Domenica sera, il 12 settembre, una motovedetta libica, ceduta dalla guardia di finanza italiana a Gheddafi (quello dei cammelli, le tende in centro a Roma e le 300 amazzoni da 40 euro) e con a bordo -pare- sei militari italiani, ha mitragliato un peschereccio italiano.
L'Ariete, così si chiama il peschereccio, non si sarebbe fermato all'Alt! intimato. In acque internazionali, ovviamente. Il suo capitano ("sapendo quello che ci aspettava", ha detto; già questo mette i brividi) non ha risposto all'ordine, e anzi ha messo il motore a tutta. Dire che non ha risposto all'ordine, in realtà, non è corretto: Gaspare Marrone, il capitano, ha avuto uno scambio (in italiano) con uno dei militari, pare il comandante della motovedetta, al quale ha detto di essere un pescatore al lavoro. Evidentemente, il dialogo non ha convinto il militare. Né Marrone: anche perché quest'ultimo sosteneva (a ragione, credo) che i militari non avessero alcun diritto di fermare il peschereccio. I libici, però, la pensavano diversamente. E la loro brillante idea è stata quindi quella di sparare ad alzo zero; sulla cabina di comando. I classici colpi d'avvertimento in aria, insomma.
L'interpretazione dei fatti di Maroni, il Ministro degli Interni, è sconcertante: quel gran brav'uomo pensa che i soldati «abbiano scambiato il peschereccio per una nave che trasportava clandestini». In effetti questo, indubbiamente, li giustificava ad aprire il fuoco.
E se i militari avessero invece pensato che a bordo del peschereccio ci fosse Giuliana Sgrena?
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