
Ma questo modo di vivere non è dignitoso. E allora, forse, la vera libertà non può che passare attraverso l’abbandono di certa retorica ipocrita e l’inseguimento (appassionato) di una cultura più autonoma e aperta.»
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