giovedì 15 novembre 2007

In tempi di cartoni giapponesi

“...Ciò che mi ha spinto a interrompere brevemente il cimitero giapponese è una cosa che ho letto in un romanzo giapponese qualche anno fa a proposito di un uomo che incontra una donna in un supermercato di Tokyo e la donna diventa l’amante del narratore. Credo che sarebbe un’esperienza molto esotica incontrare una futura amante in un supermercato.
Ho pensato molto a questa cosa, soprattutto di recente con quel po’ di spesa che ho fatto a Berkeley quando abitavo nella casa in cui la donna si è impiccata.
Andavo a fare la spesa nel vicino supermercato e gironzolavo qua e là con il carrello comprando cose a caso che non avevo alcuna voglia di mangiare, se non per soddisfare il fabbisogno nutritivo giornaliero.
...e ogni tanto pensavo al romanzo giapponese e all’incontro con una nuova amante mentre facevo la spesa al supermercato. Che posto unico e curioso per un incontro casuale e intimo!
3 febbraio 1982, finito.

Chissà come poteva iniziare questa relazione e a chi toccava il primo passo? Magari nel reparto zuppe in scatola, mentre esaminavo le varie possibilità a disposizione? Una zuppa al pomodoro poteva essere una bell’idea per una giornata di pioggia, quand’ecco che la voce di una bionda interrompeva la mia breve meditazione.
Non l’avevo nemmeno sentita avvicinarsi. Non credo che si sia avvicinata di soppiatto con il carrello. È solo che non stavo facendo molta attenzione, oppure si è veramente avvicinata di soppiatto dopo avermi pedinato fino al reparto zuppe in scatola.
«Ciao» mi ha detto lei, con voce gradevole e invitante.
Io mi voltavo stupefatto, distogliendo lo sguardo dagli scaffali dove la zuppa di pomodoro faceva bella mostra di sé per un ipotetico pranzo in una domenica di pioggia.
Un tempo uscivo spesso con le bionde.
A dire il vero, avevo un debole per loro.
La vista di una bionda mi rendeva felice. Chissà come avevo fatto a non accorgermi che si era avvicinata. Ha fatto seguire il suo ciao da uno «Scusa, ma non ci conosciamo già?».
In realtà c’è stata una donna che me l’ha detto davvero a una festa ed è finita con un’avventura di una notte.
Questa però era un’altra.
Chi può dire come sarebbe andata a finire?
Ci siamo messi in coda insieme alla cassa perché lei mi ha offerto un passaggio in macchina fino a casa, ma prima ovviamente mi sarei fermato a bere una cosa da lei, visto che era di strada per andare a casa mia, intendendo per casa mia il posto dove un’altra donna s’era impiccata.
La cliente prima di noi alla cassa aveva cinquemila cose nel suo convoglio di carrelli e questo ci ha dato il tempo di conoscerci un po’ meglio.
Lei si chiamava X e si era appena laureata all’Università della California a Berkeley, in Filosofia, ma visto che non aveva ancora trovato un lavoro che richiedesse una vasta conoscenza della filosofia, per il momento lavorava in una boutique di Walnut Creek e no, non era sua abitudine attaccare discorso con gli sconosciuti al supermercato, ma c’era qualcosa nel modo in cui stavo fissando i barattoli di zuppe pronte che aveva stuzzicato la sua attenzione e così, un po’ per gioco, le era venuta voglia di saperne di più di uno che prendeva le zuppe tanto seriamente.
Le ho detto che stavo pensando che forse era il caso di prendere una zuppa al pomodoro per quando pioveva.
«Avevo intuito che potesse essere qualcosa del genere» ha detto lei.
La donna prima di noi era scesa a 2399 cose e continuava a scaricare il suo Southern Pacific Railroad di carrelli e il rotolo che si dipanava a profusione dal registratore di cassa stava cominciando a formare un nastro di Möbius.
«Ho una domanda sulla zuppa al pomodoro» ha detto X. «E non mi fraintendere, ma in questo momento non sta piovendo, anzi non piove da giorni e stando alle previsioni dovrebbe continuare così.»
«Prima o poi pioverà» ho detto.
«Comunque non importa, visto che tanto la zuppa non l’hai presa» ha detto lei.
«Alle volte mi capita di pensare alle cose prima di prenderle» ho detto io. «E la zuppa rientra in questa categoria.»
«Sono contenta di averti salutato» ha detto lei. «Non mi capita spesso di conoscere gente come te.»
Poi c’è stato un momento di silenzio in cui abbiamo guardato il carrello della signora di fronte a noi svuotarsi ulteriormente. Il numero di cose nel carrello a questo punto era sceso sotto il migliaio.
La cassiera aveva battuto così tante cose da quei carrelli che si muoveva come dentro un sogno, inerme, e tirava fuori una scatoletta di tonno, una scatola di riso, un panetto di burro, una confezione di tovaglioli, un sacchetto di cucchiai di plastica, un fustino di detersivo, un collare per cani, un vasetto di senape, una banana, una bottiglia di aceto e così via...
Man mano che la roba andava ad aggiungersi al conto, un ragazzo la infilava nelle buste. Stava riempiendo la cinquantesima. La sua faccia aveva la desolazione di un detenuto dell’Isola del Diavolo.
Se lavorava per mantenersi all’università, allora aveva cominciato a infilare quella roba da matricola e ormai era laureando.
X mi ha sorriso. Ero un sorriso che diceva che presto saremmo usciti di lì per andarci a rilassare un po’ da lei, sorseggiando bicchieri di vino bianco e imparando a conoscerci meglio.
Magari avremmo scherzato un po’ su tutte le cose che la cliente prima di noi aveva infilato nei carrelli, oppure avremmo parlato di cose più intime che ci avrebbero portato più velocemente nel suo letto.
Ma qualcosa doveva accadere molto velocemente nel reparto zuppe in scatola, perché non potevo stare lì in eterno a fissare dei barattoli di zuppa al pomodoro.
Bisognava che lei si facesse viva presto per poter dare il via a questa storia d’amore prima della chiusura, altrimenti avrei continuato a pensare a quell’ossessionante romanzo giapponese senza mai riuscire a diventare il protagonista di una romantica storia d’amore da supermercato e sarei finito invece alle Hawaii, a vagare per un cimitero giapponese che aveva l’Oceano Pacifico come confine.”

(R. Brautigan, “Una donna senza fortuna”, trad. E. Monti)

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