Emma Marcegaglia. Ovvero: il potere con il potere. Legge il suo discorso dall’ultimo piano del palco, guardando avanti di un paio di metri, per fingere di non leggere. Legge il suo discorso, Emma Marcegaglia, ma fa finta di parlare “a braccio”. Vizio di forma.
Dice che c’è “uno scenario nuovo e irripetibile”, Emma Marcegaglia. Glielo vedo dire, osservo le sue labbra muoversi. Il labbiale non mente. Il labbiale ha ragione. Emma Marcegaglia ha ragione: lo scenario è nuovo e irripetibile. Non c’è mai stato nulla del genere, nulla di così triste — e per quanto riguarda l’irripetibilità, posso solo augurarmela.
“In Italia si è creata una situazione favorevole al cambiamento”. Come se il cambiamento dovesse essere sempre in meglio.
In platea, tutto il governo se ne sta in fila. Qualcuno prende appunti (o forse è solo sudoku), qualcuno sorride, un altro dormicchia; tutti applaudono, con aria compunta ed espressione rigorosa. Su quel palco a più piani di fa sul serio.
E poi oggi ci sono “un nuovo governo sostenuto da una forte maggioranza parlamentare” e “un clima di minore contrapposizione e di rispetto reciproco tra maggioranza e opposizione”. Infatti, tutti quelli che col governo non dovrebbero stare, in linea di principio, programmaticamente, esprimono soddisfazione. Hanno commenti positivi. Veltroni, Angeletti, Bonanni. Sorridono felici. Solo Epifani critica l’assenza del tema “salari” nel discorso della Emma. Chiti applaude in platea; è seduto di fianco a Tremonti. La Finocchiaro forse si masturba in ultima fila, domandandosi anziché no perché non ha fatto l’imprenditrice, da giovane.
Poi arriva il capo vero. Fa il consueto cabaret: ha apprezzato a tal punto ciò che ha detto la Emma, che ha deciso che “potrebbe essere, anzi sarà” il programma di governo. Rincuora, parzialmente, sapere che prima non ne aveva uno; abbiamo avuto qualche giorno di vantaggio. In fondo, lui è uno di loro. Strano che in questa occasione non si sia spacciato per operaio. Avrà paura del cottimo.
Ma c’è spazio anche per la fanteria leggera. Scajola, quello di Imperia, ma anche di Genova — quello che diede a Marco Biagi del “rompicoglioni”, per intenderci. Forse perché non si intendeva troppo di concussioni. Scajola: si occupa di sviluppo economico, ora. Forse per l’esperienza pregressa con i casinò. Dall’ultimo piano del palco di Confindustria, Scajola ci parla di nucleare. "Solo gli impianti nucleari consentono di produrre energia su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell'ambiente". Non vera la prima, per ovvie ragioni; oltretutto, il Trentino è la dimostrazione che non per forza serve “la larga scala”. Non vera la seconda: a livello impiantistico, cosa non è sicuro?). Non vera la terza: l’allestimento di nuove centrali e lo smantellamento di impianti produttivi alternativi sono gratuiti? Forse contribuirà il Vaticano, in virtù dei trascorsi democristiani del ministro. Non vera la quarta: dove mettiamo le scorie? Nelle strade di Napoli? Quelle del centro, ora, sono libere: le hanno ripulite per bene, in vista del Consiglio dei ministri di ieri. Hanno spazzato sotto il tappeto: occhio non vede, cuore non duole. Mettiamo tutto lì, e inventiamo uno slogan convincente, positivo, di crescita, come “metti un plutonio nella tua camorra”.
Scajola: sembra stupito persino lui di quello che dice. Almeno un paio di volte avrà pensato “questa me la devo segnare”. E nessuno — dico, nessuno: un industriale del settore energetico, uno qualunque, si è alzato. Nessuno ha detto: “Scajola, lei sta dicendo una marea di cazzate”. Sorrisi e cappelli levati.
Nel finale, ci gettano in pasto a vecchie facce con vecchi temi. Gentiloni, con la sua espressione monocorde, non nasconde lo sdegno per il “caso Retequattro”: “Queste frequenze non s’hanno da usare”, sembra dire quella sua faccia molle, da uno che vorrebbe solo bere un buon caffè, senza porsi tanti problemi. Sette anni fa, gli stessi attori recitavano lo stesso copione. Scadente il testo, scadenti loro. Ma evidentemente non sono ancora scaduti.
L’importante è scegliere con cura l’argomento.
E ora, come diceva Gian Maria Volontè in quel bellissimo film di Petri, “chi non sciopera è un crumiro, e anche un facia de merda”.
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