Fenicotteri rosa.
State al riparo (l'importante è stare all'asciutto).
Questione di classe.
Autunno.
Acqua che piove.
Solo di passaggio.
Il mondo è grigio? Il mondo è blu.
Il nonno e la nonna.
Il cielo degli uomini Bianchi.
Come in uno specchio (I. Bergman).
[Le premesse (prima e seconda, non filosofica) sono lì a far passare il tempo. Il resto si espone compostamente.]
domenica 31 maggio 2009
...sotto il fasciame di carne.
«La mia vita mi ha portato in luoghi gradevoli. Non ci sono cento uomini su un milione che abbiano avuto altrettanta fortuna. Eppure, a dispetto d'una così grande fortuna, io sono triste. E sono triste perché c'è con me John Barleycorn. E John Barleycorn è con me perché io son nato in quello che i secoli a venire chiameranno l'oscuro evo della civiltà razionale. John Barleycorn è con me perché durante tutti i giorni inconsapevoli della mia giovinezza John Barleycorn fu disponibile, e mi chiamava e mi invitava a ogni angolo e a ogni strada fra un angolo e l'altro. La pesudo-civiltà nella quale nacqui permetteva dovunque botteghe autorizzate a vendere il veleno dell'anima. Il sistema di vita era organizzato in modo che io (e milioni come me) fossi adescato, attratto, trascinato a queste vendite di veleno. Segui dunque con me uno solo fra i diecimila stati d'animo in cui mi precipitò John Barleycorn. Sto cavalcando nella mia bella fattoria. Ho sotto di me un bellissimo cavallo. L'aria è come un vino. L'uva sulle colline è rossa di fiamma autunnale. Al di là del Monte di Sonoma si levano dal mare bioccoli di nebbia. Il sole pomeridiano arde nel cielo sonnolento. Ho tutto quel che occorre per sentirmi contento di stare al mondo. Sono pieno di sogni e di misteri. Sono tutto sole, e aria, e favilla. Sono vitalizzato, organico. Mi muovo, ho il potere del movimento, comando il movimento della cosa viva che cavalco. Sono posseduto dall'orgoglio di esistere, conosco fiere passioni e ispirazioni. Ho diecimila motivi di sentirmi augusto. Sono re nel regno del senso, e calpesto il volto della polvere che non si lamenta...
Eppure, con occhio invidioso io guardo tutta la bellezza e la meraviglia che mi circonda, e con mente invidiosa considero la pietosa figura che io sono in questo mondo, che tanto a lungo mi ha sopportato e che continuerà anche senza di me. Rammento gli uomini che si ruppero il cuore e la schiena su questa terra ostinata che oramai mi appartiene. Come se una cosa imperitura potesse appartenere al perituro! Gli uomini sono passati. Anch'io passerò. Questi uomini faticarono, disboscarono e piantarono e guardarono con occhi doloranti, mentre riposavano i corpi induriti dal lavoro in questi stessi tramonti, in queste albe, allo splendore autunnale dell'uva, ai bioccoli di nebbia che sorgono dietro la montagna. E sono andati. E io so che anch'io, un giorno, presto, sarò andato.
Andato? Sto già andando. Nella mia mandibola sono quegli abili artifizi dei dentisti, a sostituire parti di me già andate. Mai più riavrò i pollici della mia gioventù. Vecchie risse, vecchie lotte li hanno danneggiati, irreparabilmente. Il pugno in testa a quell'uomo di cui ho scordato il nome mi ha sistemato questo pollice, per sempre. Una brutta presa di lotta libera ha guastato l'altro. Il mio ventre asciutto di corridore è passato nel limbo della memoria. Le giunture delle gambe che mi sostengono non sono più quelle di un tempo, quando, nelle notti e nei giorni scatenati di fatica e di baldoria, io le volli tendere, stirare, rompere. Non potrò mai più tirarmi su in alto e affidare tutta quanta l'orgogliosa mia destrezza a una fune in mezzo alla tempesta buia. Non potrò mai più correre insieme ai cani da slitta lungo le miglia interminabili della pista artica.
