giovedì 28 agosto 2008

Galleggiamento.

Ho un alto peso specifico, e perciò vado a fondo nelle questioni.

mercoledì 27 agosto 2008

giovedì 21 agosto 2008

Disappunto.


Nella epocale sfida calcistica svoltasi ieri sera, tra Italia e Germania, sul campo dell'odioso Giacometti — sfida, peraltro, nella quale il nostro Grande Paese Democratico ed il suo calcio palleggiato dal sapore circense hanno avuto la meglio sui legnosi Teutoni —, una gigantesca creatura del peso totale del cuore d'italiano (e, si sa, l'italiano ha un cuore grande così), una lottatrice di sumo nutrita ad agnelli vivi, insomma, una pericolosa bomba gonfiata ad idrogeno, dinamite e chiodi mi ha delicatamente appoggiato il tallone sull'alluce, proprio dopo che avevo liberato il destro scagliando la palla nella sacca della rete.
Ora, l'alluce, rossastro, viola e marrone, piange un liquido rosso/giallognolo viscoso e puzzolente.
con tono preoccupato "Perderò l'unghia, dottore?"
il dottore, serafico "meglio l'unghia che il treno, mona"
(di seguito: mimo della faccia della teutonica prima, durante e dopo il fatto:)

Che gol, però...

martedì 19 agosto 2008

Qualche parola per te, amico mio.

«Le scarpe da tennis bianche e blu,
seni pesanti e labbra rosse
e la giacca a vento.
Oh! Marta io ti ricordo così
il tuo sorriso e i tuoi capelli,
fermi come il lago.
"Lugano addio" cantavi,
mentre la mano mi tenevi.
"Canta con me", tu mi dicevi,
ed io cantavo
di un posto che
non avevo visto mai.
Tu, tu mi parlavi di frontiere
di finanzieri e contrabbando
mi scaldavo ai tuoi racconti,
"Eh, mio padre, sì" tu mi dicevi
"quassù in montagna ha combattuto"
Poi del mio mi domandavi.
Ed io pensavo a casa
mio padre fermo sulla spiaggia,
le reti al sole,
i pescherecci in alto mare,
conchiglie e stelle:
le bestemmie,
il suo dolore.
Oh, Marta io ti ricordo così
il tuo sorriso
e tuoi capelli,
fermi come il lago.
"Lugano addio", cantavi,
mentre la mano mi tenevi
"addio", cantavi, e non per falsa ingenuità
tu ci credevi
e adesso anch’io che sono qua.
Oh, Marta mia addio,
ti ricordo così:
il tuo sorriso,
i tuoi capelli,
fermi come il lago.»

«Ho visto torri alte e un Paradiso,
crescere sopra isole deserte,
dov'eri tu quando parlavo tanto,
ed ero solo come è una bestemmia?
Torre d'avorio e pena nella notte,
cristallizzata nella tua agonia.
Dov'eri tu vestito da scolaro,
quando dormivo senza avere sonno?
Dov'eri tu col tuo sorriso onesto?
Dov'eri tu col tuo vestito hippy?
E il tuo ospedale per amori infranti,
chiusi dentro un cassetto insieme al vino;
dov'eri tu col tuo buonumore?
Tu mi stavi ammazzando,
tu mi stavi ammazzando con amore.
E io dormivo dove era più freddo,
dentro il mio pozzo ormai senza pudore,
con il mio cuore stranamente nuovo
e mi dicevo adesso si che sto crescendo,
invece era soltanto una stazione,
certezza necessaria e sufficiente,
utile tutt'al più per affogare,
per liberarsi di un vestito stretto
ed indossarne uno un pò più largo.
Dov'eri tu che mi dicevi sempre
"Guarda che bello, come siamo pazzi"?
Dov'eri tu quando restavo zitto
ed ero ingenuo come era una bestemmia?
Dov'eri tu con la pace nel cuore?
Tu mi stavi ammazzando,
tu mi stavi ammazzando con amore.
E adesso guarda ho rotto il mio orologio
e ho costruito la mia stanza a specchi
e cullo il mio suicidio come un bimbo
che aspetta il giorno che verrà Natale
e non invidio la tua casa bianca,
dove resisterai fino a cent'anni,
per finire su un letto di granito,
con il conforto della tua coscienza,
la mani nette e il cuore di cristallo
e i cani abbaieranno a mezzavoce.
Io forse allora non sarò più niente,
solo una X nel ciclo dell'azoto,
se c'è un inferno mi potrà ascoltare.
Buonanotte fratello,
buonanotte fratello con amore.»

