domenica 28 dicembre 2008

venerdì 12 dicembre 2008

Non cediamo.


Viva l'Italia,
l'Italia liberata,
l'Italia del valzer,
l'Italia del caffè.
L'Italia derubata e colpita al cuore:
viva l'Italia,
l'Italia che non muore.
Viva l'Italia
presa a tradimento,
L'Italia assassinata dai giornali e dal cemento,
l'Italia con gli occhi asciutti nella notte scura:
viva l'Italia,
l'Italia che non ha paura.
Viva l'Italia,
l'Italia che è in mezzo al mare,
l'Italia dimenticata
e l'Italia da dimenticare.
L'Italia metà giardino e metà galera:
viva l'Italia,
l'Italia tutta intera.
Viva l'Italia,
l'Italia che lavora,
l'Italia che si dispera
e l'Italia che si innamora.
L'Italia metà dovere e metà fortuna:
Viva l'Italia...
l'Italia sulla luna.
Viva l'Italia del 12 dicembre:
l'Italia con le bandiere,
l'Italia nuda come sempre.
L'Italia con gli occhi aperti nella notte triste:
viva l'Italia,
l'Italia che resiste.

venerdì 28 novembre 2008

La giunta? Tremenda.


Alberto Pacher
Vice Presidente e Assessore ai lavori pubblici, ambiente e trasporti
http://www.giunta.provincia.tn.it/giunta_provinciale/pagina37.html

Marta Dalmaso
Assessore all'istruzione e sport
http://www.giunta.provincia.tn.it/giunta_provinciale/pagina39.html

Alessandro Olivi
Assessore all’industria, artigianato e commercio
http://www.giunta.provincia.tn.it/giunta_provinciale/pagina40.html

Mauro Gilmozzi
Assessore all’urbanistica e enti locali
http://www.giunta.provincia.tn.it/giunta_provinciale/pagina41.html

Tiziano Mellarini
Assessore all’agricoltura, foreste, turismo e promozione
http://www.giunta.provincia.tn.it/giunta_provinciale/pagina42.html

Ugo Rossi
Assessore alla salute e politiche sociali
http://www.giunta.provincia.tn.it/giunta_provinciale/pagina43.html

Franco Panizza
Assessore alla cultura, rapporti europei e cooperazione
http://www.giunta.provincia.tn.it/giunta_provinciale/pagina44.html

Lia Giovanazzi Beltrami
Assessore alla solidarietà internazionale e alla convivenza
http://www.giunta.provincia.tn.it/giunta_provinciale/pagina47.html

Dellai si tiene la delega all'Università; ma non vi preoccupate: la Dalmaso, all'Istruzione, è una che ha studiato al Sacro Cuore di Milano e che insegna all'Arcivescovile (!!!). Panizza è un autonomista tout court: lo vedo davvero bene alla Cultura, ai Rapporto europei e alla Cooperazione. La Beltrami (UdC, ovviamente) si becca un assessorato anche se l'UdC non conta un cazzo (e, del resto, pare che l'intenzione nazionale sia quella di far emergere la limpida bellezza di questa alleanza centrista).
Con questi qui, alla lunga, rischio di diventare cattolico, e mona, anch'io.
Per fortuna che sono 8 e non 11, va'. Chissà chi gioca in porta.

venerdì 21 novembre 2008

I soliti democristiani di merda.

Tutto sommato, è rassicurante. Certe cose non cambiano mai.
Guardando nella stessa direzione, sai cosa incontrerai.

«"MA QUELLO è stato il mio fidanzato!". Quando ha visto in tv la foto di Riccardo Villari, gira purtroppo sempre la stessa, quella con la cravatta regimental, Barbara D'Urso, collegata per la diretta, si è ricordata dei suoi diciassette anni.

La settima giornata da fuggitivo di Villari è iniziata con questo bel ricordo, uno spruzzo di giovinezza. Gioia durata poco perché, dopo un colpo di tosse, Fabrizio Morri del Pd lo ha tenuto mezz'ora a telefono ricordandogli che c'era Zavoli e dunque: "Leva le tende". A questo punto il presidente ha deciso di proseguire la latitanza accucciandosi dietro piazza di Spagna per qualche ora ancora. Fino a che è comparso, ore 14, a palazzo San Macuto, la sede della sua commissione.

Elegante e sicuro, "scaltro e colto" ha detto di lui il ministro Rotondi. Villari è giunto al palazzo con un bel comportamento istituzionale, sicuro e riservato. I giornalisti hanno subito capito che sarebbe stato un altro indimenticabile show. Quelli del Pd entravano angustiati, veramente tramortiti. Quegli altri leggeri e disinvolti. La seduta si è chiusa dopo mezz'ora.

Villari che col tempo ha consolidato un contegno molto presidenziale, si è materializzato: "Non mi dimetto. Sono un democratico, sono stato eletto democraticamente e faccio questo per tutelare le Istituzioni". Di più: "Ho ricevuto pressioni indebite e minacce". Un giornalista, anch'egli incredulo: ci sarebbe Zavoli al suo posto. Lui con una degnissima faccia di bronzo: "Nessuno mi ha mai informato dell'accordo raggiunto".

Questione di gusti, ma spettacolino non da poco. La truppa dei cronisti si è diretta allora al Senato, dove i democratici dovevano democraticamente decidere l'espulsione di Villari dal gruppo parlamentare. "Secondo lei ha preso soldi?". A questa domanda Anna Finocchiaro è rimasta interdetta, ma non ha ceduto: "A tanto non ci sono arrivata".

Villari gode già di una vita agiata e quel che mancava è arrivato: la poltrona. Alla buvette due senatori si scambiano le opinioni: "Ricordi che diceva sempre? Nel vocabolario di un democristiano la parola dimissioni non esiste". E infatti. Con un bicchiere di prosecco in mano Franco Marini, dato come l'ultimo suo referente politico, lo manda a quel paese: "E' uno stronzo". Anche Fioroni lo manda lì: "Lo dobbiamo agevolare e fargli capire da che parte deve andare". "Ah, la tentazione della carne!", dice Giorgio Tonini, amico di Veltroni.

Tra le cinque e le sei il nome di Villari è scomparso tra quelli iscritti al gruppo del Partito democratico, il suo corpo si è volatilizzato di nuovo lasciando la sua assistente, esausta e parecchio incredula, nello sconforto e nel totale disimpegno: "Non so nulla, non so nulla". Forse di nuovo in viaggio a Napoli, o riparato in qualche rifugio romano. Fuggiasco, di nuovo. Una magia la sua elezione che, secondo i bene informati, è tutta dentro l'abilità di un uomo: Italo Bocchino.

Bocchino, una onorata carriera da portaborse, ora vicecapogruppo della maggioranza, dona ancora un consiglio all'opposizione: "Per me è un errore espellerlo". Dall'altro lato la Giovanna Melandri, afflitta ma resistente, tenta la mossa disperata: "A questo punto il problema è di Berlusconi". Cicchitto: "Problema nostro? Ma è loro!".

Acque confuse e corpi stremati. Nuovo messaggio dal presidente fuggitivo: "I partiti devono fare un passo indietro, devono rispettare le Istituzioni". E' tutto così inverosimile da far apparire magico dunque irreale questo pomeriggio romano ancora con un bel sole tiepido. Magico come l'abracadabra che ha trasformato Villari: da qui a lì ma a testa alta, invocando le guarentigie repubblicane e persino difendendo l'onore delle istituzioni. C'è stato persino un comunicato del senatore De Gregorio, transfuga della passata legislatura, che ha messo i puntini sulle i e illustrato il coraggio impiegato da sé medesimo nel trasferimento, armi e bagagli, da Prodi a Berlusconi.

