Uno come me alla “Cantinota” ci va solo per qualche occasione particolare; la festa di laurea di uno dei miei indomiti calciatori, ieri sera, nella fattispecie. Uno come me alla “Cantinota” ci va solo per qualche occasione particolare: non mi piace ballare quella roba, non mi piacciono le camicie con il collo alto, non mi piace essere trattato come un ragazzetto. E poi la “Cantinota” è quello che, per frequentazione e (scarsa) tradizione, non ho mai esitato a definire un luogo dove non metto piede volentieri.
Una volta, quand’ero bambino, ci facevano ottimi risotti, alla “Cantinota”; ma poi le cose sono andate come sono andate. “Non tutti i problemi possono essere risolti: ne esistono alcuni che non hanno soluzione”, diceva Moravia. Ecco, appunto.
L’occasione fa però l’uomo ladro, o forse solo paziente: e dunque via, si può anche venire meno ai propri principi e festeggiare in un locale dove per mia iniziativa non manderei nemmeno un pacco bomba.
Lo ammetto subito, a scanso di equivoci: ieri sera ero alticcio, a fine serata. E come no. Sempre per le ragioni di cui sopra. Non che ci si debba giustificare: ma meglio non lasciare spazio a dubbi.
Uno come me alla “Cantinota” ci va solo per qualche occasione particolare, e ci sarà pure un motivo.
Ieri sera ci sono arrivato verso mezzanotte. Ho lasciato il cappotto al guardaroba e sono andato a fare il solito esercizio d’estetica (figurata) in pista. Nulla di particolare da segnalare, a parte la limitata fantasia di quello che “suonava i dischi”.
Giunta la nostra ora, ho cercato il maglioncino che ad un certo punto m’ero levato, vinto dal caldo. Uno dei miei preferiti, blu, con bottoncini sulle spalle; vecchio e fedele. Sul divanetto dove l’avevo adagiato, però, non c’era. Nonostante le mie attente escavazioni tra giacche e altri maglioni, del maglioncino neppure l’ombra.
Rassegnato, sono andato a riprendere il cappotto.
Talvolta i locali poggiano su gestioni rigidamente famigliari: il giovane rampollo gioca a fare l’imprenditore, la madre fa il lavoro sporco, il padre controlla; i fratelli, di contorno. La “Cantinota” non fa eccezione. Al guardaroba incontro un’attempata e ossigenata signora, la madre del rampollo appunto, alla quale faccio notare che mi hanno rubato il maglioncino. “Era nel guardaroba?”, mi chiede. La domanda è totalmente assurda (al guardaroba ci sei tu: in base a cosa potrei sostenere che mi hanno rubato un indumento che non ti ho chiesto?), ma rispondo comunque negativamente. A quel punto, la vetusta guardarobiera avrebbe potuto cavarsela con un “E allora mi dispiace”. Il maglioncino era “abbandonato”, e quindi la responsabilità dell’ammanco – ovviamente — non è del locandiere: ciò che a me interessava era segnalare lo sgradevole furto. La bionda d’annata avrebbe potuto cavarsela con una frase di cortesia: e invece ha preferito optare per una formula come “Non sono affari nostri”. Le ho fatto notare che il fatto che rubino nel loro bel localino è invece, probabilmente, affar loro. Mi ha ignorato e ha detto alla ragazza che la affiancava di farmi pagare il conto (18 euro: pecunia non olet, mai, maglioncinum talvolta). Esordendo con una bestemmia di cortesia, ho provato di nuovo a farle capire che un furto non dovrebbe essere gesto gradito. A quel punto lei si è defilata ed ha fatto intervenire il rampollo: fissandomi con sguardo vacuo, mi ha invitato ad uscire, a mezzo buttafuori. Scioccamente inebriato dal sapore di una giustizia da ritrovare sui banchi di un tribunale, ho ammonito i miei antipatici interlocutore: “non preoccupatevi, ci rivedremo altrove”. Ingenua speranza suonante come minaccia. Ho sbattuto la porta e ho preso, in camicia, la strada.
Mio fratello, che mi seguiva per controllare che il buttafuori bianco non facesse gli straordinari non richiesti, è stato bloccato all’ingresso perché ancora non aveva pagato. La mia compagna è stata invece intrattenuta da un secondo buttafuori, nero, che le ha fatto il gioco delle tre carte: ha sostenuto che lei le avesse detto “torna al tuo paese” (cosa tristemente non vera) e, alla sua smentita, le ha detto “sei ubriaca”.
Quando la verità è vera, c’è poco da fare.
Il panciuto buttafuori bianco, nel frattempo, mi spingeva fuori. Io resistevo, spiegandogli che aspettavo la mia amata corte. Lui allora ha detto “chiamo la polizia”. “Chiama la polizia”, gli ho detto. La polizia già era lì.
Come nella migliore tradizione, si sono presentati il poliziotto buono e quello cattivo: il primo (troppo) accomodante, il secondo con lo sguardo da “mi avete rotto le palle, ragazzini che venite a suonare il campanello di casa mia alle 4 del mattino”. Ho spiegato loro com’erano andate le cose; ho provato a spiegare loro che non volevo risarcimento del maglioncino, ma riconoscimento del furto. Mentre facevo ciò, il padre del rampollo, fino a quel momento molto intento a controllare (probabilmente chi stava vomitando nella sua lucidissima toilette), è salito dall’antro per accusarmi di aver rotto un quadro (accusa questa subito rientrata, al “che cazzo dice?” di mio fratello) e darmi dello stronzo. Ho chiesto ai poliziotti “non gli dite niente?”; in tutta risposta, hanno chiesto i documenti a me e alla mia compagna, un po’ come — da ragazzini — si chiedevano in visione le figurine più pregiate. Nel frattempo, il languido buttafuori bianco, probabilmente preoccupato dal mio pericolosissimo ritorno a casa a piedi, suggeriva di farmi un test etilico. Per lui, del resto, il “non preoccupatevi, ci rivedremo altrove” era diventato il più classico dei “ti aspetto fuori”. Beato analfabetismo di ripiego: alla porta m’aveva messo lui.
Ho insistito con i poliziotti, mentre il baffuto padre del rampollo mi dava del tu, quasi io fossi il rampollo stesso (o uno dei fratelli di contorno), e continuava imperterrito a darmi dello stronzo.
Niente da fare.
Me ne sono andato con le pive nel sacco, in maniche di camicia.
La morale. I posti come la “Cantinota” sono destinati a sopravvivere alla loro avvilente realtà. Gli altri (i locali che fanno musica, per dire) possono tranquillamente chiudere alla mezzanotte del 31 dicembre o per sempre. I maglioncini possono essere rubati, se esiste un guardaroba. E gli stronzi... be’, quelli respirano il loro alito.
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