giovedì 28 ottobre 2010

Ruby, "la nipote di Mubarak". Marocchina d'Egitto.
La pratica del "bunga bunga": import-escort libico.
Versioni dei fatti incredibili, che coinvolgono nomi noti come in un film di Natale.
Un vecchio porco incontinente.

Non se ne può più.

giovedì 21 ottobre 2010

L'avevo detto, io.

Se il vegetariano si converte
"La carne fa bene al pianeta"

Il caporedattore del magazine ambientalista "The Ecologist" cambia dieta e, dati alla mano, spiega: "Mi sento più ecologista di un vegano". Ma non tutti sono d'accordo: "Il vegetarianesimo è una scelta di vita, chi consuma carne inquina di più"

MANGIARE carne non è detto che faccia male al pianeta, anzi. A lanciare la provocazione è l'ecologista Simon Fairlie, caporedattore della rivista inglese The Ecologist 1ed ex vegetariano. "Non ho toccato carne dai 18 ai 24 anni - racconta in un'intervista al Time - poi ho cominciato ad allevare capre. Ma dei maschi non sapevo che farne: non producevano latte, non facevano figli. Così ho cominciato a mangiarli". Parole forti, perché dette da un uomo che da 30 anni, fra inchieste e approfondimenti, si dedica alle problematiche ambientali. E che ora ha deciso di mettere nero su bianco il suo nuovo credo dando alle stampe il libro "Meat: A Benign Extravagance" (ed. Maddy Harland, 19,95 £).

Incalzato dalla collega del
Time Tara Kelly, Fairlie spiega che è possibile coniugare un serio impegno ecologista con il piacere di una bistecca alla fiorentina: "Mangiarne moderatamente, due volte a settimana, non provoca alcun danno al pianeta. Tutti i sistemi agricoli producono un surplus di biomassa che deve essere smaltito, e non vedo cosa ci sia di male nel dar questo sovrappiù come foraggio agli animali. Questo modo di allevare il bestiame è ecologico e anzi fa bene alla terra. Capre, pecore e mucche producono a loro volta un fertilizzante naturale utile agli agricoltori. Il ciclo è perfetto. E io mi sento più ecologista di un vegano".

Pochi mesi fa conclusioni simili sono state raggiunte da una
inchiesta del New Scientist 2. Eppure il rapporto 2006 della Food and Agriculture Organization ha stabilito che l'allevamento di animali per la produzione di carne produce il 18% delle emissioni di carbonio annuali globali. "Un dato che contiene degli errori di base - continua Fairlie - perché parte dal presupposto che gli allevamenti portino per forza di cose alla deforestazione. Non è così. La scienza ha anche calcolato che, per produrre una porzione di carne, vengono consumate piante utili all'uomo in un rapporto di 5 a 1. Ma anche questo dato è controverso: allevando gli animali con vegetali non commestibili per noi, la proporzione scende a 1,4 su 1".

Fairlie fornisce anche indicazioni precise sui tipi di carne che è bene consumare per diventare un buon "onnivoro ecologista": sì a quella di maiale, perché questi animali consumano rifiuti di ogni tipo, e sì anche alla carne di mucca, a patto che sia stata allevata nei prati. "Una dieta con troppa carne fa sicuramente male - spiega il professor Pietro Migliaccio, presidente della
Società Italiana di Scienza dell'Alimentazione 3- ma per avere un'alimentazione equilibrata occorre mangiare la carne almeno due volte a settimana. E dell'impatto ambientale non mi preoccuperei: la dieta mediterranea "inquina" il 50% in meno di quella anglosassone, e questi sono dati ufficiali che porterò a Rio De Janeiro il 26 ottobre, in occasione della giornata mondiale della pasta".

Ma secondo il presidente dell'
Associazione Vegetariani Italiani4, Carmen Somaschi, il discorso del giornalista di Ecologist parte da un presupposto sbagliato: "Quella di diventare vegetariani è una scelta etica - spiega - e quindi o la si accetta in toto o niente. Anche mangiare carne solo due volte a settimana danneggia il pianeta, perché finché ci sarà chi la consuma ci saranno gli allevamenti. Studi autorevoli hanno dimostrato che l'impatto ambientale di una persona che mangia carne è pari a quello di 10 vegetariani: per conservarla si usa il frigo, per smaltire i rifiuti animali si inquinano le acque. Io non critico chi mangia carne, dico solo che consumarla è oggettivamente dannoso per l'ambiente". La Somaschi ricorda che quando l'associazione è nata, nel 1952, in Italia i vegetariani erano un pugno di emarginati: "Ancora nel 1980 ci buttavano fuori dai ristoranti. Oggi, solo nel nostro Paese, siamo 7 milioni e mezzo. Abbiamo fatto tanto per arrivare fin qui, trovo ingiusto che il nostro impegno etico e pratico venga screditato con provocazioni fuorvianti".

