giovedì 10 luglio 2008

Il pomeriggio è troppo, troppo azzurro.

«Scusami... tu sei quello che ha fatto quella presentazione sulla cartilagine..?»
«No.»
«Ouch...» sguardo perplesso «Scusami.»
«Di niente» alzando il pollice destro. (Il pollice verso. Verso cosa?)
Eppure giurerei di aver riconosciuto, tra la folla di scienziati, un mio sosia.
Aveva la giacca, e pure la cravatta marrone, ma strisciava per terra come se fosse stato in un fosso. E la gamba sinistra — ma era poi veramente una gamba, quella specie di tentacolo che trascinava? — era avvolta dai brandelli di quello che era stato un pantalone.
Cartilagine: tutt’al più, ossa conficcate una nell’altra. Incastrate alla bell’e meglio.
Non succhiava pietre lisce, e neppure le sottane delle signorine dalle gambe lunghe, eppure era lucido come una lumaca. Come se il vento gli avesse soffiato addosso una frana oleosa di albume d’uovo.
«Sei pronto per essere infornato?»
«Non voglio diventare giallo.»
«Il fegato sta bene, non ti preoccupare.»
«Mi fa male la testa.»
Mi fa male la schiena. Non riesco più a capire dove parta e dove finisca, questa scintilla che mi attraversa. Si sta come d’estate su una sedia — arrugginita.
Grat grat grat non si ferma. Pensavo: non si ferma, questa ruggine che ho nella schiena? Da dove viene e dove va? Parte? Finisce?
Grat grat grat. Mille punte nella schiena, tutte in fila per grattare la scabbia della ruggine.
«Hai provato l’agopuntura?»
«No.»
«Fa bene, sai? Senti un calore entrare...»
«Quella è l’eroina, C.»
C. è già pronta per andare i vacanza. Cotta a puntino. È già gialla.
Eppure giurerei di aver riconosciuto, tra la folla in vacanza, un mio sosia.
In mezzo alle pance abbrustolite e ai palloni/arancia colorati a spicchi, se la cavava piuttosto bene nell’esercizio della lettura di romanzi tedeschi. Nel frattempo, stanno innaffiando le mie rose, ma io non mi annoio, perché lavoro. Nel solleone.
(Rose cresciute nella sabbia; che barbarie.)
Dunque: un mio sosia sdraiato all’ombra, di un albero di un sasso o di un ombrellone — all’ombra cioè di ombre diverse ma pur sempre spalmate, leggeva romanzi (per lo più tedeschi) nel cicaleccio di troppe persone in troppo poco spazio, in violazione di troppo silenzio. In vacanza. Senza baristi grassi, però.
Io, nel frattempo, scrivevo d'ingegneria.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ottimi rebbi, questa forchetta, ottimi rebbi. Robba tosta.

Complimenti, pomelli dorati e complimenti.