Tutto è perciò noto e già successo, e questo replay sembra nel solco della tradizione. "Non ci posso credere, non voglio crederci", quasi piange Vincenzo Vita che per tutta la vita ha lottato contro Berlusconi e adesso vede il nemico entrargli in casa, mettersi di fianco a lui. Oggi non ci sono dichiarazioni dei dalemiani, battaglia sospesa in attesa del ritorno del capo dall'estero. Anche Nicola Latorre ha tenuto la bocca cucita e ha allontanato il suo corpo da ogni sospetto. Due giorni prima l'avevano visto confabulare proprio con Villari. Ma non c'erano telecamere in giro, per fortuna.»

(A. Caporale, "la Repubblica)

giovedì 13 novembre 2008

Arrivederci, Mr. Mitchell.

martedì 28 ottobre 2008

martedì 21 ottobre 2008

Occupazione del rettorato

Nonostante le zappe e i loro piccoli maschi; nonostante il caldo delle scalmane; nonostante tutto: qualcosa si muove, ed è salubre.


mercoledì 15 ottobre 2008

Una questione di classe

Stamattina ho assistito ad uno spezzone di dialogo sulla geniale idea di creare delle classi ponte, ossia della classi d'inserimento, alle elementari, per bambini stranieri.
Percorsi speciali per i bambini extracomunitari.
Arrivano, fanno un test; e, se non lo superano, vengono separati dal resto dei loro coetanei. Seguono, per un periodo piuttosto lungo, un percorso separato. Una specie di anticamera che consenta poi di entrare in contatto con i bimbi indigeni.

Lo so per esperienza, anche se non diretta: l'inserimento di un bambino o di un ragazzo straniero, che non parla italiano, è difficile. Lo è per lui, lo è per i compagni, lo è per gli insegnanti. Mio padre, mia madre hanno speso, e spendono ancora oggi, fatica e amore per consentire un difficile, ma giusto, inserimento. Costa fatica. Ma è l'unica strada per la reale integrazione.
Integrazione, ovviamente; non tolleranza.
Ed oltre a questo, l'unico modo per imparare una lingua straniera (e non solo l'italiano) è, a mio avviso, il suo esercizio continuo, nel contatto con gli altri. Il confronto, l'esigenza. Al paradosso: che razza di linguaggio può imparare un cinese che parla con un moldavo?
Queste facce ciarlano di danno per i bimbi italiani. Come se i figli dei bravi leghisti, poi, ed in primis di quel disgustoso Matteo Salvini, sapessero parlare veramente italiano; intrisi come sono di dialettalismi, accenti, e poveri, per contro, nel vocabolario...
Ciarlano e ciarlano. Il danno della divisione, non lo sanno calcolare.

E non mi vengano a parlare di criminalità, poi. Dove c'è disagio, dove c'è degrado, dove c'è esclusione: è là che si creano la violenza e il male.

Carteggi

Pur essendo abbastanza giovane, mi sono ormai abituato a ricevere per posta buste sulle quali il mio nome è preceduto dall’ufficialissima abbreviazione “dott. ing.”. Dirò di più: sono di solito incuriosito, a priori, da questa quasi kafkiana categoria di buste. Solitamente, infatti, il loro contenuto riguarda improbabili offerte di lavoro al limite del decoro e della legalità, o costosi (per il destinatario, ovviamente) corsi di formazione. A onor del vero, la mia curiosità viene raramente frustrata, ed anzi spesso si trasforma in divertito sbigottimento.
Anche stamattina ho avuto la mia buona soddisfazione: la busta non ha tradito la tradizione.
Mi è stata inviata dall’ing. Fiorenzo Ceccato, consigliere comunale a Besenello e candidato alle prossime elezioni provinciali. Conteneva una lettera e un pieghevole, entrambi evidentemente indirizzati a me, entrambi riportanti le stesse informazioni circa la prossima candidatura del suddetto ingegner Ceccato.
Di primo acchito, mi sono domandato perché l’ingegner Ceccato avesse scelto, fra i destinatari del suo impegno, proprio il cosiddetto dott. ing. Facchini, e come fosse entrato in possesso del suo indirizzo. La risposta era ovvia: l’indirizzo medesimo, ossia il mio indirizzo, è pubblicato, accanto al mio nome e ad altre informazioni, sul sito dell’Ordine degli Ingegneri del Trentino - Alto Adige. Ah! Ed ecco dunque spiegato anche perché il collega si rivolgesse, con la sua lettera, “Ai colleghi liberi professionisti della Provincia di Trento”. Dapprima ho trovato fuori luogo, di cattivo gusto, volgare il ricorso all’indirizzario pubblico dell’Ordine per scopi elettorali. Poi ho guardato con indulgenza alla buona volontà di un collega fra i colleghi. Ho perciò deciso di fare la conoscenza, seppur in versione cartacea, del collega stesso, leggendo la lettera e sfogliando il pieghevole.
Ho evinto che l’ingegner Ceccato chiede il Nostro aiuto e vuole alcune cose.
Di più: ho appreso da una foto riportata in quarta di copertina che il collega, nel 1995, ha stretto la mano a Papa Giovanni Paolo II. Non sembra un fotomontaggio. Perciò me ne compiaccio e me ne allieto, pur non capendo come questo possa essere rilevante ai fini della campagna elettorale.
Qui giunge il colpo di scena. Avvolto e vinto da buone sensazioni, mi sento portato a esagerare; decido di aiutare l’ingegner Ceccato, come lui stesso chiede, e di suggerirgli di inserire altre immagini che lo ritraggano in pose vicine alla sensibilità dell’elettorato: sorridente su una pista da sci, in distilleria, ad una partita di pallavolo.
Immagini forti a supporto dei valori e delle volontà che l’ingegnere mi ha corrisposto in duplice copia: il “rifiuto della politica clientelare” e dei favori ai “soliti noti”, per esempio, e quindi delle pratiche un tempo care, fra gli altri, al dott. Malossini ed al suo amico e finanziatore, Fabrizio Collini; o il desiderio, ammirevole, di “un Trentino dove un professionista non sia costretto a violare il codice penale per ottenere un incarico pubblico” (sono sicuro che non si tratti di una candida ammissione).
Oggi, finalmente, mi sento parte di qualcosa. Ma non so bene cosa. Un gruppo di colleghi, credo. Non vedo l’ora che si voti.

sabato 11 ottobre 2008

Questa sera ho perso una giacca ed un treno.

Sono sceso, sono sceso senza. E me ne sono accorto, e sono tornato indietro, di corsa, nello stesso vagone. Ma non era lo stesso vagone, perché quello non era lo stesso binario. Così il treno vero, sul binario giusto, m'è partito sotto il naso. E mentre un ferroviere inseguiva la mia giacca su un treno per Milano, io ho perso il secondo treno, per coincidenza.
Sconsolato, ho riso e ne ho semplicemente approfittato per mezz'ora di lettura in più.

giovedì 2 ottobre 2008

Non credo in Dio, ma credo nella Chiesa

«L'invertitore semantico non è un una nostra esclusiva.

Ieri, seguendo un'indicazione del blog Wittgenstein, sono arrivato a un altro blog che a quanto pare è in rete da pochi giorni. E' perfettamente anonimo, i post sono firmati con il nickname "alfb"; si intitola "luoghi comuni al contrario" e ha un sottotitolo che mi sembra grandemente esemplificativo del senso dell'operazione: "Una volta qui era tutta città" (http://luoghicomunialcontrario.wordpress.com/).

Il sottotitolo ribalta il famoso "Una volta qui era tutta campagna", che è stato anche il titolo di un libro di Fabio Fazio, scritto usando esclusivamente luoghi comuni. Non penso però che Fazio sia l'autore del blog.

Ogni post del blog è una semplice frase, che esprime l'esatto contrario, o meglio l'esatto contraddittorio, di un luogo comune.

A volte basta togliere o aggiungere un "non", come in "Premetto che sono razzista" (il post di ieri).

A volte, bisogna sostituire una parola come in "Una volta qui era tutta città".

A volte, bisogna invertire due membri della proposizione, come in "Non credo in Dio, ma credo nella Chiesa" (che tra l'altro dice qualcosa di molto più vero e comune del luogo comune contrario).

