Battipaglia. Un'ora di strada a piedi nel vuoto, dove nel '69 gli operai avevano fatto i compagni. Mi convinco che un centro di Battipaglia, benché indicato dai cartelli, non esista; che non sia sopravvissuto alla ragione dei compagni operai?
All'atterraggio le luci di Napoli, come fosse sabato sera, ma è domenica. Notte, quasi. E in lontananza, moderata, piccoli fuochi d'artificio per party privato, non badare a spese, invitare numerosi coetanei, possibilmente far esibire neomelodico dopo comunione prima di festa camorra. I compagni operai disapprovano e tentano sabotaggio con estintore.
Linguine tonno e finocchietto, presumibilmente ex selvatico, e salmone al vino rosso. Generosa falanghina, per bilanciare.
I miei vicini di tavolo, mentre ci ripenso, vuotano svogliatamente i piatti. Mantovani, moderatamente. Maglietta blu, pantaloni chiari, infradito insolenti; molta tempia, resto ingellato, poche parole negli spazi - pochi - lasciati dal commensale: labbro inferiore pronunciato, righe rosse e grigie su bianco, jeans scuro, blu, senza forma. Adidas particolarmente inadeguate fasciano calze nere che hanno conosciuto il mercato. Forse in senso biblico. Fuori da quei famosi pochi spazi, si narra di genitori che hanno sbagliato impianti elettrici; sorelle che non vogliono cambiare casa; cene aziendali con l'Elvira, Simone che mette la macchina e una ragazza un po' in carne che gli fa la posta. Qualcun altro parla inglese. I believe, I remember that, so is more relaxing.
Parte l'irrigazione, alle mie spalle, o qualcosa del genere. Zanzare impavide mi aggrediscono mentre affronto senza remore una timida macedonia.
C'è pure uno che consulta la bussola su iPhone, forse per non perdersi neppure una portata.
È una notte in Italia: lo vedo questo taglio di luna, solido e penetrante il palmizio e il chiacchiericcio di circostanza. Sottofondo, night club stile Serpico.
Ritirarsi nelle proprie stanze.
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