So benissimo che dentro questo corpo in disintegrazione, un corpo che sta morendo dal giorno in cui nacqui, io porto uno scheletro, che, sotto il fasciame di carne chiamato il mio volto, c'è una testa di morto ossuta e senza naso. Ma tutto questo non mi fa tremare. Aver paura significa essere sani. La paura della morte dà motivo di vita. Ma è la maledizione della Logica Bianca quella che ti fa non essere pauroso. La malattia cosmica della Logica Bianca ti fa ghignare giocosamente in faccia a quella che non ha naso, e ti fa irridere tutte le fantasmagorie della vita.»
(J. London, "John Barleycorn", trad. L. Bianciardi)
Eppure, con occhio invidioso io guardo tutta la bellezza e la meraviglia che mi circonda, e con mente invidiosa considero la pietosa figura che io sono in questo mondo, che tanto a lungo mi ha sopportato e che continuerà anche senza di me. Rammento gli uomini che si ruppero il cuore e la schiena su questa terra ostinata che oramai mi appartiene. Come se una cosa imperitura potesse appartenere al perituro! Gli uomini sono passati. Anch'io passerò. Questi uomini faticarono, disboscarono e piantarono e guardarono con occhi doloranti, mentre riposavano i corpi induriti dal lavoro in questi stessi tramonti, in queste albe, allo splendore autunnale dell'uva, ai bioccoli di nebbia che sorgono dietro la montagna. E sono andati. E io so che anch'io, un giorno, presto, sarò andato.
Andato? Sto già andando. Nella mia mandibola sono quegli abili artifizi dei dentisti, a sostituire parti di me già andate. Mai più riavrò i pollici della mia gioventù. Vecchie risse, vecchie lotte li hanno danneggiati, irreparabilmente. Il pugno in testa a quell'uomo di cui ho scordato il nome mi ha sistemato questo pollice, per sempre. Una brutta presa di lotta libera ha guastato l'altro. Il mio ventre asciutto di corridore è passato nel limbo della memoria. Le giunture delle gambe che mi sostengono non sono più quelle di un tempo, quando, nelle notti e nei giorni scatenati di fatica e di baldoria, io le volli tendere, stirare, rompere. Non potrò mai più tirarmi su in alto e affidare tutta quanta l'orgogliosa mia destrezza a una fune in mezzo alla tempesta buia. Non potrò mai più correre insieme ai cani da slitta lungo le miglia interminabili della pista artica.
So benissimo che dentro questo corpo in disintegrazione, un corpo che sta morendo dal giorno in cui nacqui, io porto uno scheletro, che, sotto il fasciame di carne chiamato il mio volto, c'è una testa di morto ossuta e senza naso. Ma tutto questo non mi fa tremare. Aver paura significa essere sani. La paura della morte dà motivo di vita. Ma è la maledizione della Logica Bianca quella che ti fa non essere pauroso. La malattia cosmica della Logica Bianca ti fa ghignare giocosamente in faccia a quella che non ha naso, e ti fa irridere tutte le fantasmagorie della vita.»
(J. London, "John Barleycorn", trad. L. Bianciardi)
sabato 30 maggio 2009
In una tranquilla, angosciosa quasi estate.
"Ma i moralisti han chiuso i bar..."
Incredibile servizio su "Anna" (ebbene sì, su "Anna"; che volete, ci scrive pure Water Cialtroni...).
Titolo: "Fatti mandare dalla mamma a incastrare il miliardario". Il gentile lettore può immaginare il tenore.
