«Nove mesi. Come una gravidanza. Una gravidanza che non porta novità. Una gravidanza isterica.
È struggente, e così romantico, pensare sempre a te, voler pensare solo a te. E contemporaneamente così faticoso, e così tormentato, e stancante. Il susseguirsi dei giorni sta estraendo con cura, fuori di me, come il nastro d'un prestigiatore, ogni energia, ogni stimolo, ogni alito vitale.
Non è tanto la morte, ad essere triste: quanto piuttosto l'infinita solitudine che la morte lascia. E questa tristezza così asciutta stringe in un abbraccio caldo e invincibile, mentre nei prati attorno, o nelle stanza illuminate a giorno, qualcuno ti dice "cosa vuoi che sia". Anche la bruttezza, d'altronde, non dà mai tregua: e con le morali abbiamo già riempito cento sputacchiere.
La serenità non può passare tra i denti di tutti, spinta dalle loro lingue che paiono lumache. La serenità non può dirsi vedere labbra che si muovono senza emettere alcun suono.
In fondo, considerazioni di fondo. Senza molta considerazione.
Però il fondo è freddo; e congela i piedi e la schiena, come quella notte sul pavimento di Leiria. Non ci voglio stare troppo, ancora troppo a lungo.»
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