mercoledì 29 settembre 2010

Numeri da capogiro.

Forse per questo la gente si confonde.

martedì 21 settembre 2010

A. entra. Guarda la seggiola vuota. La indica col dito. Guarda me. Io la guardo. Levo la cuffia destra; sento Siver Machine a metà, circa. Rivolgo ad A. uno sguardo interrogativo. «C'è E.?», mi chiede. Non riesco a rispondere che «No». Per non violare l'ovvietà. A. se ne va.

mercoledì 15 settembre 2010

Gli specialisti: morto un Papa, era polacco.

Lech Walesa a Trento.

Se dovesse salvare qualcosa del comunismo cosa salverebbe? «Niente. Guardi, non si può restare incinti un po'. Voglio dire che il comunismo era l'assenza di libertà e quindi non c'è nulla che si possa salvare. Niente di niente. Del comunismo sovietico, poi, proprio nulla. Voi, in Occidente, avete conosciuto un comunismo diverso, nulla a che vedere con quello russo». E adesso la Russia vi fa ancora paura? «La Russia ha cominciato a capire bene da poco quello che noi avevamo capito molto prima, ossia che il comunismo non può funzionare. C'è stata e c'è una lotta continua tra i territori nuovi, questo è il problema di oggi. Alla fine del ventesimo secolo hanno cominciato a capire che il comunismo è da buttare in toto, ora invece bisogna cercare di mantenere la pace e lavorare con la diplomazia. Quello che noi abbiamo adesso nasce dal cammino che abbiamo compiuto, dal progresso della democrazia. E in tutti i paesi dell'Est Europa pian piano si sta affermando». Non è più tempo di rivoluzione. Ma lei lotta ancora? «Sì, adesso ci sono obiettivi diversi. A quell'epoca c'era un sistema sbagliato da rovesciare. Adesso invece bisogna lottare contro le guerre e le divisioni e per un nuovo sistema di pace dei territori».

Bravo, Lech, bravo. Perché invece il capitalismo è il Bene.

Bravo, Lech, il rivoluzionario. Il rivoluzionario di una rivoluzione che senza il Vaticano non ci sarebbe stata. Vaticano e rivoluzione: azione e reazione.

Bravo, bravo, Lech. Ma ora lasciami in pace.

martedì 14 settembre 2010

Uno spiacevole equivoco.

Benedetto, maledetto Canale di Sicilia: non ti bastano i disastri aerei.
Domenica sera, il 12 settembre, una motovedetta libica, ceduta dalla guardia di finanza italiana a Gheddafi (quello dei cammelli, le tende in centro a Roma e le 300 amazzoni da 40 euro) e con a bordo -pare- sei militari italiani, ha mitragliato un peschereccio italiano.
L'Ariete, così si chiama il peschereccio, non si sarebbe fermato all'Alt! intimato. In acque internazionali, ovviamente. Il suo capitano ("sapendo quello che ci aspettava", ha detto; già questo mette i brividi) non ha risposto all'ordine, e anzi ha messo il motore a tutta. Dire che non ha risposto all'ordine, in realtà, non è corretto: Gaspare Marrone, il capitano, ha avuto uno scambio (in italiano) con uno dei militari, pare il comandante della motovedetta, al quale ha detto di essere un pescatore al lavoro. Evidentemente, il dialogo non ha convinto il militare. Né Marrone: anche perché quest'ultimo sosteneva (a ragione, credo) che i militari non avessero alcun diritto di fermare il peschereccio. I libici, però, la pensavano diversamente. E la loro brillante idea è stata quindi quella di sparare ad alzo zero; sulla cabina di comando. I classici colpi d'avvertimento in aria, insomma.
L'interpretazione dei fatti di Maroni, il Ministro degli Interni, è sconcertante: quel gran brav'uomo pensa che i soldati «abbiano scambiato il peschereccio per una nave che trasportava clandestini». In effetti questo, indubbiamente, li giustificava ad aprire il fuoco.
E se i militari avessero invece pensato che a bordo del peschereccio ci fosse Giuliana Sgrena?
Da qualche tempo, in calce alle e-mail in uscita, ho inserito, fra le altre, una frase di Carlo Marx: «Di buone intenzioni è lastricata la strada per l'inferno».
Riflessione: figurarsi delle cattive.

mercoledì 8 settembre 2010

Ante-democrazia.

È vero: urla, fischi, fumogeni - l'impedimento violento - non sono cosa democratica. Anzi, odiosa, a volte disgustosa, spesso noiosa nella sua inutile arroganza.
Ma è pure vero che è inammissibile che, durante una Festa Democratica (quella che una volta, ahimè, era la Festa dell'Unità), siano programmati gli interventi di un servo, mafioso, del potere (Renato Schifani) e di un servo, crumiro, del potere (Raffaele Bonanni). Gente che ha già fin troppo spazio nel proprio campo, perché invada inopinatamente anche quello altrui. Gente che non ha nulla da dire di diverso da quanto blatera nell'adempimento del suo meschino dovere di servo.