A volte, il risultato è un po' banale; a volte, è geniale: è il caso di "Gli albini hanno la musica nel sangue".

Come bibliografia si potrebbe suggerire a chi ha aperto il blog un saggio di Umberto Eco sull'aforisma, in cui il semiologo usa il metodo del ribaltamento per distinguere aforismi e paradossi, con applicazioni su Pitigrilli e Oscar Wilde (ora lo si legge in Sulla letteratura, Bompiani).

Non propongo a voi, invece, di riprendere il gioco, perché non mi piace piratare i giochi altrui e mi dà fastidio quando qualcuno prende i giochi da qui e li gioca in altri siti. Se vi vengono degli esempi, mandàteli direttamente al blog. Che vengano è inevitabile: io oggi direi "In fondo Mussolini ha fatto anche molte schifezze"»

(S. Bartezzaghi, "Lessico e nuvole", Repubblica on-line, 2 ottobre 2008)

mercoledì 1 ottobre 2008

lunedì 29 settembre 2008

Informazione

Ora possiedo una Diana.
A breve, nuove imprese fotografiche.

giovedì 25 settembre 2008

martedì 16 settembre 2008

Ecco la mia preghiera laica per te, con le parole del tuo dio.

Che insensatezza, in tutto questo dolore...

Riposa, riposa in pace, con gli occhi aperti, oppure chiusi. Riposa, e cogli questo nostro sorriso, dentro questo ricordo.
Riposa, riposa in pace, con le braccia stese o raccolte al petto, in mezzo al nostro abbraccio, al nostro girotondo, mentre ci teniamo per mano.

lunedì 15 settembre 2008

giovedì 4 settembre 2008

lunedì 1 settembre 2008

Milan Bologna 1-2

Di Vaio - Ambrosini - Valiani

Alé! Alé! Alé!

giovedì 28 agosto 2008

Galleggiamento.

Ho un alto peso specifico, e perciò vado a fondo nelle questioni.

mercoledì 27 agosto 2008

giovedì 21 agosto 2008

Disappunto.


Nella epocale sfida calcistica svoltasi ieri sera, tra Italia e Germania, sul campo dell'odioso Giacometti — sfida, peraltro, nella quale il nostro Grande Paese Democratico ed il suo calcio palleggiato dal sapore circense hanno avuto la meglio sui legnosi Teutoni —, una gigantesca creatura del peso totale del cuore d'italiano (e, si sa, l'italiano ha un cuore grande così), una lottatrice di sumo nutrita ad agnelli vivi, insomma, una pericolosa bomba gonfiata ad idrogeno, dinamite e chiodi mi ha delicatamente appoggiato il tallone sull'alluce, proprio dopo che avevo liberato il destro scagliando la palla nella sacca della rete.
Ora, l'alluce, rossastro, viola e marrone, piange un liquido rosso/giallognolo viscoso e puzzolente.
con tono preoccupato "Perderò l'unghia, dottore?"
il dottore, serafico "meglio l'unghia che il treno, mona"
(di seguito: mimo della faccia della teutonica prima, durante e dopo il fatto:)

Che gol, però...

martedì 19 agosto 2008

Qualche parola per te, amico mio.

«Le scarpe da tennis bianche e blu,
seni pesanti e labbra rosse
e la giacca a vento.
Oh! Marta io ti ricordo così
il tuo sorriso e i tuoi capelli,
fermi come il lago.
"Lugano addio" cantavi,
mentre la mano mi tenevi.
"Canta con me", tu mi dicevi,
ed io cantavo
di un posto che
non avevo visto mai.
Tu, tu mi parlavi di frontiere
di finanzieri e contrabbando
mi scaldavo ai tuoi racconti,
"Eh, mio padre, sì" tu mi dicevi
"quassù in montagna ha combattuto"
Poi del mio mi domandavi.
Ed io pensavo a casa
mio padre fermo sulla spiaggia,
le reti al sole,
i pescherecci in alto mare,
conchiglie e stelle:
le bestemmie,
il suo dolore.
Oh, Marta io ti ricordo così
il tuo sorriso
e tuoi capelli,
fermi come il lago.
"Lugano addio", cantavi,
mentre la mano mi tenevi
"addio", cantavi, e non per falsa ingenuità
tu ci credevi
e adesso anch’io che sono qua.
Oh, Marta mia addio,
ti ricordo così:
il tuo sorriso,
i tuoi capelli,
fermi come il lago.»

«Ho visto torri alte e un Paradiso,
crescere sopra isole deserte,
dov'eri tu quando parlavo tanto,
ed ero solo come è una bestemmia?
Torre d'avorio e pena nella notte,
cristallizzata nella tua agonia.
Dov'eri tu vestito da scolaro,
quando dormivo senza avere sonno?
Dov'eri tu col tuo sorriso onesto?
Dov'eri tu col tuo vestito hippy?
E il tuo ospedale per amori infranti,
chiusi dentro un cassetto insieme al vino;
dov'eri tu col tuo buonumore?
Tu mi stavi ammazzando,
tu mi stavi ammazzando con amore.
E io dormivo dove era più freddo,
dentro il mio pozzo ormai senza pudore,
con il mio cuore stranamente nuovo
e mi dicevo adesso si che sto crescendo,
invece era soltanto una stazione,
certezza necessaria e sufficiente,
utile tutt'al più per affogare,
per liberarsi di un vestito stretto
ed indossarne uno un pò più largo.
Dov'eri tu che mi dicevi sempre
"Guarda che bello, come siamo pazzi"?
Dov'eri tu quando restavo zitto
ed ero ingenuo come era una bestemmia?
Dov'eri tu con la pace nel cuore?
Tu mi stavi ammazzando,
tu mi stavi ammazzando con amore.
E adesso guarda ho rotto il mio orologio
e ho costruito la mia stanza a specchi
e cullo il mio suicidio come un bimbo
che aspetta il giorno che verrà Natale
e non invidio la tua casa bianca,
dove resisterai fino a cent'anni,
per finire su un letto di granito,
con il conforto della tua coscienza,
la mani nette e il cuore di cristallo
e i cani abbaieranno a mezzavoce.
Io forse allora non sarò più niente,
solo una X nel ciclo dell'azoto,
se c'è un inferno mi potrà ascoltare.
Buonanotte fratello,
buonanotte fratello con amore.»

«È una sera che il fiore mi pesa
e le stelle mantengono i loro segreti,
più freddamente che mai.
Guardo le mie povere cose:
una foto di Angela Davis muore lentamente sul muro
e a me di lei non me ne è fregato niente, mai.
E tutte queste informazioni di Vincent
mi vanno intorno e non mi dicono perché.
E tutte queste informazioni di Vincent
girano in tondo e non mi spiegano cos'è che muore.
E stasera ho tradito gli affetti,
ho affittato i miei occhi a una banda di ladri,
vedo quel che vedono loro.
Tu conosci mica qualcuno che è disposto a chiamarmi fratello
senza avermi letto la mano.
Amore mio, voltati dall'altra parte
e fai quello che Vincent non t'avrebbe detto mai,
quello che Vince non t'insegnerebbe mai,
quello che Vince non regolerebbe mai,
quello che Vince non permetterebbe mai, stasera.
E a Parigi mi aspettano ancora,
c'è una stanza con bagno prenotata a mio nome,
la moquette sarà piena di topi.
Ieri alla televisione mi hanno detto di stare tranquillo,
non c'è nessuna ragione di aver paura.
Non c'è proprio niente che non va.»

