venerdì 25 novembre 2011

Chi l'avrebbe mai detto?

In principio fu Pomigliano. Il patto scellerato tra l’amministratore delegato della FIAT, Sergio Marchionne, ed i segretari di CISL e UIL, Bonanni e Angeletti, è stato spacciato, qualche mese fa, come una svolta epocale in senso positivo. Alcuni illuminati, come l’allora Ministro del Welfare Sacconi, salutarono l’accordo capestro con entusiasmo: «oggi il Paese è più moderno», diceva il ministro; «il Lingotto non può che riconoscere che vi sono tutte le condizioni per realizzare il promesso investimento in un contesto di pace sociale».

La pace sociale, sì. “Ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra”, cantava Pietrangeli quand’era ancora in sé.

E la guerra, con i bastoni contro i cannoni, aveva provato a farla la Fiom, abbandonata, irrisa e provocata sull’unità sindacale.

Il fatto è che l’accordo, di per sé (dal mio punto di vista) penalizzante e molto vincolante per i lavoratori (che sono gli operai dei 1000 euro al mese, in questo caso, e non i manager che fanno i democratici mettendo il maglioncino al posto della giacca), metteva contestualmente i sindacati in una posizione di inferiorità, rispetto al padrone, ancora superiore (se possibile) rispetto alla precedente. E creava un pericoloso precedente.

Detto, fatto. Sergio Marchionne, coccolato dal potere, dai cosiddetti tecnocrati (M.M. compreso) e dal suo maglioncino, dopo aver annunciato l’uscita del gruppo dalla Confindustria, ha fatto sapere che FIAT, dietro il consueto e vomitevole scudo della «competitività ed efficienza», dal primo gennaio del 2012 procederà alla disdetta degli accordi sindacali e dei contratti collettivi.

La disdetta è di una gravità inaudita: l’Italia operaia dell’immediato dopoguerra avrebbe affrontato il padrone sul ring, e probabilmente gliele avrebbe pure suonate. Oggi, invece assistiamo allo spettacolo malinconico di operai frustrati, terrorizzati e sotto scacco, che neppure riescono a ritrovare un’anima nella coesione di categoria; e a quello triste di due sigle sindacali (CISL e UIL) che non sono capaci di dire “scusateci, siamo proprio stati coglioni”.

Marchionne, maglioncino o no, non va in catena di montaggio. Il suo lavoro, all’interno di una dialettica desueta ma efficacissima, di templare dell’economia capitalistica assume un senso solo attraverso il lavoro, nobile, delle migliaia di operai dei quali non nutre alcun rispetto. Se l’Italia, oggi, ha bisogno di misure che la sappiano portare fuori dalla crisi sistemica del capitalismo cocainizzato, ha pure la necessità (ancora più stringente) di ritrovarsi: di ritrovare coscienza di sé e di classe. Coscienza della forza e ineluttabilità dei lavoratori.

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