venerdì 29 febbraio 2008

Heart of the sunrise



«Love comes to you and you follow
Lose one on to the Heart of the Sunrise
SHARP-DISTANCE
How can the wind with its arms all around me

Lost on a wave and then after
Dream on on to the Heart of the Sunrise
SHARP-DISTANCE
How can the wind with so many around me
Lost in the city

Lost in their eyes as you hurry by
Counting their broken ties they decide
Love comes to you and then after
Dream on on to the Heart of the Sunrise
Lost on a wave but you're dreaming
Dream on on to the Heart of the Sunrise
SHARP-DISTANCE
How can the wind with its arms all around me
SHARP-DISTANCE
How can the wind with so many around me
I feel lost in the city

Lost in their eyes as you hurry by
Counting their broken ties they decided

Straight light moving and removing
SHARPNESS of the colour sun shine
Straight light searching all the meanings of the song
Long last treatment of the telling that
Relates to all the words sung
Dreamer easy in the chair that really fits you

Love comes to you and then after
Dream on on to the Heart of the Sunrise
SHARP-DISTANCE
How can the sun with its arms all around me
SHARP-DISTANCE
How can the wind with so many around me
I feel lost in the city»

(Yes, "Fragile", 1972)

giovedì 28 febbraio 2008

Vedi che luna?

Ululo alla luna. Tanto, questa sera il cielo è una nuvola — cosa volete che mi faccia quella palla pallida?

mercoledì 27 febbraio 2008

Sospiri e rutti, vecchio mio.


(H. Pratt, "Una ballata del mare salato")

martedì 26 febbraio 2008

Tutto fa brodo.

«A primavera inoltrata Herzog si era sentito sopraffatto dal bisogno di spiegare, di mettere in chiaro, di giustificare, di collocare in prospettiva, di fare ammenda.
A quell’epoca insegnava agli adulti di una scuola serale a New York. Per tutto aprile era stato ancora abbastanza lucido, ma a fine maggio aveva cominciato a vaneggiare. Gli studenti capirono presto che non avrebbero mai imparato molto da lui sulle “Origini del romanticismo”, ma che c’erano invece da vedere e sentire cose strane. I formalismi accademici caddero uno dopo l’altro. Il professor Herzog aveva la inconsapevole franchezza di un uomo profondamente preoccupato. E verso la fine del corso, nelle sue lezioni si produssero lunghe pause. Si fermava, borbottando “scusatemi”, cercando la penna nella tasca interna della giacca. Sul tavolo che cigolava, scribacchiava dei foglietti con mano sospinta da un’urgenza imperiosa; era distratto, aveva gli occhi cerchiati. Il pallore del suo viso diceva tutto — tutto. Ragionava, discuteva, soffriva, gli era venuta in mente un’idea nuova, brillante — l’orizzonte gli si apriva, si richiudeva; i suoi occhi, la sua bocca, dicevano davvero tutto, senza bisogno di parole: aspirazioni, desideri, pregiudizi, amare collere. Vi si poteva leggere proprio tutto. La classe aspettava quattro o cinque minuti nel silenzio più profondo.
Dapprincipio, gli appunti che prendeva non seguivano nessun ordine. Erano frammenti — mezze parole senza senso, esclamazioni, proverbi e citazioni aggrovigliate o, nello yiddish di sua madre morta da tanto tempo, Trepverter — tardive repliche di uno che già sta ruzzolando per le scale.
Scriveva, per esempio: Morte — morire — rivivere — tornare a morire — vivere.
Senza persona, niente morte.

E: Sulle ginocchia della tua anima? Tanto vale rendersi utili. Frega il pavimento.
E ancora: Rispondi allo stolto come si conviene alla sua follia, ché talora non gli paia di essere savio.
Non rispondere allo stolto secondo la sua follia, ché talora anche tu non gli sia uguale.
Sceglierne uno.

