Giovedì 15 ottobre. Fa piuttosto freddo, per non dire molto. È una di quelle giornate nelle quali il vento spazza via foglie, polveri e pulviscolo atmosferico e rende, in questo modo, i confini netti come lame.
Scopro, passando casualmente per il quartiere di S. Martino, che è pure una di quelle giornate nelle quali il Comune di Trento spazza i cosiddetti anarchici come una massaia che rassetta l’uscio di casa. Li spazza via dall’asilo (abbandonato) del quartiere (quello, per intenderci, ribattezzato di recente “Assillo occupato”).
Non accorgersi dello sgombero in corso, del resto, è impossibile: il dispiegamento di forze di polizia è imponente. Sembra di essere allo stadio. O ad una piccola parata militare, se gli uomini in uniforme mantenessero un atteggiamento appena un po’ più composto.
Non sono solo i tanti poliziotti, però, a richiamare la mia attenzione. Quanto piuttosto un rumore ripetuto, insistente, del quale non riesco bene ad individuare la fonte. Poi, all’improvviso, capisco da dove giunge il rumore: lo produce una piccola betoniera, o qualcosa del genere. A quel punto, guardo la facciata dell’asilo.
È completamente murata. O meglio: è quasi completamente murata. Lo sarà, certamente, di lì a poco. Porte: sparite. Finestre: sparite. Operai dribblano poliziotti e appoggiano un mattone sull’altro, per chiudere la cassa.
Vengo colto da una profonda inquietudine. Nemmeno ci sono mai entrato, in quell’asilo: eppure mi sembra, lì per lì, di soffocarci dentro. È una sensazione che ha qualcosa di macabri.
Inizio a rimuginare. Concludo poco o niente; quel poco, è quanto segue. A pensarci, posso comprendere (sebbene sia ben lontano dal condividerle) le preoccupazioni degli abitanti del quartiere, i quali, forse, nemmeno avevano capito bene cosa stesse accadendo dentro quell’edificio abbandonato. Capisco pure le tensioni, istituzionali e non, del Comune; ed il suo dovere di controparte solida. Ci mancherebbe altro. Anzi: un atteggiamento saldo da parte del Comune è proprio ciò che può dare ulteriore valenza, se occorre, all’atto dell’occupazione.
Quello che davvero non riesco a spiegarmi, invece, sono due aspetti che riguardano l’epilogo della faccenda. Anzitutto, la totale chiusura ideologica. Assolutamente non dialogica. Giunta quasi improvvisamente, ma evidentemente ben premeditata - e conturbante perché laconica ed efficace come una lama. In secondo luogo, il gesto dello strangolamento: la muratura di porte e finestre. Un gesto violento, di una violenza silenziosa.
Sinceramente turbato, me ne sono tornato verso casa. Lasciando lì, per strada, la mia domanda: non c’è davvero altro modo?
1 commento:
Perche non:)
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