«Lui adesso vive ad Atlantide
con un cappello pieno di ricordi;
ha la faccia di uno che ha capito
e anche un principio di tristezza in fondo all'anima.
Nasconde sotto il letto un barattolo di birra disperata
e a volte ritiene di essere un eroe.
Lui adesso vive in California, da sette anni
sotto una veranda ad aspettare le nuvole;
e' diventato un grosso suonatore di chitarra
e stravede per una donna chiamata Lisa.
Quando le dice "tu sei quella con cui vivere"
gli si forma una ruga sulla guancia sinistra;
lui adesso vive nel terzo raggio,
dove ha imparato a non fare piu' domande del tipo:
"conoscete per caso una ragazza di Roma
la cui faccia ricorda il crollo di una diga?"
Io la conobbi un giorno ed imparai il suo nome
ma mi portò lontano il vizio dell'amore.
E così pensava l'uomo di passaggio
mentre volava alto nel cielo di Napoli
"rubatele pure i soldi, rubatele anche i ricordi,
ma lasciatele per sempre la sua dolce curiosità;
ditele che l'ho perduta quando l'ho capita,
ditele che la perdono per averla tradita".»

«Bene, se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia, sono tuoi
ma è inutile cercarmi sotto il tavolo,
ormai non ci sto più;
ho preso qualche treno, qualche nave,
qualche sogno, qualche tempo fa.
Ricordi che giocavo coi tuoi occhi nella stanza, e ti chiamavo "mia",
ben oltre la coperta all'uncinetto, c'era il soffio della tua pazzia
e allora la tua faccia vietnamita ricordava tutto quel che ho.
E adesso puoi richiuderti nel bagno a commentare le mie poesie
però stai attenta a tendermi la mano,
perché il braccio non lo voglio più;
mia madre è sempre lì che si nasconde dietro i muri
e non si trova mai;
e i fiori nella vasca sono tutto quel che resta e quel che manca,
tutto quel che hai:
e puoi chiamarmi ancora "amore mio".
E qualche volta aspettami sul ponte, i miei amici sono tutti là;
con lunghe sciarpe nere ed occhi chiari, hanno scelto la semplicità.
Se Luigi si sporge verso l'acqua sono solo fatti suoi.
E ancora mille volte, mille anni, ci scommetto, mi ringrazierai:
per quel sorriso ladro e per i giochi, i mille giochi che sapevi già.
E ancora mi dirai che non vuoi essere cambiata, che ti piaci come sei.
Però non mi confondere con nienete e con nessuno, e vedrai...
niente e nessuno ti confonderà;
soltanto l'innocenza nei miei occhi - c'è nè già meno di ieri, ma che male c'è...
le navi di Pierino erano carta di giornale, eppure, vedi: sono andate via
magari dove tu volevi andare ed io non ti ho portato mai
e puoi chiamarmi ancora "amore mio".»

lunedì 11 agosto 2008

Vonnegut a Recanati


«La decima notte tolsero il piolo dal catenaccio della porta del vagone di Billy, e la porta si aprì. Billy Pilgrim era addossato al sostegno diagonale, come se si fosse crocifisso da solo, e si teneva aggrappato con la mano blu e avorio al bordo della feritoia. Quando aprirono la porta Billy tossì, e tossendo espulse dall’ano un filo di poltiglia. Questo conformemente alla terza legge del moto di sir Isaac Newton. Questa legge ci dice che per ogni azione c’è una reazione uguale e contraria.
È una nozione che può essere utile nel campo della missilistica.»


«Billy passò dal buio più totale a una luce molto viva e si ritrovò in guerra, al centro di spidocchiamento. La doccia era finita. Una mano invisibile aveva chiuso l’acqua.
Quando Billy riebbe i suoi vestiti, questi non erano più puliti di prima, ma tutti i parassiti che ci vivevano dentro erano morti. Così va la vita. E il suo cappotto nuovo adesso era sgelato e non era più rigido come prima. Era davvero troppo piccolo per Billy. Aveva un bavero di pelo e una fodera di seta cremisi, e doveva essere appartenuto a un impresario grande come la scimmietta di un suonatore d’organetto. Era pieno di fori di proiettile.»


«Rosewater era a letto con un libro, e Billy lo introdusse nella conversazione chiedendogli cosa stesse leggendo in quel momento.
Così Rosewater glielo disse. Era Il Vangelo dello spazio di Kilgore Trout. Parlava di una creatura venuta dallo spazio che somigliava molto a un tralfamadoriano, tra l’altro. La creatura venuta dallo spazio aveva studiato a fondo il cristianesimo per capire, se possibile, perché per i cristiani fosse tanto facile essere crudeli. Era arrivata alla conclusione che il guaio derivava almeno in parte dal modo trasandato in cui era scritto il Nuovo Testamento. Secondo lui, l’intento dei Vangeli era insegnare alla gente, fra le altre cose, a essere misericordiosi, anche verso i più umili.
Ma i Vangeli, in realtà, insegnavano questo:
Prima di uccidere qualcuno, accertatevi bene che non abbia relazioni importanti. Così va la vita.

La magagna nelle storie di Cristo, diceva la creatura venuta dallo spazio, era che Cristo, malgrado le apparenze, era il figlio dell’Essere Più Potente dell’Universo. I lettori lo capivano e così, quando arrivavano alla crocifissione, naturalmente pensavano (qui Rosewater rilesse ad alta voce):
Oh, accidenti... Hanno scelto proprio la persona sbagliata per il loro linciaggio, quella volta!
E questa idea aveva una sorella: “ Ci sono delle persone giuste da linciare”. Chi? Quelle che non hanno relazioni importanti. Così va la vita.

La creatura venuta dallo spazio donò alla Terra un nuovo Vangelo. In esso Gesù era veramente un uomo qualunque, e una seccatura per un sacco di gente che aveva relazioni più importanti delle sue. E diceva anche lì tutte le cose belle e imbarazzanti che diceva negli altri Vangeli.
Così un giorno la gente su divertì a inchiodarlo a una croce e a piantare la croce nel terreno. Non ci sarebbero state ripercussioni, pensavano quelli che l’avevano linciato. Anche il lettore era indotto a pensarlo, poiché il nuovo Vangelo seguitava a ripetere che Gesù era proprio un nessuno.
E poi, un momento prima che questo “nessuno” morisse, i cieli si aprirono, e mandarono tuoni e lampi. Dall’alto scese stentorea la voce di Dio. Dio disse alla gente che adottava quel barbone, dandogli i pieni poteri e i privilegi di Figlio del Creatore dell’Universo per tutta l’eternità. Ecco quello che disse: D’ora in poi Egli punirà orribilmente chiunque tormenterà un barbone senza relazioni importanti!

La fidanzata di Billy aveva finito il suo sigaro di zucchero tre Moschettieri. Ora stava sgranocchiando una Via Lattea.
“Lasciate perdere i libri” disse Rosewater, gettando sotto il letto quello che teneva in mano. “Vadano al diavolo.”
“Questo, però, sembrava interessante” disse Valencia.
“Cristo... Se solo Kilgore Trout sapesse scrivere!” esclamò Rosewater. Aveva ragione: l’impopolarità di Kilgore Trout era meritata. La sua prosa era tremenda. Soltanto le idee erano buone.»


(K. Vonnegut, "Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini")

venerdì 25 luglio 2008

Date il mio stipendio al dio dei ladri

Non è tutto oro quel che luccica.
Non è tutto rotto quel che scricchiola.
L'oro scricchiola?

Non è tutto oro quel che conta.
Non tutto quel che conta scricchiola.

Suggerisce la consueta rubrica di Bartezzaghi: «Ricucire nani». Bisogna essere dottori, magari in medicina; appassionati di ago e filo; infibulatori; giganti invidiosi; o appassionati di enigmistica.

