domenica 30 marzo 2008

venerdì 28 marzo 2008

Assolutamente sì.

Vabbè, il relativismo. Che diavolo ne saprà il Vaticano.
Ho sempre sostenuto che in talune circostanze sia necessario (e non sufficiente) ragionare in termini assoluti. Io sto probabilmente meglio di un accattone di Mumbai, ma questo non significa necessariamente che io stia bene. Per lo meno: non c'è correlazione. Sono più ricco di un senzatetto, ma non sono ricco. Gioco a calcio meglio di Tacchinardi e peggio di Baggio; non sono un forte calciatore. Vi sfido a dedurre una cosa dall'altra (Tacchinardi a parte). Sono più bello di te; ma è bello ciò che piace? Suvvia, sapremo fare di meglio. Ma "meglio" non è "bene".
Si può andare a catena e allargare il discorso. Calabresi è una vittima, ma anche un maiale fascista; una cosa non esclude l'altra — che bisogno ci sarà di sentirsi forzati all'esclusione... ci sarà?
Fate un paragone (o una polemica) tra l'agilità di Giuliano Ferrara e quella di Giampiero Galeazzi, se proprio ci tenete. Tanto loro se ne staranno seduti.

Perché diavolo Platini è ingrassato così tanto?

giovedì 27 marzo 2008

I sondaggi.

I sondaggi mi pongono tra arcobaleno e critica.

La mia bicicletta è la mia bicicletta.

Magari l'hai strappata via, come il tappo metallico di una lattina, come una foglia morta. Forse, piuttosto, più probabilmente, hai allentato il serraglio, e l'hai estratta lentamente, ondeggiandola in qui e in là. Hai lasciato che uscisse piano piano, come un coniglio riluttante dal cilindro di un inesperto prestigiatore.
Quella... quella era... quella è la mia sella, testa di cazzo.
Se non fosse inutile (ma inutile per la tua mentalità povera, povero stronzo), vorrei trovare la fottuta bicicletta sulla quale l'hai installata, e con certosina pazienza farla a pezzettini con sega e tronchese.
Sono un poveraccio; guadagno 825 euro al mese, e uso quella bicicletta, la mia bicicletta, tutti i giorni. Per questioni ecologiche, etiche, di convinzione.
Maledetta merda, perché hai rubato la mia sella? Cosa ti differenzia da me? Il paparino avvocato, che io non ho? La noia?
Cosa?
Spero che domani, o un giorno a venire, quella massa di gomma espansa si polverizzi in un batter di ciglio, e che la canna metallica ti si infili ben bene nel culo. Allora mi penserai. Io ti starò già pensando.
Stronzo.

martedì 25 marzo 2008

«Ciò che interessa la maggior parte delle persone mi lascia del tutto indifferente. Comprende un elenco di cose come: balli di società, montagne russe, andare allo zoo, picnic, film, planetari, guardare la televisione, le partite di baseball; andare a funerali, matrimoni, feste, partite di pallacanestro, corse automobilistiche, letture di poesia, musei, rally, dimostrazioni, proteste, giochi da bambini, giochi da adulti... non mi interessano le spiagge, il nuoto, lo sci, il Natale, il Capodanno, il 4 Luglio, la musica rock, la storia mondiale, l’esplorazione spaziale, i cani da compagnia, il calcio, le cattedrali e le grandi opere d’Arte.
Come fa un uomo quasi senza interessi a scrivere di qualcosa, qualunque cosa sia? Be’, io ci riesco. Scrivo, e scrivo di quel che resta: di un cane randagio che scende lungo la strada, di una moglie che assassina il marito, dei pensieri e delle sensazioni di uno stupratore mentre azzanna un panino con un hamburger; della vita in fabbrica, della vita nelle strade e delle stanze dei poveri, dei mutilati e dei pazzi, di stronzate simili, scrivo moltissime stronzate così...»

«Quella sera a casa di Christoph eravamo seduti qua e là a bere, soprattutto birra. Poi una liberale dai capelli rossi, una certa Peggy, mi piaceva, a parte le sue idee politiche, ha detto che sarei comparso in tv alle 6.00. Abbiamo acceso l’apparecchio. Era un piccolo portatile, ma c’era. “Il famoso scrittore americano arriva in Germania.” Pensavano che fossi Norman Mailer. Non si rendevano conto che nel mio paese la tiratura dei miei libri era di 5000 copie per ogni volume. Quindi eccoci di nuovo. Salivo la rampa con Linda Lee per andare alla Markthall a controllare il microfono. Mi mettevano dei microfoni davanti alla faccia. Avevo i postumi di sbronza e un’aria irritata. I capelli si agitavano al vento. “No,” dicevo, “niente politica. Niente Dio. Niente di quella... Sì, mi piacciono le donne, qualche volta persino le amo, ma ciò non sempre dà la felicità... Che cosa significano i miei scritti? Be’, servono a dare delle erezioni ai preti... La Germania? Non ne so niente... Cosa? Oh, Céline mi piace, anche Knut Hamsun. Hemingway? Be’, sapeva scrivere ma non ridere... No, non ho nessuna dichiarazione speciale... Siamo venuti per andare a trovare mio zio, ha 90 anni, abita ad Andernach, dove sono nato, il 16.08.20. Siamo venuti per fare pubblicità ai miei libri, siamo venuti per farmi diventare ricco... Siamo venuti per visitare qualche castello, mi piacciono, i castelli...”
Sembrava autentico. Ma molte cose lo sembrano, come le lapidi. Poi il televisorino è passato a qualcun altro con un tremolio.»

«Mentre mi avvicinavo al palco la folla ha cominciato a riconoscermi. “Bukowski! Bukowski!” Stavo cominciado a credere di essere Bukowski. Dovevo farlo. Quando ho messo piede sulle assi mi sono sentito percorrere da qualcosa. La paura se n’è andata. Mi sono seduto, ho allungato una mano nel secchiello e ho stappato una bottiglia di quel buon vino bianco tedesco. Ho acceso un bidi. Ho assaggiato il vino, ho tirato fuori dalla borsa le poesie e i libri. Ero calmo, finalmente. L’avevo fatto 80 volte, prima di quella. Andava tutto bene. Ho trovato il microfono.
“Salve,” ho detto, “è bello essere di nuovo qui.”
Mi ci erano voluti 54 anni.
Un ragazzo tedesco, magro come un chiodo, è corso fino al palco e ha gridato: “Bukowski, carogna di un grassone, maiale, vecchio porco, ti odio!”
Quelle cose mi aiutavano sempre a rilassarmi. Toglievano la santità alla poesia. In America ce n’erano molti, come quell’allampanato giovanotto tedesco.
Ho bevuto un altro bicchiere di vino e l’ho guardato mentre continuava a gridare contro di me. Ho sempre detto che quando arrivi a farti odiare sai che stai facendo bene il tuo lavoro.
Ho guardato quell’enorme folla e pensando a ripararmi il culo ho chiesto: “Qualcuno mi dice dov’è l’uscita di sicurezza più vicina, se per caso scoppia un incendio?”»

(C. Bukowski, "Shakespeare non l'ha mai fatto", trad. L. Schenoni)

lunedì 24 marzo 2008

On the beach

«The world is turnin',
I hope it don't turn away,
The world is turnin',
I hope it don't turn away.
All my pictures are fallin'
from the wall where
I placed them yesterday.
The world is turnin',
I hope it don't turn away.

I need a crowd of people,
but I can't face them
day to day,
I need a crowd of people,
but I can't face them
day to day.
Though my problems
are meaningless,
that don't make them
go away.
I need a crowd of people,
but I can't face them
day to day.

I went to the radio interview,
but I ended up alone
at the microphone,
I went to the radio interview,
but I ended up alone
at the microphone.
Now I'm livin'
out here on the beach,
but those seagulls are
still out of reach.
I went to the radio interview,
but I ended up alone
at the microphone.

Get out of town,
think I'll get out of town,
Get out of town,
think I'll get out of town.
I head for the sticks
with my bus and friends,
I follow the road,
though I don't know
where it ends.
Get out of town, get out of town,
think I'll get out of town.

'Cause the world is turnin',
I don't want to
see it turn away.»

(Neil Young, "On the beach", 1974)

mercoledì 19 marzo 2008

Piano B.

Essere Bukowski.



martedì 18 marzo 2008

Lost souls.

«Well, the clock says it's time to close now,
I guess I'd better go now,
I'd really like to stay here all night.

The cars crawl past all stuffed with eyes,
Street lights share their hollow glow,
Your brain seems bruised with numb surprise,
Still one place to go,
Still one place to go.

Let me sleep all night in your soul kitchen,
Warm my mind near your gentle stove.
Turn me out and I'll wander baby,
Stumblin' in the neon groves.

Well, your fingers weave quick minarets
Speak in secret alphabets
I light another cigarette,
Learn to forget, learn to forget,
Learn to forget, learn to forget.

Let me sleep all night in your soul kitchen,
Warm my mind near your gentle stove.
Turn me out and I'll wander baby,
Stumblin' in the neon groves.
Oh, yeah…

Well, the clock says it's time to close now,
I know I have to go now,
I really want to stay here
All night, all night, all night.»

lunedì 17 marzo 2008

Herzog - 3

Almanacco: correva l'anno... dove correva, l'anno?
Con i santi Patrizio e Plebeo, io passo il tempo ferito a scrivere per me stesso piccole liste voraci. "Mi piace", "Non mi piace", "Mi fa arrabbiare", "Mi intenerisce", "Vorrei condividere".
Mi parlo addosso. (Come Walter nel Big Lebowski — o proprio come Moses Herzog.) Forse diventerò ebreo?
Dove diavolo sono (arrivato)? Cos'è questo coniglietto bianco, da dove salta fuori? Come diavolo sono (diventato)? Il diavolo a quattro che fa le pentole ma non i coperchi? Il diavolo A4 è solo un disegno, mica un'automobile.
Ecco, il punto è che non c'è punto, e nemmeno una linea. La linea è stata oltrepassata.
I messaggi si sono persi, perché erano in bottiglie troppo grandi, o in mari di parole troppo asciutte.

Ho perso il filo, ma tanto il filo era solo una lama.
Nel frattempo, per non perdere (il) tempo, la bussola mi si è frantumata in tasca, e io vorrei proprio cavarmela (di tasca?), ma non conosco abbastanza bene il sole; so solo aspettarlo. Aspettare. Aspettare un momento.
Mi bagno i piedi e lascio che la marea della clessidra mi risucchi. Non ho mai imparato a nuotare.



«...Don't ya love her as she's walkin' out the door
Like she did one thousand times before...»

John Barleycorn (must die)

«There were three men came out of the west
Their fortunes for to try,
And these three men made a solemn vow
John Barleycorn must die.

They've ploughed, they've sown, they've harrowed him in
Threw clods upon his head,
And these three men made a solemn vow
John Barleycorn was dead.

They let him lie for a very long time
Till the rains from Heaven did fall,
And little Sir John sprung up his head
And so amazed them all.

They've let him stand till Midsummer's day,
Till he looked both pale and wan.
And little Sir John's grown a long, long beard
And so become a man.

They've hired men with the scythes so sharp,
To cut him off at the knee,
They've rolled him and tied him by the waist,
Serving him most barbarously.

They've hired men with the sharp pitchforks,
Who pricked him through the heart
And the loader, he has served him worse than that,
For he's bound him to the cart.

They've wheeled him around and around a field,
Till they came unto a barn,
And there they made a solemn oath
On poor John Barleycorn.

They've hired men with the crab-tree sticks,
To cut him skin from bone,
And the miller, he has served him worse than that,
For he's ground him between two stones.

And little Sir John and the nut brown bowl
And his brandy in the glass
And little Sir John and the nut brown bowl
Proved the strongest man at last.

The huntsman, he can't hunt the fox
Nor so loudly to blow his horn,
And the tinker, he can't mend kettle nor pots
without a little barley corn.»

http://www.musicaememoria.com/JohnBarleycorn2.htm

venerdì 14 marzo 2008

Fra volontà e capacità


«Whenever I get to feel this way,
try to find new words to say,
I think about the bad old days
we used to know.

Nights of winter turn me cold -
fears of dying, getting old.
We ran the race and the race was won
by running slowly.

Could be soon we'll cease to sound,
slowly upstairs, faster down.
Then to revisit stony grounds,
we used to know.

Remembering mornings, shillings spent,
made no sense to leave the bed.
The bad old days they came and went
giving way to fruitful years.

Saving up the birds in hand
while in the bush the others land.
Take what we can before the man
says it's time to go.

Each to his own way I'll go mine.
Best of luck with what you find.
But for your own sake remember times
we used to know.»

giovedì 13 marzo 2008

«Grazie!»
«Prego.»

Una lunga strada

«Ridin' down the highway
Goin' to a show
Stop in all the byways
Playin' rock 'n' roll
Gettin' robbed
Gettin' stoned
Gettin' beat up
Broken boned
Gettin' had
Gettin' took
I tell you folks
It's harder than it looks

It's a long way to the top if you wanna rock 'n' roll
It's a long way to the top if you wanna rock 'n' roll
If you think it's easy doin' one night stands
Try playin' in a rock roll band
It's a long way to the top if you wanna rock 'n' roll

Hotel motel
Make you wanna cry
Lady do the hard sell
Know the reason why
Gettin' old
Gettin' grey
Gettin' ripped off
Under-paid
Gettin' sold
Second hand
That's how it goes
Playin' in a band

It's a long way to the top if you wanna rock 'n' roll
It's a long way to the top if you wanna rock 'n' roll
If you wanna be a star of stage and screen
Look out it's rough and mean

It's a long way to the top if you wanna rock 'n' roll
It's a long way to the top if you wanna rock 'n' roll
It's a long way to the top if you wanna rock 'n' roll
It's a long way to the top if you wanna rock 'n' roll

Well it's a long way
It's a long way, you should've told me
It's a long way, such a long way»

martedì 11 marzo 2008

Dottor Professor Truffatore Imbroglione

«Daltonici, presbiti, mendicanti di vista
il mercante di luce, il vostro oculista,
ora vuole soltanto clienti speciali
che non sanno che farne di occhi normali.

Non più ottico ma spacciatore di lenti
per improvvisare occhi contenti,
perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.
Seguite con me questi occhi sognare,
fuggire dall'orbita e non voler ritornare.

Vedo che salgo a rubare il sole
per non aver più notti,
perché non cada in reti di tramonto,
l'ho chiuso nei miei occhi,
e chi avrà freddo
lungo il mio sguardo si dovrà scaldare.

Vedo i fiumi dentro le mie vene,
cercano il loro mare,
rompono gli argini,
trovano cieli da fotografare.
Sangue che scorre senza fantasia
porta tumori di malinconia.

Vedo gendarmi pascolare
donne chine sulla rugiada,
rosse le lingue al polline dei fiori
ma dov'è l'ape regina?
Forse è volata ai nidi dell'aurora,
forse volata, forse più non vola.

Vedo gli amici ancora sulla strada,
loro non hanno fretta,
rubano ancora al sonno l'allegria
all'alba un po' di notte:
e poi la luce, luce che trasforma
il mondo in un giocattolo.

Faremo gli occhiali così!
Faremo gli occhiali così!»

lunedì 10 marzo 2008

Nostalgia di giullari

L'Ing. F. è il pagliaccio della sua miserabile corte decaduta. Chi fa ridere?

domenica 9 marzo 2008

«Non starò più a cercare parole che non trovo
per dirti cose vecchie con il vestito nuovo,
per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo vivendo sui ricordi, giocando coi miei giorni,
col tempo.
O forse vuoi che dica che ho i capelli più corti
o che per le mie navi son quasi chiusi i porti;
io parlo sempre tanto, ma non ho ancora fedi,
non voglio menar vanto di me o della mia vita
costretta come dita dei piedi.
Queste cose le sai perché siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno dei medesimi mali,
perché siam tutti soli ed è nostro destino
tentare goffi voli d'azione o di parola,
volando come vola il tacchino.
Non posso farci niente e tu puoi fare meno,
sono vecchio d' orgoglio, mi commuove il tuo seno
e di questa parola io quasi mi vergogno,
ma c'è una vita sola, non ne sprechiamo niente
in tributi alla gente o al sogno.
Le sere sono uguali, ma ogni sera è diversa,
e quasi non ti accorgi dell' energia dispersa
a ricercare i visi che ti han dimenticato
vestendo abiti lisi, buoni ad ogni evenienza, inseguendo la scienza
o il peccato.
Tutto questo lo sai, e sai dove comincia
la grazia, o il tedio a morte, del vivere in provincia
perché siam tutti uguali, siamo cattivi e buoni
e abbiam gli stessi mali, siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri... coglioni.
Ma dove te ne andrai? Ma dove sei già andata?
Ti dono, se vorrai, questa noia già usata:
tienila in mia memoria, ma non è un capitale,
ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto, che la noia di un altro
non vale.
D'altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa, pago le mie illusioni,
fingo d'aver capito che vivere è incontrarsi,
aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare... grattarsi.»

sabato 8 marzo 2008

E allora io provoco.

«Tu, cinque giorni di tristezza e poi corri incontro alla vita.
Tu, - io? - col tuo paracadute, ti getti in volo e vai - azzo vuoi? -: atterri nel giardino di casa, poi ti muovi sicura e fresca come in un mattino di primavera.
Nella tua cameretta c'è un signore che aziona la pressa suoi tuoi piccoli amici di ovatta che invocano aiuto, ma lui te li ruba e va via. Tu piangi e insegui i tuoi morbidi teneri, fradici tappi per la figa pelosa.
E da oggi, i tuoi tappi per la figa pelosa li trovi anche nella confezione magnum da ottanta pezzi; i suoi bei sigaroni morbidoni.
Ma vorrei farti una domanda: ti sei accorta che io sono un ometto? E vorrei fartene un'altra: hai le mestruazioni?
Shh. Dormi ora. È tutto finito.
Protagonista del tuo tempo, protagonista della tua sessualità.
Essere donna oggi, vivere il prodigio del tuo ciclo mensile ostentando sicumera. 
Essere donna oggi, aspirare al ruolo che la storia ti deve: quello di simpatica, paciosa, imprevedibile nocchiero di un veliero proiettato verso il mare del duemila al grido di "Cazzo, subito!". 
Essere donna oggi, non più cagafigli, bensì dolce e caparbia cagatrice dei tuoi figli. Come Loretta Goggi nella Freccia Nera, o in Maledetta Primavera mente autonoma. 
Donna, roccaforte quando il flusso è più copioso, sbarazzina quando è il caso o marangona di un clitoride mai domo, al grido di "Hah ggh aaaa ssìììì".
Ma vorrei farti una domanda: ti sei accorta che io sono un ometto? E vorrei fartene un'altra: hai le mestruazioni?
Protagonista del tuo tempo, protagonista della tua sessualità. 
Protagonista del tuo tempo, protagonista della tua sessualità. 
Piccole donne, grandi labbra; piccolo uomo grandi labbra apprezzerà.
Probabilmente non mi accoppio, ma le tue trombe di Falloppio suonerò. Protagonista del tuo würstel di cotone.»

Di una parità solo sulla carta ce ne facciamo un cazzo.

venerdì 7 marzo 2008

Aborti spontanei.

«Mani in alto, ferma o sparo. Già che c’è, signora, si copra anche le vergogne, altrimenti queste immagini non potranno andare in televisione, e allora sai che ce ne facciamo di lei, del marmocchio e del dottore. Come dice? Non capisco. L’ha usato lei quel cucchiaio? Ah, non è un cucchiaio? Non passano più da mangiare, in ospedale? Peggio che in prigione. Tanto vale che ritorniate alla clandestinità, per fare queste porcherie: l’unica differenza è il materasso. Come dice? Non sento bene. Questo straccetto è suo? Come? Ah, non è uno straccetto. Ah, è il marmocchio. Pardon, il feto. Mi pare che si stia muovendo. Impossibile? Questo lo dice lei, signora. Va’ beh, il fetocchio lo prendiamo noi. Ed anche questi cioccolatini. Mani in alto, signora, ferma o sparo! Mi scusi, ogni tanto mi agito; sa, non è facile portare questa uniforme. Trova che mi stia bene?
Chissà che espressione ha indossato la signora S. quando la polizia l’ha interrogata, dopo aver sequestrato una cartella clinica ed un feto che era morto già prima di essere rimosso dal tepore dell’utero.
A me pare che qualcuno, in Italia, si sia ormai abituato a parlare d’aborto in termini che vanno ben al di là dell’atto in sé. In tali termini, la donna incinta diviene un mezzo (nel senso di medium), una specie di buco nero (potenzialmente) procreatore guidato da (potenziali) feroci istinti (abortisti). Quasi un essere inanimato, che non ha tempo per il dolore, che non conosce sentimenti. Trovo tutto questo per lo meno poco lusinghiero verso la categoria.
Dal canto mio, spesso mi sono domandato in quale istante inizi la vita. Se davvero sia una mera questione biologica, o se, piuttosto, la data zero coincida con l’inizio dell’educazione (in senso lato). L’intera natura, insomma, è viva: cosa distingue l’essere umano dal resto? La forma e il colore? O la cultura? Cos’è esistere senza esperire?
E l’esperienza della sofferenza, quanto è opportuna? Costringere un bambino, poi (forse) uomo, alla vegetazione (non boschiva), o al disagio, è amore? È rispetto del “diritto alla vita”? E prima ancora: cosa si intende per “vita”?
La nostra Società non è in grado, secondo me, di rispettarsi, e di rispettare. Dove inizia e dove finisce il suo diritto d’opinione sull’esistenza?
Mani in alto, signora, ferma o sparo!»

giovedì 6 marzo 2008

Lacrime di profilo


Amico mio, ti regalo contorni bohémien, e ti penso con un foulard intorno al collo, sotto la barba, bere vino rosso bordeaux e scrivere sul tuo taccuino, sorridendo all’ammiccamento e alle risate di ragazze francesi.

«ma come ti dicevo, io sono a Parigi, qui è apprezzato ubriacarsi, scrivere sulle moleskine, importunare le ragazze»
«Qui è difficile, talvolta. Talvolta molto bello. Non abbiamo equilibrio alcuno, amico mio. Altro che funamboli, siamo già sotto il filo.»
«ma, dissento: il filo è sopra la nostra testa, e noi cerchiamo di camminarci dritti sotto, nell'aria. Ubriachi»

Usando le mani come piedi.
Ce ne restiamo qui, a ripetere fra noi e noi, malinconicamente, quanto siamo decadenti. A sfogliarci, perdendo il conto delle pagine. Svuotando la nostra distrazione, rovesciandola sulla strada come un secchio d’acqua. Ballando mollemente il nostro Mardi Gras, la sua lascivia.
Può bastare un palloncino per volare via?

Numero due

«E un'altra volta è notte e suono,
non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo
e voglio in questo modo dire "sono"
o forse perché è un modo pure questo per non andare a letto
o forse perché ancora c'è da bere
e mi riempio il bicchiere..

E l'eco si è smorzato appena
delle risate fatte con gli amici, dei brindisi felici
in cui ciascuno chiude la sua pena,
in cui ciascuno non è come adesso da solo con sé stesso
a dir "Dove ho mancato, dov'è stato?",
a dir "Dove ho sbagliato?"

Eppure fa piacere a sera
andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie,
e due canzoni fatte alla leggera
in cui gridando celi il desiderio che sian presi sul serio
il fatto che sei triste o che t'annoi
e tutti i dubbi tuoi.

Ma i moralisti han chiuso i bar
e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori:
è bello ritornar "normalità",
è facile tornare con le tante stanche pecore bianche.
Scusate, non mi lego a questa schiera:
morrò pecora nera.

Saranno cose già sentite
o scritte sopra un metro un po' stantìo, ma intanto questo è mio
e poi, voi queste cose non le dite,
poi certo per chi non è abituato pensare è sconsigliato,
poi è bene essere un poco diffidente
per chi è un po' differente.

Ma adesso avete voi il potere,
adesso avete voi supremazia, diritto e Polizia,
gli dei, i comandamenti ed il dovere,
purtroppo, non so come, siete in tanti e molti qui davanti
ignorano quel tarlo mai sincero
che chiamano "Pensiero".

Però non siate preoccupati,
noi siamo gente che finisce male: galera od ospedale.
Gli anarchici li han sempre bastonati
e il libertario è sempre controllato dal clero, dallo Stato:
non scampa, fra chi veste da parata,
chi veste una risata.

O forse non è qui il problema
e ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi
e ognuno costruisce il suo sistema
di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali,
scordando che poi infine tutti avremo
due metri di terreno.

E un'altra volta è notte e suono,
non so nemmeno io per che motivo, forse perchè son vivo
o forse per sentirmi meno solo
o forse perchè a notte vivon strani fantasmi e sogni vani
che danno quell'ipocondria ben nota,
poi... la bottiglia è vuota.»

mercoledì 5 marzo 2008

Non è facile — 2

«Nothing is easy.
Though time gets you worrying
my friend, it's o.k.
Just take your life easy
and stop all that hurrying,
be happy my way.

When tension starts mounting
and you've lost count
of the pennies you've missed,
just try hard and see why they're not worrying me,
they're last on my list.
Nothing's easy.

Nothing is easy, you'll find
that the squeeze won't turn out so bad.
Your fingers may freeze, worse things happen at sea,
there's good times to be had.
So if you're alone and you're down to the bone,
just give us a play.
You'll smile in a while and discover
that I'll get you happy my way -
nothing's easy.»

("Nothing is easy", Jethro Tull, "Stand up", 1969)

lunedì 3 marzo 2008

Non è facile.

«Took a sad song of one sweet evening
I smiled and quickly turned away.
It's not easy singing sad songs
but still the easiest way I have to say.
So when you look into the sun
and see the things we haven't done -
oh was it better then to run
than to spend the summer crying.
Now summer cannot come anyway.

I had waited for time to change her.
The only change that came was over me.
She pretended not to want love -
I hope she was only fooling me.
So when you look into the sun
look for the pleasures nearly won.
Or was it better then to run
than to spend the summer singing.
And summer could have come in a day.

So if you hear my sad song singing
remember who and what you nearly had.
It's not easy singing sad songs
when you can sing the song to make me glad.
So when you look into the sun
and see the words you could have sung:
It's not too late, only begun,
we can still make summer.
Yes, summer always comes anyway.

So when you look into the sun
and see the words you could have sung:
It's not too late, only begun.
Look into the sun.»

("Look into the sun", Jethro Tull, "Stand up", 1969)

Le sere sono uguali, ogni sera è diversa...

Seduti al tavolino all'aperto (!) di un bar, la nostra attenzione è stata catturata da uno strano gruppo di persone: due ragazze, all'apparenza straniere, che si muovevano in coppia per la piazza — l'una mora e bassa, l'altra bionda e più alta, e quasi deforme nella sua larghezza anormale; due signore di mezza età, con i capelli tinti d'un giallo innaturale e l'inglese come sola lingua; un ragazzo con troppo gel sui capelli ed una ragazza mora, un po' in carne, che pareva essere l'interprete e il mangiafuoco.
Sono rimasti intorno al bar, al nostro tavolino; due di loro, una delle donne gialle ed il ragazzo di sol gel, hanno bevuto un cocktail colorato. Poi se ne sono andati via, tutti insieme, ringraziando; una delle due signore ha stentato un italiano "grazie mille", o qualcosa del genere.
Più tardi, tornando a casa in bicicletta, ho incontrato di nuovo mangiafuoco. Trento è una città piccola, noi siamo veloci. Ci siamo guardati; io sono tornato a casa.

domenica 2 marzo 2008

La tua strada è molto lunga, forse non la seguirò

«In fondo non importa che i tuoi santi siano molti
e che molti con un soffio spegneranno la candela.
In fondo tu già sai che domani è un giorno lungo
e che un altro verrà a dirti di amare i tuoi pensieri;
e tu lo seguirai come fosse uno sparviero
pauroso nell'orgoglio della sua fragilità.
E tu stringi intorno ai fianchi il tuo filo di aquilone;
la tua strada è molto lunga, forse non la seguirò.
Ed io vedo sulla porta i tuoi capelli troppo fini;
la tua strada è molto vecchia, forse non la seguirò.
Tu cammini accanto all'onda, so che andrai così lontano
e un bambino senza volto si innamorerà di te.
E ci sono molte pietre sul cammino di Maria;
e sei tu che le raccogli e le porti oltre la sponda.
E tu dici a chi ti incontra che la notte è molto fredda
e se lui ti sfiora il braccio tu sorridi e te ne vai.
E lui chiama per sapere il tuo nome la tua storia
e tu dici: "non importa, ma se vuoi ti sposerò";
e lui è solo un disertore, lui è solo un fuggitivo,
il suo corpo è una bandiera, il suo corpo è una canzone.
E tu stringi intorno ai fianchi il tuo filo di aquilone
e lui fuma il tuo ricordo e non seguirà il tuo treno.
E gli dai una vecchia copia di un romanzo di Dellì
e richiudi la sua porta; il suo oroscopo è scaduto.»

(F. De Gregori, "Le strade di lei", Alice non lo sa, 1973)

sabato 1 marzo 2008

Bologna-Cesena 2-1


Di nuovo in testa, merda!

Fuori!

Bentornata a casa, piccola...