giovedì 22 aprile 2010

Una storia disonesta (cit.)

Alcuni anni fa mi capitò di essere insolentito da un poliziotto che, investito - nella sua uniforme - di una forma molto accademica di onnipotenza, mise in atto un tentativo di prevaricazione nei miei confronti per fortuna andato per nulla a buon fine.
Irritato da una (peraltro garbata) discussione con un amico, prima di un concerto in piazza, il poliziotto mi spinse alle spalle, chiedendo contestualmente a me e all'amico se pensassimo che lui fosse un pagliaccio. Alla mia risposta possibilista (mi uscì dalla bocca un "Può essere" per lo meno dubitativo), l'uomo in divisa perse letteralmente le staffe, dando vita ad una sceneggiata napoletana durante la quale, in ordine sparso, mi minacciò di spaccarmi le ossa (pare che a frenarlo fosse la grande folla accorsa per il concerto), mi disse che non avrei più potuto partecipare ad un concorso pubblico, mi sequestrò per un'oretta buona i documenti, si rifiutò di fornirmi le sue generalità.
Al tempo io ero minorenne. Mia madre, presente, prima cercò di fare la madre, affiancandomi nella discussione con il mio minaccioso interlocutore; poi mi accompagnò, il giorno seguente, in questura, per lamentare l'ingiusta prosopopea e la strampaleria di ragionamento del questurino.
Il capo di gabinetto della questura mantenne, per tutta la durata del nostro incontro, in quella mattina di settembre, un atteggiamento vagamente ambiguo. Dette, cioè, ragione al sottoscritto, mantenendo però un riserbo corporativistico al limite della cavalleria, e addirittura insinuando che la tutela che mia madre mi stava offrendo si sarebbe rivelata poco educativa per "il ragazzo".
Il ragazzo, nel frattempo, restava colpito da una frase del capo; una frase con la quale lui, salomonicamente, stroncò di fatto sul nascere buona parte delle nostre velleità protestatorie: «Signora, non abbiamo tutti la stessa professionalità». "Signora", ovviamente: perché l'adulto parlava con l'adulto, non con il ragazzo. Lì per lì la frase suonò quasi consolatoria sia per il ragazzo che per la signora; sebbene avrebbe poi avuto modo di rivelarsi, nel tempo, il raggiro dialogico in essa racchiuso.
Tuttavia, come dicevo, la frase mi rimase impressa. Tutt'oggi mi torna alla mente, ribaltata nel suo significante, quando incontro inetti, poco di buono, avventurieri, arruffoni, cretini di varia natura. Si può dire che ho ridato ad essa il senso che il capo di gabinetto, nel suo gioco difensivo, le aveva immeritatamente sottratto.

Vuoi per carisma, vuoi per capacità; per predisposizione, per ambiente, per educazione; per sensibilità, invidia, o chissà cos'altro. Non abbiamo tutti la stessa professionalità.

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