«...Non riuscivo a dormire con quella maledetta luna.»
«Anche a te la luna piena impedisce di dormire?»
«Mi fa soffrire le pene dell’inferno» disse Eddy.
«Eddy, credi davvero che ti faccia male dormire sotto i raggi della luna?»
«Così dicono i vecchi del paese. Io non lo so. Comunque, mi fa sempre sentir male.»
Se fossi un avventuriero avrei un cappello marrone a falda larga, circondato da una treccia di cuoio, ed un vestito cachi (co)stretto dalla grande fibbia di una cintura. O forse avrei un’armatura medievale, con tanto di guanti giganti (somiglianti in tutto e per tutto a sfogliatine alla ricotta), dalla quale spunterebbe solo il mio naso, avvolto da baffi alla Dalì. O magari sarei da testa a piedi quello che si può definire un pirata che si diverte a cercar tesori da godere in piccole baie.
Domerei con lo staffile (o, più verosimilmente, con fiori e caramelle) leoni, giraffe, bambini asiatici (a loro volta ammaestratori di cavallette), marmotte fischianti, api nane, assessori ignoranti, gatti con gli stivali, albe e tramonti.
Ci sono istanti, istanti che possono durare anche ore, durante i quali guidare, da soli, sotto la pioggia, è come incontrare per caso una persona conosciuta (forse altrettanto per caso) in una grande città. In fin dei conti, la Senna, il Tamigi, il Tevere, l’Arno sono tutti lo stesso fiume pachidermico, smorzato dagli scrosci, carico di tronchi e uomini caduti e sogni suicidati e sogni in divenire; come il torrente Fersina, o il rio Salè: solo, secondo altre scale (di misura e di valori). Ancora: come le tre isole di Hemingway — Bimini, Cuba, il mare; ovvero: il mare da giovane, il mare quando assente, il mare in essere. E in mezzo a loro, alle onde e alle baie, alla salsedine nell’aria (penso, ora, ai tuoi capelli lunghi e mossi che si muovono nel vento salmastro, coprendoti un occhio, stirandoti il viso, facendoti apparire bellissima, di una bellezza malinconica), restano dritti figli (che se ne vanno, in auto o in guerra), scrittori, baristi. Del resto, in fin dei conti, anch’io possiedo (con amore) i miei personaggi. Scrive Fernanda Pivano: «Chissà se uno scrittore dovrebbe bruciare tutto prima di suicidarsi. Forse quando lo scritto è molto “buono” (come direbbe Hemingway; noi diremmo “bravo”) può anche rischiare, perché sia pure da pagine non riviste, non definitive, non possono non uscire tracce, come si dice, di unghiate di leone o di carezze di cerbiatto, e a volte è fin troppo facile indovinare i tagli che sarebbero stati fatti da lui se ne avesse avuto il tempo». “Avere il tempo” prima del suicidio: che concetto disarmante; il tempo come protrazione dell’accettazione, dell’accettabilità. L’impossibilità di avere ancora tempo. Ma io non sono Tom Hudson, e nemmeno un Tom Collins.
Eppure, eppure... pescherei volentieri un blu marlin, dopo aver lottato con lui. Guardandolo da uomo a pesce.
3 commenti:
Ciao!:) scusami, ho letto il commento sotto il video dei King Crimson solo oggi...mi era sfuggito, tra influenza e crisi di immagini al pc! Per ora ti lascio solo un saluto..ma tornerò a leggere bene!
P.S.Audrey era fantastica..anche George..ma Audrey... la adoro...
bravò (come direbbe un francese in acido - o forse acido lui stesso).
;)
g
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