Silvia, studentessa di 24 anni, dice: «Ho 24 anni. Ne avevo sei quando mia madre ha cominciato a ripetermi il suo mantra: "Al lusso ci si abitua subito, alla miseria mai". Per mia mamma l'unica cosa di cui una bella ragazza si deve vergognare è la povertà: "Se sei graziosa e senza un soldo significa anche che sei stupida". Mi ha allevata con quest'idea. E io l'ho seguita docile. Così siamo diventate complici. Mi ha incoraggiato a frequentare ragazzi di buona famiglia ("buona famiglia"? Santo cielo... ndl.), ma non mi ha mai negato l'avventura con il bello incontrato in spiaggia. Anzi, se c'era bisogno mi copriva. Non è una moralista. Però il patto era chiaro: le avventure sono permesse, le sbandate no.»
E poi l'intervista, se così la si può chiamare, va avanti con questi toni da libro harmony, tra dentisti scoperecci, fantini promiscui e vestitini comprati da mammà.
Ad un certo punto, ho pure avuto il forte sospetto che certe cose fossero inventate da un eccitato giornalista. O che lo stesso fosse l'autore (e ideatore) del testo integrale. Chi lo sa.
Sta di fatto che io pensavo: esistono alcune sfumature intermedie tra essere moralisti e non avere morale.
Titolo: "Fatti mandare dalla mamma a incastrare il miliardario". Il gentile lettore può immaginare il tenore.
Silvia, studentessa di 24 anni, dice: «Ho 24 anni. Ne avevo sei quando mia madre ha cominciato a ripetermi il suo mantra: "Al lusso ci si abitua subito, alla miseria mai". Per mia mamma l'unica cosa di cui una bella ragazza si deve vergognare è la povertà: "Se sei graziosa e senza un soldo significa anche che sei stupida". Mi ha allevata con quest'idea. E io l'ho seguita docile. Così siamo diventate complici. Mi ha incoraggiato a frequentare ragazzi di buona famiglia ("buona famiglia"? Santo cielo... ndl.), ma non mi ha mai negato l'avventura con il bello incontrato in spiaggia. Anzi, se c'era bisogno mi copriva. Non è una moralista. Però il patto era chiaro: le avventure sono permesse, le sbandate no.»
E poi l'intervista, se così la si può chiamare, va avanti con questi toni da libro harmony, tra dentisti scoperecci, fantini promiscui e vestitini comprati da mammà.
Ad un certo punto, ho pure avuto il forte sospetto che certe cose fossero inventate da un eccitato giornalista. O che lo stesso fosse l'autore (e ideatore) del testo integrale. Chi lo sa.
Sta di fatto che io pensavo: esistono alcune sfumature intermedie tra essere moralisti e non avere morale.
venerdì 29 maggio 2009
...un altro piccolo estratto dalla Frontiera.
«Il vecchio Fred è vecchio e fuma la pipa da quando io sono nato. E mi dice sempre che non bisogna andarci, di là. Dall’altra parte.
Chissà perché. Ho provato a chiederlo, ma non mi hanno risposto. Né il vecchio Fred, né Papino. Né il buon Dio.
Potrebbero esserci folletti cattivi, o quei bambini con le gambe di capretto (come si chiamano?) che fanno un sacco di dispetti.
Papino dice che non bisogna scavalcare il muro.
Però il mio pallone è di là, dall’altra parte de muretto. Ed io lo vorrei riprendere.
E adesso, come faccio?»
Chissà perché. Ho provato a chiederlo, ma non mi hanno risposto. Né il vecchio Fred, né Papino. Né il buon Dio.
Potrebbero esserci folletti cattivi, o quei bambini con le gambe di capretto (come si chiamano?) che fanno un sacco di dispetti.
Papino dice che non bisogna scavalcare il muro.
Però il mio pallone è di là, dall’altra parte de muretto. Ed io lo vorrei riprendere.
E adesso, come faccio?»
giovedì 28 maggio 2009
...un piccolo estratto dalla Frontiera.