Qualche giorno fa, il Tg2 ha proposto un sevizio di costume. Nuova moda: la tuta da operaio. Perciò, mentre Gian Maria Volontè armeggiava sul suo cottimo, e forse Cipputi la considerava sempre più fitta, modelli e modelle, con un chiaro passato/futuro da metalmeccanici, sfilavano lasciando affiorare il petto da lunghe tute blu. "La tuta fuori e dentro la fabbrica". Perché no? Se l'umiliazione non smette, fuori, la tuta non può che far sentire a casa. Bisogna solo fare un po' di palestra, farsi crescere lunghe frange bionde o grandi seni sodi.
Nel frattempo, passavano in sottofondo, altrove, le immagini di "Giù al Nord", da Craxi in qui. E di Dubcek sorridente, desolato, malato di solitudine. Tutti in tuta da operaio, e così via, e così sia.
A Capri Lapo Elkann non guardava la tv: era intento a spingere taxi spenti insieme ai suoi amici. “In vacanza a Capri”, a scaricare le fatiche della vita. MDMA al posto della povere d’ordinanza: perdio, siamo in vacanza! Lapo Elkann spingeva taxi spenti e sosteneva che fossero suoi, in quanto marchiati Fiat. Sillogismi portati dalla Marea.
Può venire a prendersi anche la mia auto, dunque. Lo aspetto in garage.
Può portare con sé i miei tredicimila euro, giusto per evitarmi il viaggio a Torino.

Appunti per la settimana a venire: viaggiare in treno; trovare i Van Der Graaf Generator; preparare meticolosamente le regata in avvicinamento; installare dei lampadari/non lampadari; esibire adeguata indignazione. Magari ricucire nani.

venerdì 18 luglio 2008

«Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere
di gente infame, che non sa cos'è il pudore,
si credono potenti e gli va bene quello che fanno;
e tutto gli appartiene.
Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni.
Questo paese è devastato dal dolore...
ma non vi danno un po' di dispiacere
quei corpi in terra senza più calore?
Non cambierà, non cambierà
no cambierà, forse cambierà.
Ma come scusare le iene negli stadi e quelle dei giornali?
Nel fango affonda lo stivale dei maiali.
Me ne vergogno un poco, e mi fa male
vedere un uomo come un animale.
Non cambierà, non cambierà
si che cambierà, vedrai che cambierà.
Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali
che possa contemplare il cielo e i fiori,
che non si parli più di dittature
se avremo ancora un po' da vivere...
La primavera intanto tarda ad arrivare.»

giovedì 10 luglio 2008

Il pomeriggio è troppo, troppo azzurro.

«Scusami... tu sei quello che ha fatto quella presentazione sulla cartilagine..?»
«No.»
«Ouch...» sguardo perplesso «Scusami.»
«Di niente» alzando il pollice destro. (Il pollice verso. Verso cosa?)
Eppure giurerei di aver riconosciuto, tra la folla di scienziati, un mio sosia.
Aveva la giacca, e pure la cravatta marrone, ma strisciava per terra come se fosse stato in un fosso. E la gamba sinistra — ma era poi veramente una gamba, quella specie di tentacolo che trascinava? — era avvolta dai brandelli di quello che era stato un pantalone.
Cartilagine: tutt’al più, ossa conficcate una nell’altra. Incastrate alla bell’e meglio.
Non succhiava pietre lisce, e neppure le sottane delle signorine dalle gambe lunghe, eppure era lucido come una lumaca. Come se il vento gli avesse soffiato addosso una frana oleosa di albume d’uovo.
«Sei pronto per essere infornato?»
«Non voglio diventare giallo.»
«Il fegato sta bene, non ti preoccupare.»
«Mi fa male la testa.»
Mi fa male la schiena. Non riesco più a capire dove parta e dove finisca, questa scintilla che mi attraversa. Si sta come d’estate su una sedia — arrugginita.
Grat grat grat non si ferma. Pensavo: non si ferma, questa ruggine che ho nella schiena? Da dove viene e dove va? Parte? Finisce?
Grat grat grat. Mille punte nella schiena, tutte in fila per grattare la scabbia della ruggine.
«Hai provato l’agopuntura?»
«No.»
«Fa bene, sai? Senti un calore entrare...»
«Quella è l’eroina, C.»
C. è già pronta per andare i vacanza. Cotta a puntino. È già gialla.
Eppure giurerei di aver riconosciuto, tra la folla in vacanza, un mio sosia.
In mezzo alle pance abbrustolite e ai palloni/arancia colorati a spicchi, se la cavava piuttosto bene nell’esercizio della lettura di romanzi tedeschi. Nel frattempo, stanno innaffiando le mie rose, ma io non mi annoio, perché lavoro. Nel solleone.
(Rose cresciute nella sabbia; che barbarie.)
Dunque: un mio sosia sdraiato all’ombra, di un albero di un sasso o di un ombrellone — all’ombra cioè di ombre diverse ma pur sempre spalmate, leggeva romanzi (per lo più tedeschi) nel cicaleccio di troppe persone in troppo poco spazio, in violazione di troppo silenzio. In vacanza. Senza baristi grassi, però.
Io, nel frattempo, scrivevo d'ingegneria.

giovedì 3 luglio 2008

e non per falsa ingenuità

Le scarpe da tennis bianche e blu
seni pesanti e labbra rosse
e la giacca a vento

Oh, Marta io ti ricordo così
il tuo sorriso e i tuoi capelli
fermi come il lago

"Lugano addio" cantavi
mentre la mano mi tenevi
"Canta con me"
Tu mi dicevi ed io cantavo
di un posto che
non avevo visto mai

Tu, tu mi parlavi di frontiere
di finanzieri e contrabbando
mi scaldavo ai tuoi racconti

"Eh, mio padre sì," Tu mi dicevi,
"Quassù in montagna ha combattuto..."
Poi del mio mi domandavi

Ed io pensavo a casa
mio padre fermo sulla spiaggia
le reti al sole, i pescherecci in alto mare,
conchiglie e stelle,
le bestemmie, il suo dolore

Oh, Marta io ti ricordo così
il tuo sorriso e i tuoi capelli
fermi come il lago

Lugano addio cantavi
mentre la mano mi tenevi
addio cantavi
e non per falsa ingenuità
tu ci credevi
e adesso anch'io che sono qua

Oh, Marta mia addio ti ricordo così
il tuo sorriso e i tuoi capelli
fermi come il lago ...

mercoledì 2 luglio 2008

Nella polvere: Mr. Neil Young


«Hello cowgirl in the sand
Is this place
at your command?
Can I stay here
for a while?
Can I see your
sweet sweet smile?
Old enough now
to change your name
When so many love you
is it the same?
It's the woman in you
that makes you want
to play this game.

Hello ruby in the dust
Has your band
begun to rust?
After all
the sin we've had
I was hopin' that
we'd turn back
Old enough now
to change your name
When so many love you
is it the same?
It's the woman in you
that makes you want
to play this game.

Hello woman of my dreams
This is not
the way it seems
Purple words
on a grey background
To be a woman
and to be turned down
Old enough now
to change your name
When so many love you
is it the same?
It's the woman in you
that makes you want
to play this game.»

giovedì 26 giugno 2008

martedì 24 giugno 2008

Come il vento

Il palco sembra la strada sterrata che porta ad un circo di periferia, ad un ammasso di baracche. Alle spalle degli strumenti, una struttura metallica sostiene lettere luminose fatte di lampadine tonde, come quelle delle insegne di luna park abbandonati. Di lato, una grande ventola, simile ad un gong, fa da sfondo alla statua di un indiano, che richiama alla mente i distributori di sigarette di certi film on the road.
Il palco è ancora vuoto, perché il cielo è ancora illuminato dal sole che se ne va.
In sottofondo un blues; e la gente che comincia a rumoreggiare, perché è passata mezz’ora, e poi quasi un’ora, e “io domani devo andare a lavorare”.
Poi la ventola comincia lentamente a girare. Le luci si spengono; ed anche il sole ha smesso di fare luce. Attesa. Lenta. Poi il movimento, sotto le luci rosse del palco.
Ci siamo.
Signore e signori, Mr. Neil Young. Pantaloni chiari e camicia bianca. Stivali. Imbraccia l’elettrica e inizia, quasi improvvisamente, e non si ferma per venti minuti, violentando la chitarra, straziando il palco, che intanto è spazzato dalla ventola.
E poi tutti sanno che questo posto non esiste.
Un’ora, un’ora di rock, di vero rock, nell’elettricità dell’aria e di quel vento che gli scompiglia i capelli e la voce, dolente. Poi la furia si placa, anche il vento pare calmarsi, ed ecco comparire un’armonica a bocca, ed un organo. La Madre Terra. Di fianco all’indiano appaiono quadri di strade, ossa, polvere e cenere. L’ago ed il danno.
Solo l’occhio del ciclone. Torna il vento e torna l’elettrica, ed il Signor Young ondeggia sulle gambe, allunga il braccio come un capitano, alza e abbassa la chitarra come una scure. È come se si stesse sfongando; è come se si fosse sfogato. Ringrazia, se ne va.
Ritorna. All along the watchtower. Si inginocchia a terra, poi si sdraia, mentre le mani non si fermano più. È commovente e straziante — è il piacere in fondo al dolore.
Il Signor Neil Young strappa tutte le corde della chitarra, e le corde saltano via, e vanno a formare molle e antenne sopra la tastiera. Il Signor Neil Young la abbandona stremata e va via.

lunedì 23 giugno 2008

Vabbè, però non è possibile giocare così.

