È in momenti come questo che penso che, se davvero esiste un dio, è perverso e iniquo. O, per lo meno, il pessimo disegnatore di un brutto fumetto.
Poi rifletto un po' più a fondo, e mi rendo conto che io, a quel dio, non credo; perché chiedergli di rendere conto?
Lei correva con me, ed eravamo ragazzi. E non eravamo soli. Sotto il sole di agosto, o sulla neve, quando i piedi sprofondano e resta a galla solo il ginocchio, fuori e dentro le gambe, come nell'acqua ma è più freddo e più faticoso. La fatica: quanta fatica, quante gocce sulla fronte, anche sulla neve.
Studiavamo; e poi abbiamo lavorato. E poi lavoro, e oggi proprio non riesco a lavorare.
La fatalità che ci fa girare sul suo bastone da tip-tap, come palloni. Senza baricentro. Per terra. Come ruote divorate dall'asfalto, come facce divorate dall'asfalto, come cervelli divorati dal male. Dalla fatalità.
Come sappiamo essere fatalisti; come siamo fatali. Nel nostro incedere incerto.
Quanti mesi fa saranno stati? Mi parlava del suo lavoro mentre stavamo seduti in terra, e mi sembrava ancora una ragazza, perché aveva gli stessi occhi.
Ci siamo proprio voluti bene; perché eravamo amici, e correvamo.
Ciao...
1 commento:
lo sai,un abbraccio...
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