« È proprio qui, quasi qui, dietro la grande roccia a forma di testa, che è nascosto il buco. Non è un buco grande. Ci passerà, sì e no, un uomo magro. O un bambino. O magari un nano. Quando venne il circo spagnolo, ed il nano scappò, tutti lo cercarono in lungo e in largo. Persino sotto i materassi, sotto i cumuli di fieno o di letame e nel furgone del lattaio. Lo cercarono anche nel bosco degli zingari, e lungo la rete verde. Ma niente da fare, mica lo trovarono. Papino se ne stava seduto e ripeteva: “Non lo troveranno mai”, ed io pensavo “Papino deve aver scoperto che il nano del circo spagnolo è scappato oltre la rete verde”.
Papino dice che il nano del circo spagnolo si è innamorato della figlia del macellaio Butch, e che il macellaio Butch sarebbe capace di ammazzare, per sua figlia.
Papino dice che nel bosco ci sono gli zingari, e che il macellaio Butch parla sempre male degli zingari.»
Papino dice che il nano del circo spagnolo si è innamorato della figlia del macellaio Butch, e che il macellaio Butch sarebbe capace di ammazzare, per sua figlia.
Papino dice che nel bosco ci sono gli zingari, e che il macellaio Butch parla sempre male degli zingari.»
mercoledì 27 maggio 2009
martedì 26 maggio 2009
John Barleycorn (must die) (at the tropics)
«Dalle Marchesi feci vela, con in stiva sufficiente assenzio da bastarmi fino a Tahiti, dove feci provvista di whisky sia scozzese che americano, e da quel giorno in poi non ci furono tappe a secco, da un porto all'altro. Ma vi prego di non capirmi male. Non si trattava di ubriachezza, nel senso ordinario che si dà alla parola ubriachezza – nessun capogiro, nessun barcollamento, nessuna confusione dei sensi. Il bevitore abile e stagionato, con una forte costituzione, mai si abbassa a cose del genere. Beve per sentirsi bene, per cavarne piacere, e non di più. Evita accuratamente la nausea del bere eccessivo, l'effetto che consegue all'aver bevuto troppo, l'umiliazione che lascia l'aver bevuto troppo.
Il bevitore esperto e stagionato giunge a una semi-ubriacatura discreta e accorta. E fa questo per dodici mesi all'anno, senza alcun danno apparente. Ci sono centinaia di migliaia di uomini così, oggi, negli Stati Uniti, nei circoli, negli alberghi, in casa loro – uomini che non sono mai ubriachi, e che di rado sono esenti dall'alcol, anche se la maggior parte sono pronti a giurare, sdegnati, il contrario. E tutti quanti credono fiduciosamente, come credevo io, di averla vinta in questo gioco.
Nelle tappe di mare mi mantenevo abbastanza astemio; ma a terra bevevo di più. In ogni modo, ai tropici avevo la sensazione di volerne di più. È l'esperienza comune, perché è un fatto noto, ai tropici, l'eccessivo consumo di alcol da parte dei bianchi.I tropici non sono un posto per uomini bianchi. Il pigmento della pelle non ci protegge contro l'eccessiva luce bianca del sole. I raggi ultravioletti, della parte alta dello spettro, passano e lacerano i tessuti, allo stesso modo in cui i raggi X hanno devastato i tessuti degli sperimentatori prima che questi si avvedessero del pericolo.
I bianchi, ai tropici, subiscono un cambiamento radicale. Diventano selvaggi, spietati. Commettono mostruosi atti di crudeltà che mai avrebbero sognato di commettere nel loro clima temperato originario. Diventano nervosi, irritabili, viene meno il senso morale. E bevono come mai han bevuto prima. Il bere è una fra le tante forme di degenerazione che si stabilisce quando un bianco rimane troppo a lungo esposto a un eccesso di luce bianca. È automatico l'aumento del consumo alcolico. I tropici non sono adatti ai lunghi soggiorni. Sono una specie di condanna a morte, e il gran bere accelera il processo. L'uomo bianco su questo non ragiona. Beve.»