«È una sera che il fiore mi pesa
e le stelle mantengono i loro segreti,
più freddamente che mai.
Guardo le mie povere cose:
una foto di Angela Davis muore lentamente sul muro
e a me di lei non me ne è fregato niente, mai.
E tutte queste informazioni di Vincent
mi vanno intorno e non mi dicono perché.
E tutte queste informazioni di Vincent
girano in tondo e non mi spiegano cos'è che muore.
E stasera ho tradito gli affetti,
ho affittato i miei occhi a una banda di ladri,
vedo quel che vedono loro.
Tu conosci mica qualcuno che è disposto a chiamarmi fratello
senza avermi letto la mano.
Amore mio, voltati dall'altra parte
e fai quello che Vincent non t'avrebbe detto mai,
quello che Vince non t'insegnerebbe mai,
quello che Vince non regolerebbe mai,
quello che Vince non permetterebbe mai, stasera.
E a Parigi mi aspettano ancora,
c'è una stanza con bagno prenotata a mio nome,
la moquette sarà piena di topi.
Ieri alla televisione mi hanno detto di stare tranquillo,
non c'è nessuna ragione di aver paura.
Non c'è proprio niente che non va.»

«Lui adesso vive ad Atlantide
con un cappello pieno di ricordi;
ha la faccia di uno che ha capito
e anche un principio di tristezza in fondo all'anima.
Nasconde sotto il letto un barattolo di birra disperata
e a volte ritiene di essere un eroe.
Lui adesso vive in California, da sette anni
sotto una veranda ad aspettare le nuvole;
e' diventato un grosso suonatore di chitarra
e stravede per una donna chiamata Lisa.
Quando le dice "tu sei quella con cui vivere"
gli si forma una ruga sulla guancia sinistra;
lui adesso vive nel terzo raggio,
dove ha imparato a non fare piu' domande del tipo:
"conoscete per caso una ragazza di Roma
la cui faccia ricorda il crollo di una diga?"
Io la conobbi un giorno ed imparai il suo nome
ma mi portò lontano il vizio dell'amore.
E così pensava l'uomo di passaggio
mentre volava alto nel cielo di Napoli
"rubatele pure i soldi, rubatele anche i ricordi,
ma lasciatele per sempre la sua dolce curiosità;
ditele che l'ho perduta quando l'ho capita,
ditele che la perdono per averla tradita".»

«Bene, se mi dici che ci trovi anche dei fiori in questa storia, sono tuoi
ma è inutile cercarmi sotto il tavolo,
ormai non ci sto più;
ho preso qualche treno, qualche nave,
qualche sogno, qualche tempo fa.
Ricordi che giocavo coi tuoi occhi nella stanza, e ti chiamavo "mia",
ben oltre la coperta all'uncinetto, c'era il soffio della tua pazzia
e allora la tua faccia vietnamita ricordava tutto quel che ho.
E adesso puoi richiuderti nel bagno a commentare le mie poesie
però stai attenta a tendermi la mano,
perché il braccio non lo voglio più;
mia madre è sempre lì che si nasconde dietro i muri
e non si trova mai;
e i fiori nella vasca sono tutto quel che resta e quel che manca,
tutto quel che hai:
e puoi chiamarmi ancora "amore mio".
E qualche volta aspettami sul ponte, i miei amici sono tutti là;
con lunghe sciarpe nere ed occhi chiari, hanno scelto la semplicità.
Se Luigi si sporge verso l'acqua sono solo fatti suoi.
E ancora mille volte, mille anni, ci scommetto, mi ringrazierai:
per quel sorriso ladro e per i giochi, i mille giochi che sapevi già.
E ancora mi dirai che non vuoi essere cambiata, che ti piaci come sei.
Però non mi confondere con nienete e con nessuno, e vedrai...
niente e nessuno ti confonderà;
soltanto l'innocenza nei miei occhi - c'è nè già meno di ieri, ma che male c'è...
le navi di Pierino erano carta di giornale, eppure, vedi: sono andate via
magari dove tu volevi andare ed io non ti ho portato mai
e puoi chiamarmi ancora "amore mio".»

lunedì 11 agosto 2008

Vonnegut a Recanati


«La decima notte tolsero il piolo dal catenaccio della porta del vagone di Billy, e la porta si aprì. Billy Pilgrim era addossato al sostegno diagonale, come se si fosse crocifisso da solo, e si teneva aggrappato con la mano blu e avorio al bordo della feritoia. Quando aprirono la porta Billy tossì, e tossendo espulse dall’ano un filo di poltiglia. Questo conformemente alla terza legge del moto di sir Isaac Newton. Questa legge ci dice che per ogni azione c’è una reazione uguale e contraria.
È una nozione che può essere utile nel campo della missilistica.»