Annotò anche: Leggo, in Walter Winchell, che J.S. Bach si metteva i guanti neri per comporre una messa da requiem.
Herzog non sapeva bene che cosa pensare di quegli scarabocchi. Si abbandonava all’eccitazione che li dettava, e sospettava, talora, che fossero un sintomo di disgregazione. Non che la cosa lo spaventasse. Sdraiato sul sofà del monolocale più servizi che aveva preso in affitto nella 17esima Strada, qualche volta si immaginava di essere un’industria per la produzione di racconti autobiografici, e si ripassava in rassegna completamente, dalla nascita alla morte. Su un foglietto arrivò ad ammettere:
Non trovo giustificazione.
Riconsiderando la propria intera esistenza, s’accorse di aver sbagliato tutto — tutto. La sua era una vita — come si suol dire, rovinata. Ma siccome neppure agli inizi era stata un gran che, perché prendersela? Riandando, su quel sofà puzzolente, ai secoli del passato, all’ottocento, al cinquecento, al settecento, si sovvenne di un detto settecentesco che gli piaceva:
Il dolore, o Signore, è una sorta di ozio.
Continuò a tirare le somme, bocconi sul sofà. Era un furbo o un idiota? Be’, in quel momento non poteva certo sostenere di essere furbo. Un tempo, forse, aveva avuto la stoffa di un furbacchione: invece aveva deciso di fare il sognatore e i più svelti di lui se l’erano mangiato vivo. E poi, cosa? Gli cadevano i capelli. Leggeva la pubblicità della ditta Thomas, specialista del cuoio capelluto, con l’esagerato scetticismo di chi ha una profonda, disperata voglia di crederci. Specialisti del cuoio capelluto! Eh già... era un ex bell’uomo. La sua faccia denunciava le batoste ricevute. Ma quelle batoste se le era volute lui, anzi aveva persino dato una mano ai suoi aggressori. Da quelle riflessioni fu portato a fare un’analisi del proprio carattere. Che tipo era? Be’, per dirla con una definizione moderna, era un narcisista; un masochista; e anacronistico. Il suo era il quadro clinico del depressivo — non grave: non maniaco depressivo. Ce n’erano di conciati peggio, in giro. A dover dar retta a quelli che credono, e al giorno d’oggi pare convinzione generale, che l’uomo è l’animale ammalato, allora lui cos’era? vistosissimamente malato, smisuratamente cieco, straordinariamente degenerato? No. Era intelligente? Il suo intelletto avrebbe certo reso di più, se egli avesse potuto avere un carattere paranoide aggressivo, avido di potere. Era invidioso, ma non eccezionalmente competitivo, non era un vero paranoide. E la sua cultura? A questo punto era costretto a ammettere di non essere una gran cima, nemmeno come professore. Oh, certo era onesto e volenteroso, era dotato di generosità sincera, anche se un po’ immatura, ma sistematico probabilmente non sarebbe riuscito a diventarlo mai. L’esordio era stato brillante, con una bella tesi su “Lo stato di natura nella filosofia politica inglese e francese del seicento e settecento”. Vantava al suo attivo numerosi articoli, un libro, Romanticismo e cristianesimo, ma gli altri progetti ambiziosi si erano, uno alla volta, rinsecchiti tutti. In virtù di quei primi successi non aveva mai incontrato difficoltà per avere una cattedra o per vincere una borsa di studio. La Naragansett Corporation gli aveva versato, durante un certo numero di anni, quindicimila dollari perché continuasse i suoi studi sul romanticismo. I risultati stavano dentro un armadio, chiusi in una vecchia valigia: ottocento pagine di discorsi caotici che non avevano mai trovato il modo di venire a fuoco. Se ci pensava, gli veniva la rabbia.
Accanto a lui, sul pavimento, giacevano dei pezzi di carta, e di tanto in tanto si inchinava a scribacchiare qualcosa.
Ora annotò: Non una lunga malattia è stata la mia vita; la mia vita è stata piuttosto una lunga convalescenza: Ripensamento dei principi liberal-borghesi, illusione di migliorare, veleno della speranza.
Si ricordò per un attimo di Mitridate, il cui organismo aveva imparato a prosperare col veleno. Trasse in inganno i propri assassini, che fecero l’errore di propinargliene a piccole dosi, e così, invece di distruggerlo, lo insaporirono.
Tutto fa brodo.»

(S. Bellow, “Herzog”, trad. L. Ciotti Miller)

lunedì 25 febbraio 2008

Fette e topi.

