venerdì 7 marzo 2008

Aborti spontanei.

«Mani in alto, ferma o sparo. Già che c’è, signora, si copra anche le vergogne, altrimenti queste immagini non potranno andare in televisione, e allora sai che ce ne facciamo di lei, del marmocchio e del dottore. Come dice? Non capisco. L’ha usato lei quel cucchiaio? Ah, non è un cucchiaio? Non passano più da mangiare, in ospedale? Peggio che in prigione. Tanto vale che ritorniate alla clandestinità, per fare queste porcherie: l’unica differenza è il materasso. Come dice? Non sento bene. Questo straccetto è suo? Come? Ah, non è uno straccetto. Ah, è il marmocchio. Pardon, il feto. Mi pare che si stia muovendo. Impossibile? Questo lo dice lei, signora. Va’ beh, il fetocchio lo prendiamo noi. Ed anche questi cioccolatini. Mani in alto, signora, ferma o sparo! Mi scusi, ogni tanto mi agito; sa, non è facile portare questa uniforme. Trova che mi stia bene?
Chissà che espressione ha indossato la signora S. quando la polizia l’ha interrogata, dopo aver sequestrato una cartella clinica ed un feto che era morto già prima di essere rimosso dal tepore dell’utero.
A me pare che qualcuno, in Italia, si sia ormai abituato a parlare d’aborto in termini che vanno ben al di là dell’atto in sé. In tali termini, la donna incinta diviene un mezzo (nel senso di medium), una specie di buco nero (potenzialmente) procreatore guidato da (potenziali) feroci istinti (abortisti). Quasi un essere inanimato, che non ha tempo per il dolore, che non conosce sentimenti. Trovo tutto questo per lo meno poco lusinghiero verso la categoria.
Dal canto mio, spesso mi sono domandato in quale istante inizi la vita. Se davvero sia una mera questione biologica, o se, piuttosto, la data zero coincida con l’inizio dell’educazione (in senso lato). L’intera natura, insomma, è viva: cosa distingue l’essere umano dal resto? La forma e il colore? O la cultura? Cos’è esistere senza esperire?
E l’esperienza della sofferenza, quanto è opportuna? Costringere un bambino, poi (forse) uomo, alla vegetazione (non boschiva), o al disagio, è amore? È rispetto del “diritto alla vita”? E prima ancora: cosa si intende per “vita”?
La nostra Società non è in grado, secondo me, di rispettarsi, e di rispettare. Dove inizia e dove finisce il suo diritto d’opinione sull’esistenza?
Mani in alto, signora, ferma o sparo!»

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