venerdì 5 novembre 2010

Vabbè, ma di morte lenta.

[Bastasse un requiem (riposi in pace)]

Colpisce basso l'ennesima morte bianca. Ancora più in basso, sotto i tacchi e il morale, va la consueta iniezione di vuota retorica. I nostri cantieri sono pieni di brava gente. Gente che lavora duro, che sa il fatto suo; gente coi bimbi a casa, con compagni e compagne, con genitori, amici, affetti. Gente che certo non vuole lasciare la scorza sotto un muro. Eppure. Eppure si continua a restarci ammazzati. E troppo spesso per leggerezze: per negligenze (gravi, e da perseguire) dei datori di lavoro; per avventatezze dei lavoratori (tanto più in pericolo quanto più sicuri di sé).Chinarsi sotto 1500 kg di porfido nel tentativo di capire il motivo per il quale un sollevatore si è inceppato non è "un gesto quasi istintivo per chi è abituato a lavorare sodo e a non rimanere fermo un attimo", come si legge sui quotidiani locali. Diamine, no. Chinarsi sotto quei 1500 kg è fretta (una volta si chiamava cottimo), eccessiva baldanza, parziale irresponsabilità, mancato controllo, inadeguatezza dei mezzi, e così via.Con la cultura dell'abitudine e del "cosa-vuoi-che-succeda" non si va da nessuna parte: i 'gesti quasi istintivi' non devono avere spazio sul posto di lavoro. La leggerezza va disincentivata. Occorrono autocontrollo e controllo, rigore e consapevolezza.La cultura del lavoro non è folklore: e nemmeno crepare lo è.

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