(J. London, "John Barleycorn", trad. L. Bianciardi)
Il bevitore esperto e stagionato giunge a una semi-ubriacatura discreta e accorta. E fa questo per dodici mesi all'anno, senza alcun danno apparente. Ci sono centinaia di migliaia di uomini così, oggi, negli Stati Uniti, nei circoli, negli alberghi, in casa loro – uomini che non sono mai ubriachi, e che di rado sono esenti dall'alcol, anche se la maggior parte sono pronti a giurare, sdegnati, il contrario. E tutti quanti credono fiduciosamente, come credevo io, di averla vinta in questo gioco.
Nelle tappe di mare mi mantenevo abbastanza astemio; ma a terra bevevo di più. In ogni modo, ai tropici avevo la sensazione di volerne di più. È l'esperienza comune, perché è un fatto noto, ai tropici, l'eccessivo consumo di alcol da parte dei bianchi.I tropici non sono un posto per uomini bianchi. Il pigmento della pelle non ci protegge contro l'eccessiva luce bianca del sole. I raggi ultravioletti, della parte alta dello spettro, passano e lacerano i tessuti, allo stesso modo in cui i raggi X hanno devastato i tessuti degli sperimentatori prima che questi si avvedessero del pericolo.
I bianchi, ai tropici, subiscono un cambiamento radicale. Diventano selvaggi, spietati. Commettono mostruosi atti di crudeltà che mai avrebbero sognato di commettere nel loro clima temperato originario. Diventano nervosi, irritabili, viene meno il senso morale. E bevono come mai han bevuto prima. Il bere è una fra le tante forme di degenerazione che si stabilisce quando un bianco rimane troppo a lungo esposto a un eccesso di luce bianca. È automatico l'aumento del consumo alcolico. I tropici non sono adatti ai lunghi soggiorni. Sono una specie di condanna a morte, e il gran bere accelera il processo. L'uomo bianco su questo non ragiona. Beve.»
(J. London, "John Barleycorn", trad. L. Bianciardi)
domenica 24 maggio 2009
Che fretta c'era, maledetta Franciacorta. (E se non cera?)
venerdì 22 maggio 2009
mercoledì 20 maggio 2009
Cinque mesi.
«...Però non mi confondere
con niente e con nessuno
e, vedrai, niente e nessuno
ti confonderà...
Nemmeno l'innocenza nei miei occhi
– ce n'è già meno di ieri,
ma che male c'è?
Le navi di Pierino
erano carta di giornale
eppure, guarda, sono andate via:
magari dove tu volevi andare
ed io non ti ho portato mai.
Ma puoi chiamarmi ancora
"amore mio"...»
I ricordi delle pose scattate, e della fortuna delle mie orecchie e dei miei occhi. Della curiosità.
Mi manchi.
«...Però non mi confondere
con niente e con nessuno
e, vedrai, niente e nessuno
ti confonderà...
Nemmeno l'innocenza nei miei occhi
– ce n'è già meno di ieri,
ma che male c'è?
Le navi di Pierino
erano carta di giornale
eppure, guarda, sono andate via:
magari dove tu volevi andare
ed io non ti ho portato mai.
Ma puoi chiamarmi ancora
"amore mio"...»
I ricordi delle pose scattate, e della fortuna delle mie orecchie e dei miei occhi. Della curiosità.
Mi manchi.
martedì 19 maggio 2009
Minzolini direttore del Tg1?
Chi è Augusto Minzolini?
I suoi articoli sono citati, in chiave messianica, dai blog dei circoli delle libertà (http://blogpericircolidellaliberta.blogspot.com/2008/11/il-peccato-originale-augusto-minzolini.html).