Un generoso affanculo a chi non mi spiega, a chi non si spiega, a chi lascia intendere, a chi fa finta di niente, a chi non sa bere, a chi beve male, a chi finge nella sua vita che è una finzione, a chi finge nella sua vita che è una minzione, a chi della sua vita triste ha fatto un film, a chi non regge le sue azioni, a chi sparisce. A chi parla a vanvera, a chi si parla addosso, a chi si sente sicuro nelle sue sciocchezze. Alle uscite insinuanti e (in)sinuose di F.B., a cantanti (non ancora) famosi, a cinque minuti di tristezza, a cinque minuti di indecisione, al posto al sole, alle cose tenute all'ombra, agli amici senza coraggio, al coraggio. Alla nazionale che gioca con Luca Toni. All'ultimo bicchiere che non è ancora abbastanza. A chi non chiama, a chi non risponde, a chi pensa assurdità — le rende verità — e poi sparisce. Agli illusionisti dell'hascisc, all'impostura della loro vanità. Alla ricerca monoscopica, alla tristezza di una solitudine giocata da sé, a chi non ha letto tanti libri, a chi ha letto i libri sbagliati, a chi non sa leggere anche se è laureato. Alle foto tristi di gente che se ne va. A chi ti corre di fianco con le cuffie e poi non lo fa più.
Affanculo.
Che brutto mondo di pupazzi.

Alcuni lettori sono grotteschi.
Affanculo, va'.

domenica 15 giugno 2008

Forse in un'ambulanza, certamente qualche veicolo.

«...Perché al giorno francamente non ci tenevo, e quanto a mia madre potevo sperare che lei mi aspettasse ancora, dopo tanto tempo? E la gamba, le gambe. Ma le idee di suicidio facevano poca presa su di me, non so più perché, credevo di saperlo, ma mi accorgo che non è così. L’idea dello strangolamento, in particolare, pur così allettante, l’ho sempre superata, dopo una breve lotta. Vi dirò una cosa, non ho mai avuto niente alle vie respiratorie, a parte naturalmente le miserie inerenti a questo sistema. Sì, le volte in cui l’aria, che contiene dell’ossigeno, pare, non voleva più scendere dentro di me, né, una volta discesa, lasciarsi espellere, potrei contarle, avrei potuto contarle. Ah sì, la mia asma, quante volte sono stato tentato di mettervi fine tagliandomi la carotide o la trachea. Ma ho tenuto duro. Il rumore mi tradiva, diventavo viola. Mi prendeva soprattutto di notte, cosa di cui non sapevo se dovevo essere contento o scontento. Perché di notte, se è vero che i bruschi cambiamenti di colore hanno minor rilevanza, per contro il minimo rumore insolito si fa notare di più, per via del silenzio della notte. Ma queste erano soltanto delle crisi, e son poca cosa, le crisi, in confronto a tutto ciò che non si ferma mai, che non conosce flusso né riflusso, dalla superficie plumbea, dalle profondità infernali. Non una parola, neanche una parola contro le crisi che m’afferravano, mi torcevano e infine graziosamente mi mollavano, senza denunciarmi a terze persone. E m’avvolgevo il cappotto intorno alla testa, il che soffocava il rumore osceno del soffocamento, oppure camuffavo quest’ultimo in accesso di tosse, universalmente ammesso e approvato, e il cui unico inconveniente è che rischia di suscitare la compassione. E forse è giunto il momento di far notare, meglio tardi che mai, che, dicendo che il mio procedere era più lento, in seguito al cedimento della gamba buona, non esprimo che una minima parte della verità. Perché in verità avevo altri punti deboli, qua e là, che divenivano anch’essi sempre più deboli, com’era prevedibile. Ma a non essere prevedibile era la rapidità con cui la loro debolezza aumentava dopo la mia partenza dalla riva del mare. Perché finché ero rimasto in riva al mare i miei punti deboli, pur aumentando in debolezza, come c’era da aspettarsi, aumentavano solo insensibilmente. Per cui avrei avuto notevoli difficoltà ad affermare, per esempio tastandomi il buco del culo, Toh, va molto peggio di ieri, non si direbbe più lo stesso buco. Mi scuso di tornare ancora su questo vergognoso orifizio, è la mia musa che l’esige. Forse bisogna vedervi non tanto la pecca che viene nominata quanto il simbolo di quelle che taccio, dignità dovuta forse alla sua centralità e alle sue arie di intermediario tra me e l’altra merda. Lo si misconosce, secondo me, questo piccolo buco, lo si chiama buco del culo e si ostenta disprezzo. Ma non sarà piuttosto la vera porta principale dell’essere, del quale la celebre bocca sarebbe solo l’entrata di servizio? Nulla vi penetra, o così poco, che non ne sia respinto sull’istante, o quasi. Quasi tutto quello che gli giunge da fuori gli ripugna, e per quello che gli giunge da dentro non si può dire che si dia molto più da fare. Non sono cose significative? Il tempo giudicherà. Ma cercherò ciononostante di concedergli un po’ meno spazio in futuro. E mi sarà facile, perché il futuro, non parliamone, non ha proprio nulla d’incerto. E se si tratta di lasciar da parte l’essenziale, credo di sapere il fatto mio, e tanto più in quanto sul fenomenico possiedo solo informazioni contraddittorie...»

(S. Beckett, “Molloy”, 1951)

mercoledì 11 giugno 2008

Tutti ingrati

Manhattan Serenade. A.J. e il suo entourage arrivano in un night-club di New York. A.J. regge la catena d’oro di un babbuino col culo viola. A.J. indossa calzoni alla zuava di lino a scacchi e una giacca di cashmere.
gestore: «Aspetti un attimo. Aspetti un attimo. Che cos’è?».
A.J.: «È un barboncino illirico. La bestia migliore cui può affezionarsi un uomo. Darà tono alla tua bettola».
GESTORE: «A me sembra un babbuino col culo viola e perciò resta fuori».
TIRAPIEDI: «Ma lo sai chi è costui? È A.J., l’ultimo spendaccione dei tempi d’oro».
GESTORE: «Digli di prendere quel bastardo col culo viola e di andare a spendacciare da un’altra parte».
A.J. si ferma davanti a un altro night-club e guarda dentro. «Froci eleganti e fighe stagionate, cristo dio! Siamo nel posto giusto. Avanti, ragazzi!».
Infila un paletto d’oro nel pavimento e ci lega il babbuino. Comincia a parlare con modi forbiti, mentre i suoi tirapiedi forniscono informazioni dettagliate.
«Fantastico!».
«Mostruoso!».
«Un vero paradiso!».
A.J. si infila in bocca un lungo bocchino, fatto di un materiale oscenamente flessibile. Dondola e ondeggia come se fosse dotato di una ripugnante vita da rettile.
A.J.: «Insomma, eccomi lì a pancia in giù a diecimila metri d’altezza».
Vari froci poco lontano alzano la testa come animali che fiutano il pericolo. A.J. balza in piedi con un ringhio muto.
«Brutto succhiacazzi col culo viola!» grida. «Adesso te la faccio vedere io a cagare per terra!». Tira fuori una frusta dall’ombrello e colpisce il babbuino sul culo. Il babbuino grida e strappa via il paletto conficcato per terra. Salta sul tavolo vicino e si arrampica su una vecchia che muore d’infarto sul posto.
A.J.: «Mi scusi, signora. La disciplina prima di tutto».
Frusta freneticamente i babbuino da un capo all’altro del locale. L’animale salta in braccio ai clienti urlando, ringhiando e scagazzando per il terrore, corre su e giù lungo il banco del bar, si lancia dai tendaggi ai lampadari...
A.J.: «O impari a cagare come si deve o non sarai mai più in condizioni di farlo».
tirapiedi: «Dovresti vergognarti di far arrabbiare così A.J. dopo tutto quello che ha fatto per te».
A.J.: «Ingrati! Tutti ingrati! Lasciatevelo dire da un vecchio trans».