Dello stesso parere il medico Luciana Baroni, presidente della
Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana5 e autrice di "VegPyramid - La dieta vegetariana degli italiani" (Ed. Sonda, 190 pp.). Secondo la Baroni, "la scelta di non mangiare carne è prima di tutto personale, legata alle motivazioni le più varie. Ma diventa una questione sociale quando si capisce che, se tutti si comportassero nello stesso modo, l'habitat degli esseri viventi verrebbe salvaguardato". Quanto alla salubrità di una dieta vegetariana, la nutrizionista ricorda che esistono comunità che naturalmente non mangiano carne e che sono le più longeve del pianeta, come gli Hunzas, i Vilcamba o gli Okinawa. "Purtroppo - conclude - oggi la tendenza è quella di mediare tra la volontà dell'onnivoro di non rinunciare alla carne, il bisogno della produzione di non rinunciare al profitto, e le motivazioni ecologiste. E' chiaro che in quest'ottica si cerca di dire che la carne va ridotta, e questo è certo giusto, ma è solo il primo passo, bisogna andare oltre". La Baroni conclude ricordando che il rapporto di conversione medio vegetale-animale è di 15:1, il che significa che occorrono 15 kg di mangimi per produrre 1 kg di carne. "Capisco che possa dar fastidio a chi trae enormi profitti da questi sprechi. Ma questi sono i dati", conclude.



[SARA FICOCELLI su "la Repubblica" on-line, 20 ottobre 2010]

martedì 12 ottobre 2010

Al di là del bene e del male #4.

Avvilente. Spaventoso. Deprimente.
...così come un inseguimento di insulti, offese, minacce.
Così come un pugno che ti manda in coma dopo un diverbio alla stazione della metro.
Ed i passanti che, appunto, passano. Scansando il corpo a terra. Accelerando il passo. Voltando appena la testa. Al limite, fermandosi un istante, come turisti per poi riprendere la strada.
Dittatura dello smarrimento, cioè violenza che fa violenza.
Basta, per carità.

lunedì 11 ottobre 2010

Al di là del bene e del male #3.

Se il mio amico venisse aggredito e picchiato a sangue perché "andava troppo forte", ora piangerei.
Se il mio compagno venisse preso a calci mentre è a terra, inerme, perché ha investito un cane, ora piangerei.
Se a mio padre venissero lesionati la milza e un polmone perché è sceso dalla sua auto spaventato, ora piangerei.
Se mio figlio venisse mandato in coma perché ha incontrato un tizio che si sente un giustiziere, ora piangerei.

Se mio figlio, mio padre, il mio compagno, il mio amico - se uno di loro riducesse in fin di vita, per le botte, un altro uomo, io ora piangerei.

Non ho fratelli né padri che farebbero una cosa del genere, e non ho amici o compagni cui è capitato questo; eppure prima ho quasi pianto.

Perché ben oltre le responsabilità, i fatti accertati e da accertare, le provocazioni, l'accecamento della rabbia, molto prima di tutto questo e molto più in là, c'è una terra massacrata dal dolore. Giornaliero. Dalla paura. Dalla violenza che dalla paura è generata. Dalla quotidianità della prepotenza.
Una terra spaventosa.

sabato 9 ottobre 2010

C'è anche, poi, tanta, delicata,
dolcezza.

giovedì 7 ottobre 2010

...e intorno, intanto, tutto prosegue come se nulla fosse. E alcuni altri mi parlano facendo finta di niente, o proprio non capendo. Avanti tutta.

Provando a guardarle dall'esterno, vedo le mie sensazioni cristallizzate in piccole pezze, stese alla brezza come la biancheria. Si agitano un po', rigidamente, ed i bambini ci corrono in mezzo. Vorrei raccoglierle e riprendermi la mia vita.
Perché ho dei bei progetti, per la mia vita.
Ed il lavoro, in essi, se non è un fatto accessorio, neppure è il centro (spirituale).

mercoledì 6 ottobre 2010

Sono schiavo del lavoro, nel senso che sono da esso imprigionato; anzi, preso in ostaggio: da capi senza cravatta e geografie inaccessibili.
Cosa ha più peso? La qualità del lavoro o quella della vita? Come interagiscono le due cose? E come si può farle interagire?
Mi sembra che i compromessi possano diventare pregiudizi.

E attendo. Un'offerta chiarificatrice che chiarificatrice facilmente non sarà. L'evento che mi spinga in una direzione.

Per fortuna qualcosa, nella frana, resta fisso, gagliardo, contro la corrente. Ed io mi ci posso pur sempre aggrappare.