«Se sono matto, per me va benissimo, pensò Moses Herzog. C’era della gente che pensava che fosse toccato, e per qualche tempo persino lui l’aveva dubitato. Ma adesso, benché continuasse a comportarsi in maniera un po’ stramba, si sentiva pieno di fiducia, allegro, lucido e forte. Gli pareva d’essere stregato, e scriveva lettere alla gente più impensata. Era talmente infatuato da quella corrispondenza, che dalla fine di giugno, dovunque andasse, si trascinava dietro una valigia piena di carte. Se l’era portata, quella valigia, da New York a Martha’s Vineyard. Ma da Martha’s Vineyard era riscappato indietro subito; due giorni dopo aveva preso l’aereo per Chicago, e da Chicago era filato in un paesino del Massachusetts occidentale. Lì, nascosto in mezzo alla campagna, scriveva a più non posso, freneticamente, ai giornali, agli uomini pubblici, ad amici e parenti e finì per scrivere pure ai morti, prima ai suoi morti e poi anche ai morti famosi.
Era estate alta nelle Berkshires. Herzog viveva da solo nella casa grande e antica. Lui che di solito era così schizzinoso per il cibo, ora mangiava pan carré in cellophane, fagioli in scatola e formaggini. Ogni tanto coglieva dei lamponi nel giardino invaso dalle erbacce, scostando gli spinosi arboscelli con distratta cautela; quanto al dormire, dormiva sul materasso, senza lenzuola — sull’abbandonato letto matrimoniale — o nell’amaca coprendosi solo con il cappotto. Alte canne di yucca, alberelli d’acero e carrubi lo assediavano d’ogni parte, in giardino. Di notte, se apriva gli occhi, le stelle erano vicinissime, simili a corpi spirituali. Fuochi, certo; gas — minerali, calore, atomi — ma alle cinque del mattino, per un uomo che giace in un ‘amaca avvolto nel proprio cappotto, cose piene d’eloquenza.
Quando un pensiero nuovo gli assaliva il cuore correva in cucina, suo quartier generale, e ne prendeva nota. Dalle pareti l’intonaco si scrostava e ogni tanto Herzog, con la manica, era costretto a pulire dal tavolo le caccole dei topi, chiedendosi, tranquillamente, perché mai ai topi di campagna piacessero la cera e la paraffina. Perforavano la paraffina che ricopriva le conserve; rosicchiavano le candeline per la torta di compleanno, fino allo stoppino. Un ratto si era mangiucchiato un pan carré, lasciando dentro ogni fetta la forma del proprio corpo. Era anche capace di fare a mezzo coi topi.
E tuttavia un cantuccio della sua mente restava ancora aperto al mondo esterno. La mattina udiva i corvi. Quei loro gridi rauchi, lui li trovava deliziosi. Sull’imbrunire sentiva i tordi. Di notte c’era una civetta. Quando camminava per il giardino, innervosito da una lettera che gli ronzava per la mente, vedeva le rose attorcigliarsi intorno alla grondaia; o le more dei gelsi — e sul gelso ingozzarsi gli uccelli. Le giornate erano calde, le sere rosse e polverose. Guardava ogni cosa con ingordigia, eppure gli pareva d’essere mezzo cieco.
Il suo amico, anzi il suo ex amico Valentine, e sua moglie, la sua ex moglie Madeleine, avevano messo in giro la voce che avesse smarrito la ragione. Che fosse vero?
Nel fare un giro intorno alla casa deserta, vide il proprio viso riflesso nel vetro grigio e velato di ragnatele di una finestra. Aveva un’aria stranamente riposata. Un raggio gli partiva dal centro della fronte, percorreva il naso diritto e scendeva sulle labbra carnose, mute.»

(S. Bellow, “Herzog”, trad. L. Ciotti Miller)

Perché il partito ti può garantire...

«E mentre tu continui ad invecchiare
con i giovani di oggi che non riesci più a capire,
che se ne fregano persino del tuo impegno sindacale
e cantano "Dio salvi la regina, fascista e borghese".
E mentre tu continui ad invecchiare
tua figlia sta con quell'idiota che non puoi vedere
lei dice che sei prevenuto e che non vuoi capire
e forse avrà ragione lei, chi lo potrà mai dire...
Ma intanto tu continui ad invecchiare
sempre convinto che gli anni migliori debbano ancora venire
e che le leggi sopra il concordato si possono abrogare
e intanto Marta è andata ad iscrivere la bambina dalle Orsoline.

E mentre tu continui ad invecchiare lentamente
il mondo gira sempre più veloce e non si può fermare
sei tu che devi accelerare, amico, lui non ti può aspettare
e questo, purtroppo, signori, è uno dei piccoli difetti dell'industrializzazione
E intanto tu continui ad invecchiare cordialmente,
sì, cordialmente,
con la pacca sulle spalle del tuo bravo direttore
che la pensa esattamente come te sopra i problemi di politica generale
c'è solo un piccolo accento diverso per quello che riguarda
la gravità del problema della disoccupazione: suo figlio ha un
impiego statale e il tuo non trova da lavorare

Ma tu continua pure ad invecchiare, convinto, sì, convinto,
convinto che il partito è l'unica soluzione.
Ma che rivoluzione e rivoluzione!
È ormai banale, quella,
la lotta oggi va condotta col partito all'interno delle strutture
perché il partito ti può aiutare
perché il partito ti può garantire
perché il partito è una conquista sociale
perché il partito è un'istituzione
ma che rivoluzione e rivoluzione, riforme ci vogliono, riforme
sanitarie, agrarie, tributarie, fiscale, sociale
Ambarabaciccicoccò tre civette sul comò
che facevano l'amore con la gatta del dottore tre partiti sul comò
che facevano l'amore con l'abc del professore
coro: SCEMO, SCEMO, SCEMO...»

(V. Rossi, "Ambarabaciccicoccò", 1978)

Vero pericolo.