(W.S. Burroughs, “Pasto nudo”, 1959; trad. F. Cavagnoli)

martedì 10 giugno 2008

Here it comes...

«You're the kind of person you meet at certain
Dismal, dull affairs
Center of the crowd, talkin' much too loud
Runnin' up and down the stairs
Well it seems to me that you have seen
Too much in too few years
And though you try you just can't hide
Your eyes are edged with tears

You better stop and look around
Here it comes, here it comes
Here it comes, here it comes
Here comes your 19th nervous breakdown

When you were a child you were treated kind
But never brought up right
And you were always spoiled with a thousand toys
But still you cried all night
Your mother who neglected you
Owes a million dollars tax
And your father's still perfecting ways
Of making sealing wax

Oh, who's to blame
That girl's just insane
Well nothin' I do don't seem to work
It only seems to make matters worse
Oh, please

Well, you were still in school when you had that fool
Who really messed your mind
And after that you turned your back
On treating people kind
On our first trip I tried so hard
To rearrange your mind
But after a while I realized
You were disarranging mine

When you were a child you were treated kind...

You will stop and look around
Here it comes
Here comes your 19th nervous breakdown
Here comes your 19th nervous breakdown
Here comes your 19th nervous breakdown
Here comes your 19th nervous breakdown»

giovedì 5 giugno 2008

Si va, così; come senza vento

È in momenti come questo che penso che, se davvero esiste un dio, è perverso e iniquo. O, per lo meno, il pessimo disegnatore di un brutto fumetto.
Poi rifletto un po' più a fondo, e mi rendo conto che io, a quel dio, non credo; perché chiedergli di rendere conto?
Lei correva con me, ed eravamo ragazzi. E non eravamo soli. Sotto il sole di agosto, o sulla neve, quando i piedi sprofondano e resta a galla solo il ginocchio, fuori e dentro le gambe, come nell'acqua ma è più freddo e più faticoso. La fatica: quanta fatica, quante gocce sulla fronte, anche sulla neve.
Studiavamo; e poi abbiamo lavorato. E poi lavoro, e oggi proprio non riesco a lavorare.
La fatalità che ci fa girare sul suo bastone da tip-tap, come palloni. Senza baricentro. Per terra. Come ruote divorate dall'asfalto, come facce divorate dall'asfalto, come cervelli divorati dal male. Dalla fatalità.
Come sappiamo essere fatalisti; come siamo fatali. Nel nostro incedere incerto.
Quanti mesi fa saranno stati? Mi parlava del suo lavoro mentre stavamo seduti in terra, e mi sembrava ancora una ragazza, perché aveva gli stessi occhi.
Ci siamo proprio voluti bene; perché eravamo amici, e correvamo.
Ciao...

martedì 3 giugno 2008

Amsterdam

Antiche abitudini

Le chiavi dei canali

The famous American pizza

Appesi ai fili

Lui adesso vive ad Atlantide

Trasporti amorosi

Messico e nuvole

La porta di casa

Traffico lecito

Non so se possiamo

...è solo un naufragio

lunedì 2 giugno 2008

venerdì 23 maggio 2008

Ho visto torri alte un paradiso crescere sopra isole deserte

Emma Marcegaglia. Ovvero: il potere con il potere. Legge il suo discorso dall’ultimo piano del palco, guardando avanti di un paio di metri, per fingere di non leggere. Legge il suo discorso, Emma Marcegaglia, ma fa finta di parlare “a braccio”. Vizio di forma.
Dice che c’è “uno scenario nuovo e irripetibile”, Emma Marcegaglia. Glielo vedo dire, osservo le sue labbra muoversi. Il labbiale non mente. Il labbiale ha ragione. Emma Marcegaglia ha ragione: lo scenario è nuovo e irripetibile. Non c’è mai stato nulla del genere, nulla di così triste — e per quanto riguarda l’irripetibilità, posso solo augurarmela.
“In Italia si è creata una situazione favorevole al cambiamento”. Come se il cambiamento dovesse essere sempre in meglio.
In platea, tutto il governo se ne sta in fila. Qualcuno prende appunti (o forse è solo sudoku), qualcuno sorride, un altro dormicchia; tutti applaudono, con aria compunta ed espressione rigorosa. Su quel palco a più piani di fa sul serio.
E poi oggi ci sono “un nuovo governo sostenuto da una forte maggioranza parlamentare” e “un clima di minore contrapposizione e di rispetto reciproco tra maggioranza e opposizione”. Infatti, tutti quelli che col governo non dovrebbero stare, in linea di principio, programmaticamente, esprimono soddisfazione. Hanno commenti positivi. Veltroni, Angeletti, Bonanni. Sorridono felici. Solo Epifani critica l’assenza del tema “salari” nel discorso della Emma. Chiti applaude in platea; è seduto di fianco a Tremonti. La Finocchiaro forse si masturba in ultima fila, domandandosi anziché no perché non ha fatto l’imprenditrice, da giovane.
Poi arriva il capo vero. Fa il consueto cabaret: ha apprezzato a tal punto ciò che ha detto la Emma, che ha deciso che “potrebbe essere, anzi sarà” il programma di governo. Rincuora, parzialmente, sapere che prima non ne aveva uno; abbiamo avuto qualche giorno di vantaggio. In fondo, lui è uno di loro. Strano che in questa occasione non si sia spacciato per operaio. Avrà paura del cottimo.
Ma c’è spazio anche per la fanteria leggera. Scajola, quello di Imperia, ma anche di Genova — quello che diede a Marco Biagi del “rompicoglioni”, per intenderci. Forse perché non si intendeva troppo di concussioni. Scajola: si occupa di sviluppo economico, ora. Forse per l’esperienza pregressa con i casinò. Dall’ultimo piano del palco di Confindustria, Scajola ci parla di nucleare. "Solo gli impianti nucleari consentono di produrre energia su larga scala, in modo sicuro, a costi competitivi e nel rispetto dell'ambiente". Non vera la prima, per ovvie ragioni; oltretutto, il Trentino è la dimostrazione che non per forza serve “la larga scala”. Non vera la seconda: a livello impiantistico, cosa non è sicuro?). Non vera la terza: l’allestimento di nuove centrali e lo smantellamento di impianti produttivi alternativi sono gratuiti? Forse contribuirà il Vaticano, in virtù dei trascorsi democristiani del ministro. Non vera la quarta: dove mettiamo le scorie? Nelle strade di Napoli? Quelle del centro, ora, sono libere: le hanno ripulite per bene, in vista del Consiglio dei ministri di ieri. Hanno spazzato sotto il tappeto: occhio non vede, cuore non duole. Mettiamo tutto lì, e inventiamo uno slogan convincente, positivo, di crescita, come “metti un plutonio nella tua camorra”.
Scajola: sembra stupito persino lui di quello che dice. Almeno un paio di volte avrà pensato “questa me la devo segnare”. E nessuno — dico, nessuno: un industriale del settore energetico, uno qualunque, si è alzato. Nessuno ha detto: “Scajola, lei sta dicendo una marea di cazzate”. Sorrisi e cappelli levati.
Nel finale, ci gettano in pasto a vecchie facce con vecchi temi. Gentiloni, con la sua espressione monocorde, non nasconde lo sdegno per il “caso Retequattro”: “Queste frequenze non s’hanno da usare”, sembra dire quella sua faccia molle, da uno che vorrebbe solo bere un buon caffè, senza porsi tanti problemi. Sette anni fa, gli stessi attori recitavano lo stesso copione. Scadente il testo, scadenti loro. Ma evidentemente non sono ancora scaduti.
L’importante è scegliere con cura l’argomento.
E ora, come diceva Gian Maria Volontè in quel bellissimo film di Petri, “chi non sciopera è un crumiro, e anche un facia de merda”.

