mercoledì 15 ottobre 2008

Una questione di classe

Stamattina ho assistito ad uno spezzone di dialogo sulla geniale idea di creare delle classi ponte, ossia della classi d'inserimento, alle elementari, per bambini stranieri.
Percorsi speciali per i bambini extracomunitari.
Arrivano, fanno un test; e, se non lo superano, vengono separati dal resto dei loro coetanei. Seguono, per un periodo piuttosto lungo, un percorso separato. Una specie di anticamera che consenta poi di entrare in contatto con i bimbi indigeni.

Lo so per esperienza, anche se non diretta: l'inserimento di un bambino o di un ragazzo straniero, che non parla italiano, è difficile. Lo è per lui, lo è per i compagni, lo è per gli insegnanti. Mio padre, mia madre hanno speso, e spendono ancora oggi, fatica e amore per consentire un difficile, ma giusto, inserimento. Costa fatica. Ma è l'unica strada per la reale integrazione.
Integrazione, ovviamente; non tolleranza.
Ed oltre a questo, l'unico modo per imparare una lingua straniera (e non solo l'italiano) è, a mio avviso, il suo esercizio continuo, nel contatto con gli altri. Il confronto, l'esigenza. Al paradosso: che razza di linguaggio può imparare un cinese che parla con un moldavo?
Queste facce ciarlano di danno per i bimbi italiani. Come se i figli dei bravi leghisti, poi, ed in primis di quel disgustoso Matteo Salvini, sapessero parlare veramente italiano; intrisi come sono di dialettalismi, accenti, e poveri, per contro, nel vocabolario...
Ciarlano e ciarlano. Il danno della divisione, non lo sanno calcolare.

E non mi vengano a parlare di criminalità, poi. Dove c'è disagio, dove c'è degrado, dove c'è esclusione: è là che si creano la violenza e il male.

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