Già editorialista de "la Stampa" e "Panorama", dicono di lui:
«...Nel reparto "embedded" sarà giocoforza occuparsi di Piero Ostellino e Augusto Minzolini, cronista della Stampa e rubrichista di Panorama, detto Scodinzolini per la sua fiera indipendenza che mostra dall'oggetto dei suoi articoli: Berlusconi. [...] Minzolini, su Panorama, redarguisce "chi usa il video come trampolino per la politica". qualche ingenuo pensa che ce l'abbia con Letta, Guzzanti, Del Noce, Michelini, Gawronsky, Cecchi Paone e gli altri volti noti del giornalismo televisivo passati in Parlamento o prossimi a passarci? O magari a un signore che il video come trampolino per la politica lo usa da dieci anni essendo proprietario di tre tv? Ma no, ce l'ha con Lilli Gruber e Michele Santoro. I quali, candidandosi, smentirebbero "il pericolo di regime".»
(M. Travaglio, Bananas)
«Terzino sinistro, Augusto Minzolini. Il cronista più amato dal Cavaliere, che preferisce utilizzarlo quando c'è da mandare qualche messaggio hard agli alleati di governo. "Fini? Sotto il vestito niente", scrive su 'La Stampa' Minzolini quando il vice-premier fa la voce grossa sulla verifica. Passa qualche giorno e il cattivo diventa Marco Follini: "Il Cavaliere lo trova freddo, antipatico". Stesso trattamento riservato, dalle colonne di 'Panorama', al neo presidente della Consulta, Gustavo Zagrebelsky. Ora scende in campo come agit-prop nella nuova trasmissione su Raidue 'Luneditalia' ideata da Socci.»
(M. Damilano e M. Pardo, "Saxa Rubra Milan club", l'Espresso)
Dice lui stesso:
«Considerare le parole pronunciate ieri da Berlusconi come una "marcia indietro" (è l'opinione prevalente nell'opposizione) è a dir poco superficiale. Semmai il Cavaliere ha registrato la sua posizione, la (sic) calibrata secondo la logica dello "stop and go" che da sempre gli appartiene, ma non si tratta nè di un ripensamento, nè di una ritirata.»
(a proposito delle dichiarazioni di Berlusconi sulla polizia nelle scuole)
E infine, per gli amanti di Facebook: http://www.facebook.com/group.phpsid=455abf9e530880501857c2ffc7cf0cff&gid=74497881599&ref=search
Ecco.
I suoi articoli sono citati, in chiave messianica, dai blog dei circoli delle libertà (http://blogpericircolidellaliberta.blogspot.com/2008/11/il-peccato-originale-augusto-minzolini.html).
Già editorialista de "la Stampa" e "Panorama", dicono di lui:
«...Nel reparto "embedded" sarà giocoforza occuparsi di Piero Ostellino e Augusto Minzolini, cronista della Stampa e rubrichista di Panorama, detto Scodinzolini per la sua fiera indipendenza che mostra dall'oggetto dei suoi articoli: Berlusconi. [...] Minzolini, su Panorama, redarguisce "chi usa il video come trampolino per la politica". qualche ingenuo pensa che ce l'abbia con Letta, Guzzanti, Del Noce, Michelini, Gawronsky, Cecchi Paone e gli altri volti noti del giornalismo televisivo passati in Parlamento o prossimi a passarci? O magari a un signore che il video come trampolino per la politica lo usa da dieci anni essendo proprietario di tre tv? Ma no, ce l'ha con Lilli Gruber e Michele Santoro. I quali, candidandosi, smentirebbero "il pericolo di regime".»
(M. Travaglio, Bananas)
«Terzino sinistro, Augusto Minzolini. Il cronista più amato dal Cavaliere, che preferisce utilizzarlo quando c'è da mandare qualche messaggio hard agli alleati di governo. "Fini? Sotto il vestito niente", scrive su 'La Stampa' Minzolini quando il vice-premier fa la voce grossa sulla verifica. Passa qualche giorno e il cattivo diventa Marco Follini: "Il Cavaliere lo trova freddo, antipatico". Stesso trattamento riservato, dalle colonne di 'Panorama', al neo presidente della Consulta, Gustavo Zagrebelsky. Ora scende in campo come agit-prop nella nuova trasmissione su Raidue 'Luneditalia' ideata da Socci.»