L'eolico ha sorpassato il nucleare, ovvero: "Scajola, lei sta dicendo una marea di cazzate!"

ROMA - Il 2007 è stato l'anno del sorpasso: a livello globale, dal punto di vista dei nuovi impianti, l'eolico ha battuto il nucleare. L'anno scorso sono stati installati 20 mila megawatt di eolico contro 1,9 megawatt di energia prodotta dall'atomo. E' un trend consolidato da anni e destinato, secondo le previsioni, a diventare ancora più netto nei prossimo quinquennio. Ma non basta. Per la prima volta l'eolico ha vinto la gara anche dal punto di vista dell'energia effettivamente prodotta. I due dati non coincidono perché le pale eoliche funzionano durante l'anno per un numero di ore inferiore a quello di impianto nucleare e dunque, a parità di potenza, producono meno elettricità.

"La novità è che, anche tenendo conto di questo differenziale di uso, nel 2007 l'eolico ha prodotto più elettricità del nucleare", spiega Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club. "E gli impianti eolici che verranno costruiti nel periodo 2008 - 2012, quello che chiude la prima fase degli accordi del protocollo di Kyoto, produrranno una quantità di elettricità pari a due volte e mezza quella del nuovo nucleare. Se poi nel conto mettiamo anche il solare fotovoltaico e termico possiamo dire che, tra il 2008 e il 2012, il contributo di queste fonti rinnovabili alla diminuzione delle emissioni serra sarà almeno 4 volte superiore al contributo netto prodotto dalle centrali nucleari costruite nello stesso periodo".

La tendenza è consolidata anche dal risveglio del gigante americano. Il 30 per cento di tutta la potenza elettrica installata durante il 2007 negli Usa viene dal vento e il dipartimento federale dell'energia prevede che entro il 2030 l'eolico raggiunga negli States una quota pari al 20 per cento dell'elettricità creando un'industria che, con l'indotto, darà lavoro a mezzo milione di persone. E' un dato in linea con l'andamento di paesi europei come la Danimarca (21 per cento di elettricità dall'eolico), la Spagna (12 per cento), il Portogallo (9 per cento), la Germania (7 per cento).

Nonostante le scelte dell'amministrazione Bush, che ha incentivato con fondi pubblici la costruzione di impianti nucleari, negli Stati Uniti l'energia dall'atomo resta invece ferma, sia pure a un considerevole livello, da trent'anni: l'ultimo ordine per una nuova centrale risale al 1978. Nell'aprile scorso sono stati annunciati impegni per 38 nuovi reattori nucleari, ma è molto probabile che il numero scenda drasticamente, come già è avvenuto in passato, nel momento in cui si passa alla fase dei conti operativi: le incertezze legate ai costi dello smaltimento delle scorie, ai tempi di realizzazione e allo smantellamento delle centrali a fine vita hanno rallentato la corsa dell'atomo.

In attesa della quarta generazione di reattori nucleari, che però deve ancora superare scogli teorici non trascurabili e non sarà pronta prima del 2030, le stime ufficiali prevedono una diminuzione del peso del nucleare nel mondo. La Iea (International Energy Agency) calcola che nel 2030 la quota di elettricità proveniente dall'atomo si ridurrà dall'attuale 16 per cento (è il 6 per cento dal punto di vista dell'energia totale) al 9-12 per cento.

(Antonio Cianciullo per "la Repubblica" on-line, 23 maggio 2008)

mercoledì 21 maggio 2008

...e non ti convince per niente il programma che stanno dando, ma — che strano — nessuno lo può più cambiare col telecomando.

«Alla TV ci sono napoletani che buttano immondizia sull'immondizia, come benzina; la incendiano, la fanno scoppiare — anzi, la scoppiano; e poi si lamentano, infine si lamentano: perché non si può camminare per la strada, perché c'è puzza, perché lo Stato non c'è (sebbene possa puzzare; non c'è, si è nascosto troppo bene, non vuole più uscire, non gioca più).
Lo Stato. Lo stato dell'arte. Da una parte la libertà, dall'altra la tutela. Tutto, e subito.
La libertà: quella piena — fare il cazzo che si vuole. Giù il cappello, lorsignori.
Aleggia l'insostenibile odore della vita; è il prezzo d'annusarla, quella vita.
Pulcinella vive in un cassonetto. Pulcinella non fa la raccolta differenziata. Pulcinella è morto; e l'hanno buttato in un cassonetto.
Qualcuno lo prende come un gioco. Una recita.
Non è decadenza: è tramonto. I valori? Già, i valori. Quelli bollati.»

sabato 17 maggio 2008

Ho preso gli schiaffi (le gocce) e le botte del freddo (dell'acqua) e del vino. Non ho premuto sull'acceleratore, poiché ero senza luci blu. Non ho fatto il pieno, e forse non lo farò mai più. Forse tra pochi giorni. Forse mai. Più. Ignazio. Più. Pià. Boh.
Dunque:
«Flying so high, trying to remember
how many cigarettes did I bring along?
When I get down I'll jump in a taxi cab
driving through London town
to cry you a song.

It's been a long time
still shaking my wings.
Well, I'm a glad bird
I got changes to ring.

Closing my dream inside its paper-bag.
Thought I saw angels
but I could have been wrong.
Search in my case,
can't find what they're looking for.
Waving me through
to cry you a song.

It's been a long time
still shaking my wings.
Well I'm a glad bird
I got changes to ring.

Lights in the street,
peeping through curtains drawn.
Rattling of safety chain taking too long.
The smile in your eyes was never so sweet before
Came down from the skies
to cry you a song.»
Buonanotte a Rimini ed ai prati in fiore.

giovedì 15 maggio 2008


BRESCIA - Sono stati tutti rinviati a giudizio i sei imputati accusati di concorso nella strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974. Si tratta di: Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Carlo Maria Maggi, Pino Rauti, Francesco Delfino, Giovanni Maifredi. Il processo inizierà il 25 novembre.

La strage avvenne mentre nella piazza era in corso una manifestazione contro il terrorismo indetta dai sindacati. L'ordigno venne nascosto dentro un cestino dei rifiuti e provocò la morte di otto persone e il ferimento di altre novantaquattro.

La prima fase del processo ebbe come conseguenza la condanna di alcuni esponenti dell'estrema destra bresciana. Nel 1982, però, la Corte di Cassazione assolse gli imputati. Un nuovo processo chiamò in causa altri rappresentanti della destra, anche questi assolti nel 1989 per insufficienza di prove.

Ma i giudici non si arresero e i rinvii a giudizio di oggi sono la conseguenza del loro lavoro. Noti i nomi dei rinviati a giudizio: a partire da Delfo Zorzi (latitante da tempo in Giappone con il nome di Hagen Roy), proseguendo con Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte, militanti di spicco di Ordine Nuovo e finendo con il fondatore del gruppo estremista Pino Rauti (suocero dell'attuale sindaco di Roma).

("la Repubblica" on-line, 15 maggio 2008)