Trento, Piazzetta Lainez, 23.45.
Toc toc toc toc toc. Din, ding, sbang. Cinque, sei, forse sette ragazzotti magri che corrono come pazzi. Buttano qualche passo sul muretto, pare possano abbattere i tavolini; qualcuno si alza e si scosta. Devono averla fatta grossa, perché sono inseguiti da tre poliziotti. I primi due hanno la pistola in mano. Corrono, ma faticano e perdono il passo. Il terzo è più lento ancora, arranca. Ricorda uno stanco T.J. Hooker. Arrivato all’altezza dei tavolini, gli cade in terra la pistola. Tutti si voltano e guardano il ferro a terra, mentre lui se ne accorge solo dopo qualche metro: nel frattempo, un ragazzo si alza da un tavolino e avvolge col suo corpo la pistola. La vuole proteggere, con un gesto istintivo. Il poliziotto si rende conto di avere perso la pistola, torna indietro, spinge via il ragazzo, solleva l’arma, riprende l’estenuante corsa. Ancora qualche metro, è proprio davanti a me, e gli cade ancora qualcosa. Un pezzo metallico, scuro, che precipita con fragore. È il caricatore. Lui è già avanti, di nuovo, ed un secondo ragazzo raccoglie quel pezzo di ferro e glielo porge. Torna indietro, una seconda volta; è affannato, non emette suono, prende il metallo e va. Gli altri — sia i buoni che i cattivi — sono spariti oltre l'orizzonte di via Belenzani. Corricchia. Un minuto, giusto il tempo di guardarci perplessi fra noi. Arriva un quarto poliziotto con una torcia. La luce non manca, nel vicolo, eppure... avanza con circospezione, quasi potesse esserci qualche camaleontico criminale mimetizzatosi sulle pareti. Qualche minuto ancora, ed un quinto poliziotto si fa largo tra gli avventori. «Circolare, circolare», sembra pensare. Intanto si vedono lampi di sirene, auto della polizia che partono sgommando da Piazza Duomo e da tutti i dintorni. A gruppetti la gente parla, non senza incredula ironia, di quello cui ha assistito.
Due considerazioni sull’accaduto.
Uno. Intorno a Santa Maria Maggiore, in quella parte del centro che fa da confine tra le stazioni e Piazza Duomo, la tensione è percepibile da più di un anno. Per varie ragioni, in primis il controllo dello spaccio. Nei movimenti, nella circospezione, nelle grida; negli sguardi che ti seguono e che mescolano sfida e paura. La guerriglia di qualche settimana fa, partita in Piazza Dante e arrivata fino al centro storico, ha evidentemente alzato il sipario, sparpagliando forze dell’ordine d’ogni genere per le strade. I problemi, però, non nascono dal nulla, né si esauriscono in una fiammata. Non è ragionevole pensarlo, così come non è ragionevole passare di punto in bianco dalla tolleranza totale al correre con la pistola spianata in mezzo alla folla, come in un telefilm.
Due. Chi prepara, e come, le forze dell’ordine? I balzelli della pistola sulla strada hanno offerto un’immagine impietosa di quella divisa col fiatone: manco fosse stata un’arma giocattolo, in balia della folla e di un poliziotto impreparato. Quel poliziotto non era evidentemente in sé: non era padrone delle proprie azioni. Il suo sguardo tradiva affanno e insicurezza. Probabilmente avrebbe potuto fare qualsiasi cosa: anche sparare. A chiunque.
Come in un polizi(ott)esco anni '70, ma drammaticamente, grottescamente vero.
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