(M. Damilano e M. Pardo, "Saxa Rubra Milan club", l'Espresso)
Dice lui stesso:
«Considerare le parole pronunciate ieri da Berlusconi come una "marcia indietro" (è l'opinione prevalente nell'opposizione) è a dir poco superficiale. Semmai il Cavaliere ha registrato la sua posizione, la (sic) calibrata secondo la logica dello "stop and go" che da sempre gli appartiene, ma non si tratta nè di un ripensamento, nè di una ritirata.»
(a proposito delle dichiarazioni di Berlusconi sulla polizia nelle scuole)
E infine, per gli amanti di Facebook: http://www.facebook.com/group.phpsid=455abf9e530880501857c2ffc7cf0cff&gid=74497881599&ref=search
Ecco.
domenica 17 maggio 2009
Il tuo sguardo nel mio - VII
«La vicinanza del mondo mi fa pensare che...
Mi fa pensare.
Non esiste un altro incipit? Non so più scrivere.
Penso sempre alle stesse cose.
[...]
La presenza degli altri diventa pretestuosa, contingente, lontana. Sbiadisce, i suoi contorni perdono intensità, ed il suo odore non fa che rimandarmi indietro. Ai suoi colori. E alla mia ansia.
Sì, sono nervoso. Che cosa ci posso fare?
CHI può fare COSA?
A momenti mi sento semplicemente infinitamente solo.»
Mi fa pensare.
Non esiste un altro incipit? Non so più scrivere.
Penso sempre alle stesse cose.
[...]
La presenza degli altri diventa pretestuosa, contingente, lontana. Sbiadisce, i suoi contorni perdono intensità, ed il suo odore non fa che rimandarmi indietro. Ai suoi colori. E alla mia ansia.
Sì, sono nervoso. Che cosa ci posso fare?
CHI può fare COSA?
A momenti mi sento semplicemente infinitamente solo.»
venerdì 15 maggio 2009
martedì 12 maggio 2009
lunedì 11 maggio 2009
In attesa della crisi: periferie
Periferia
s.f.
1 (geom.) in un cerchio o in una sfera, o in una palla di gomma, il punto esterno equidistante da tutti i punti del centro della circonferenza o della superficie collassanti nell’unico punto detto “centro”, o “nocciolo” | periferia di gravità, (fis.) zona lontana dal baricentro; est. area pericolosa e militarizzata | periferia ottica, (fis.) in un sistema ottico, monoculare od occhialuto, punto per il quale non passa alcun raggio luminoso: la periferia ottica d’un vecchio cinema d’essai
2 (estens.) parte che è più o meno approssimativamente lontanissima dal punto più interno dell’oggetto, di un insieme, di una zona: la periferia del mio cuore; la periferia del bersaglio, attribuita ad arcieri inesperti; la periferia della terra, quella nella quale non vale la pena di investire, se non capitali multinazionali
3 (indecl.) il punto di svolta del modello sociale contemporaneo | le periferie bruciano, e come potrebbe essere altrimenti? Certo non bruciano d’amor
4 (pleon.) quartiere di una città in cui si trovano gli edifici pubblici e privati di minor interesse; talvolta, quartiere di una città in cui si trovano gli edifici né pubblici né privati: sospesi | periferia storica, quella che in futuro diventerà il nucleo quasi originario di una città, pur rimanendo di insignificante interesse storico-artistico
5 (pol.) la piccola porzione dello schieramento parlamentare, o piuttosto extra-parlamentare, che non intreccia affari con il Vaticano.