«Billy passò dal buio più totale a una luce molto viva e si ritrovò in guerra, al centro di spidocchiamento. La doccia era finita. Una mano invisibile aveva chiuso l’acqua.
Quando Billy riebbe i suoi vestiti, questi non erano più puliti di prima, ma tutti i parassiti che ci vivevano dentro erano morti. Così va la vita. E il suo cappotto nuovo adesso era sgelato e non era più rigido come prima. Era davvero troppo piccolo per Billy. Aveva un bavero di pelo e una fodera di seta cremisi, e doveva essere appartenuto a un impresario grande come la scimmietta di un suonatore d’organetto. Era pieno di fori di proiettile.»


«Rosewater era a letto con un libro, e Billy lo introdusse nella conversazione chiedendogli cosa stesse leggendo in quel momento.
Così Rosewater glielo disse. Era Il Vangelo dello spazio di Kilgore Trout. Parlava di una creatura venuta dallo spazio che somigliava molto a un tralfamadoriano, tra l’altro. La creatura venuta dallo spazio aveva studiato a fondo il cristianesimo per capire, se possibile, perché per i cristiani fosse tanto facile essere crudeli. Era arrivata alla conclusione che il guaio derivava almeno in parte dal modo trasandato in cui era scritto il Nuovo Testamento. Secondo lui, l’intento dei Vangeli era insegnare alla gente, fra le altre cose, a essere misericordiosi, anche verso i più umili.
Ma i Vangeli, in realtà, insegnavano questo:
Prima di uccidere qualcuno, accertatevi bene che non abbia relazioni importanti. Così va la vita.

La magagna nelle storie di Cristo, diceva la creatura venuta dallo spazio, era che Cristo, malgrado le apparenze, era il figlio dell’Essere Più Potente dell’Universo. I lettori lo capivano e così, quando arrivavano alla crocifissione, naturalmente pensavano (qui Rosewater rilesse ad alta voce):
Oh, accidenti... Hanno scelto proprio la persona sbagliata per il loro linciaggio, quella volta!
E questa idea aveva una sorella: “ Ci sono delle persone giuste da linciare”. Chi? Quelle che non hanno relazioni importanti. Così va la vita.

La creatura venuta dallo spazio donò alla Terra un nuovo Vangelo. In esso Gesù era veramente un uomo qualunque, e una seccatura per un sacco di gente che aveva relazioni più importanti delle sue. E diceva anche lì tutte le cose belle e imbarazzanti che diceva negli altri Vangeli.
Così un giorno la gente su divertì a inchiodarlo a una croce e a piantare la croce nel terreno. Non ci sarebbero state ripercussioni, pensavano quelli che l’avevano linciato. Anche il lettore era indotto a pensarlo, poiché il nuovo Vangelo seguitava a ripetere che Gesù era proprio un nessuno.
E poi, un momento prima che questo “nessuno” morisse, i cieli si aprirono, e mandarono tuoni e lampi. Dall’alto scese stentorea la voce di Dio. Dio disse alla gente che adottava quel barbone, dandogli i pieni poteri e i privilegi di Figlio del Creatore dell’Universo per tutta l’eternità. Ecco quello che disse: D’ora in poi Egli punirà orribilmente chiunque tormenterà un barbone senza relazioni importanti!

La fidanzata di Billy aveva finito il suo sigaro di zucchero tre Moschettieri. Ora stava sgranocchiando una Via Lattea.
“Lasciate perdere i libri” disse Rosewater, gettando sotto il letto quello che teneva in mano. “Vadano al diavolo.”
“Questo, però, sembrava interessante” disse Valencia.
“Cristo... Se solo Kilgore Trout sapesse scrivere!” esclamò Rosewater. Aveva ragione: l’impopolarità di Kilgore Trout era meritata. La sua prosa era tremenda. Soltanto le idee erano buone.»


(K. Vonnegut, "Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini")