sabato 31 gennaio 2009

Un pomeriggio che non scivola.

Ed è una giornata grigia, con il cielo dello stesso colore di certi asfalti estivi. «Ci scommetto che nevica, fra due giorni è Natale, ci scommetto dal freddo che fa»...
Ed i negozi saranno pieni di gente che non ha niente da comprare, là in città.
Potrei raccontare un sacco di cose, ma non sono bene informato.

«Toc. Toc. Toc.
Una pausa.
Toc.
Silenzio. Pausa.
Toc. Toc. Toc.
Sembra che qualcuno stia bussando alla porta; con metodo e perseveranza, e l’insistenza ritmica di un viandante assetato.
Io me ne sto sdraiato, anzi accoccolato in posizione fetale, sui miei sacchi di iuta, dentro il loro ruvido calore; e, francamente, ho ben poca voglia di alzarmi e strascicare i piedi fino alla soglia pesante. Non dico ballare, è vero - ma al risveglio non m’è mai piaciuto neppure strisciare.
In ogni caso, non è l’ebreo errante, bensì un gallo, quello che sbatte contro la porta.
Un gallo segnavento, con l’arrogante petto verde rivolto voluttuosamente al vento e la coda rossa, francese, abbandonata mollemente al volere delle raffiche. L’ultima pioggia, passata appena due giorni fa, lo ha fatto vacillare: prima a destra, poi a sinistra, infine in avanti, cadendo e affossandosi leggermente, come se il pollaio fosse stato insabbiato dall’alluvione.
Ora il mio galletto francese, nella sua nuova posizione di alluvionato, è incastrato tra il vento, che non ha seguito (ma solo inseguito) la pioggia, e lo scuro della finestra. Da cui il suo insistente bussare: mi chiama affinché lo possa liberare. Ma la prigionia di questi sacchi è troppo forte, o forse il freddo (fuori) troppo intenso, perché io mi possa muovere.
Vale di può il mio volere o quello del mio galletto di latta?
La decisione è difficile e forzata. È come, per chi è inesperto nel gioco degli scacchi, dover decidere se sia più importante l’alfiere o la torre. (Quest’ultima, nella fantasia del principiante, è un solido, massiccio bastione, capace di resistere a qualsiasi colpo; mentre il primo, l’alfiere, rappresenta per il novizio una veloce, protettiva vestale, in grado di frapporsi in un istante tra il nemico ed il proprio re.)
Io sono un modesto giocatore; non mi sento bandiera di valori universali (che faccio peraltro miei per cognizione), né fiero baluardo di nobile respiro. Solo un bell’addormentato, un principe sulla iuta.
Eppure domattina, ovvero tra qualche minuto, all’ennesimo canto sbattuto del mio gallo rosso e verde, uscirò e guarderò la terra, attorno, da ovest a est, fino all’incontro con il primo sole. Questa terra che ora, da qualche ora, è mia; questa terra che coltiverò a vite, per farne vino buono; o a miglio e sorgo, da vendere al mercato; o magari a peschi e ciliegi, per riempirmi la pancia e la camicia di dolcezza. O ad aquiloni, da far volare senza fretta.
La coltiverò con passione, la userò per sporcarmi le mani (altrimenti bianche); aspetterò la pioggia od il sole, per sorridere o disperarmi, e poi ricominciare da capo, o dal punto.
E quando avrò grandi piante, e grandi aquiloni, avrò fatto il mio tempo. Il nostro tempo, se sarò bravo e avrò fortuna. La nostra felicità. E la sera, d’estate, berremo un bicchiere di vino leggero e balleremo sotto la veranda, e intorno, intanto, la città ci avrà quasi raggiunto, e noi l’avremo ritrovata. E d’inverno accompagneremo le castagne con il vino nero, discutendo con gli amici di istituti e istituzioni, libri letti e cibi mangiati.
Ogni sera avrà lo stesso tepore, ma un sapore diverso.
Quanti, quanti pensieri, mentre mi rimbocco le maniche della camicia chiara e mi lavo la faccia con l’acqua gelata. Tra poche settimane l’avrò calda.»

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