6 (lett.) avanguardia | Tommaso Landolfi sarà sempre una periferia
7 (sociol.) retroguardia | periferie culturali, Fabrizio Corona
8 (anat.) parte anatomica assolutamente non nevralgica, che svolge funzioni non meglio precisate, talvolta d’ostacolo: periferia nervosa, periferia inibitrice
9 (eufem.) la zona di una città che subisce in modo incondizionato e inerme la pressione sociale, economica e culturale del centro e che viene da esso sfruttata in termini di forza lavoro
10 (fig.) tutto ciò che non è Occidente, ad est di un punto immaginario inventato da un Ovest asfittico; cardinalità sui generis | il concorrente sceglie India o Burkina Faso?
(Unversitando #?, "Periferie")
s.f.
1 (geom.) in un cerchio o in una sfera, o in una palla di gomma, il punto esterno equidistante da tutti i punti del centro della circonferenza o della superficie collassanti nell’unico punto detto “centro”, o “nocciolo” | periferia di gravità, (fis.) zona lontana dal baricentro; est. area pericolosa e militarizzata | periferia ottica, (fis.) in un sistema ottico, monoculare od occhialuto, punto per il quale non passa alcun raggio luminoso: la periferia ottica d’un vecchio cinema d’essai
2 (estens.) parte che è più o meno approssimativamente lontanissima dal punto più interno dell’oggetto, di un insieme, di una zona: la periferia del mio cuore; la periferia del bersaglio, attribuita ad arcieri inesperti; la periferia della terra, quella nella quale non vale la pena di investire, se non capitali multinazionali
3 (indecl.) il punto di svolta del modello sociale contemporaneo | le periferie bruciano, e come potrebbe essere altrimenti? Certo non bruciano d’amor
4 (pleon.) quartiere di una città in cui si trovano gli edifici pubblici e privati di minor interesse; talvolta, quartiere di una città in cui si trovano gli edifici né pubblici né privati: sospesi | periferia storica, quella che in futuro diventerà il nucleo quasi originario di una città, pur rimanendo di insignificante interesse storico-artistico
5 (pol.) la piccola porzione dello schieramento parlamentare, o piuttosto extra-parlamentare, che non intreccia affari con il Vaticano.
6 (lett.) avanguardia | Tommaso Landolfi sarà sempre una periferia
7 (sociol.) retroguardia | periferie culturali, Fabrizio Corona
8 (anat.) parte anatomica assolutamente non nevralgica, che svolge funzioni non meglio precisate, talvolta d’ostacolo: periferia nervosa, periferia inibitrice
9 (eufem.) la zona di una città che subisce in modo incondizionato e inerme la pressione sociale, economica e culturale del centro e che viene da esso sfruttata in termini di forza lavoro
10 (fig.) tutto ciò che non è Occidente, ad est di un punto immaginario inventato da un Ovest asfittico; cardinalità sui generis | il concorrente sceglie India o Burkina Faso?
(Unversitando #?, "Periferie")
giovedì 7 maggio 2009
Prove tecniche di Gocciadoro #1
martedì 5 maggio 2009
Il tuo sguardo nel mio - VI
"Me l'ha ddetto Michéle".
Karmeliet.
Il mondo gira, la gente vola.
Guardarsi attorno.
Voyeurismo.
Brick lane, of course.
Mercati sbiaditi.
È l'amore che fa / cantare le donne / al mercato dei fiori.
Conduzioni causali.
Ingegneria delle superfici? (ovvero: deformazione professionale)
Ma il cielo è sempre più blu - 2.
Aquerello: ruggine.
"London where?" "London, England".
Karmeliet.
Il mondo gira, la gente vola.
Guardarsi attorno.
Voyeurismo.
Brick lane, of course.
Mercati sbiaditi.
È l'amore che fa / cantare le donne / al mercato dei fiori.
Conduzioni causali.
Ingegneria delle superfici? (ovvero: deformazione professionale)
Ma il cielo è sempre più blu - 2.
Aquerello: ruggine.
"London where?" "London, England".
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