«So come difendermi. In caso di pericolo io ho questo serramanico che mi porto sempre dietro. In caso di vero pericolo schiaccio il pulsante e si trasforma in un bastone da tip tap, così posso fare simpatia.»

(W. Allen)

sabato 23 febbraio 2008

Non è un paese per vecchi; è un paese di vecchi.

«Non è la moneta a decidere. Sei tu a decidere.»
«Io e la moneta siamo arrivati allo stesso punto.»

venerdì 22 febbraio 2008

La legg(i)era insostenibilità dell'essere


(ovvero: l'insommergibile lettiera dell'essere, in questo caso un gatto d'acqua dolce)

mercoledì 20 febbraio 2008

Pecore e uomini dal cuore buono


Questa dev'essere la settimana "del mio mondo", non c'è che dire. Recupero e perdo oggetti, profumi e balocchi, maritozzi. Forcine. Capelli. Sensazioni. Uomini dal cuore buono. Persone, animali. La stessa cosa, a tratti.
«Era proprio tempo che ce n'andassimo. La città pareva diversa nella prima luce del mattino. L’ultima cosa di cui discorremmo, mentre aspettavamo la partenza del treno, fu l’Idaho. Eravamo tutti e tre americani. Ciascuno veniva da un posto diverso, ma avevamo qualcosa in comune — parecchie cose direi. Stavamo per commuoverci, come fanno gli americani quando viene l’ora dell’addio. Parlavamo come sciocchi di vacche e di pecore e dei grandi spazi aperti dove l’uomo è l’uomo e altre stronzate. Se fosse passata una nave invece del treno, saremmo saltati a bordo dicendo addio a tutto. Ma Collins non doveva mai più rivedere l’America, come seppi poi; e Fillmore... be’, anche a Fillmore doveva toccare la sua pena, in un modo che nessuno di noi avrebbe sospettato allora. L’America è meglio tenerla così, sempre sullo sfondo, una specie di cartolina postale a cui guardare nei momenti di debolezza. Così, tu t’immagini che sia sempre là ad attenderti, immutata, intatta, un grande spazio aperto patriottico con vacche, pecore e uomini dal cuore buono, pronti a fottersi tutto quello che vedono, uomo donna o bestia. Non esiste l’America. È un nome chi si dà a un’idea astratta.»
(H. Miller, "Tropico del cancro", trad. L. Bianciardi)
Dopo le categorie di assenza/vicinanza, quindi; dopo la mia moto: il mio elettricista.
Il mio elettricista è un uomo basso, peloso e puzzolente. Ha idee geniali ed esecuzioni talvolta macchinose.
Vive di piccole conquiste, di piccoli traguardi. Racconta, mentre siede alla mia tavola e mangia con la mia forchetta, di aver smesso di fumare. E smesso di bere vino. Ora, dice, sta cercando di smettere di bere caffè. "Cosa ti resterà?", chiedo fra me e me. Non lo domando, per non rovinare il clima da cena d’emergenza, e per non guastare il gusto del mio Albana. Poi penso che, invece, proprio le sue convinzioni, le sue piccole vittorie lo fanno andare avanti. Conquista giorno dopo giorno. Il mio elettricista è una specie di formica, e continua ad ammassare aghi secchi sulla sua Montagnola. La domanda è: la costruzione del formicaio è saggezza, o è una truffa?
«Parigi è come una puttana. Da lontano pare incantevole, non vedi l’ora di averla fra le braccia. E cinque minuti dopo ti senti vuoto, schifato di te stesso. Ti senti truffato.»
(H. Miller, "Tropico del cancro", trad. L. Bianciardi)

Messaggio a Letizia


Checché tu ne dica, cara mia, io qui lavoro sodo. Con pinze, falci e martelli...

martedì 19 febbraio 2008

Tema: la mia moto.

La mia moto è nera e grigia; ha il serbatoio a forma di goccia e una larga sella scura. La mia moto a borse di pelle nera che le fasciano il sedere.
La mia moto ha un ingombrante parabrezza ed un ancor più ingombrante baule sul sedere.
La mia moto è costata poco, molto poco, ma era talmente male in arnese che ho dovuto spendere due volte il mio stipendio, che ancora non guadagnavo, per metterla a posto.
La mia moto è una Moto Guzzi. A volte le candele non fanno bene il loro lavoro, a volte le ruote si sgonfiano un po’ troppo; a volte, ancora, l’olio cade un po’ troppo abbondantemente dal tubo dell’aria, e le vibrazioni diventano davvero forti.
Ma è la mia moto, ed io la amo.

Pensieri notturni

«Stanotte, appena adesso, mi è venuto in mente quel bagno all'alba in Calabria... Ti ricordi? Tremavo come un neonato. E tu mi tenevi in braccio, praticamente.. Ti ricordi?»

lunedì 18 febbraio 2008

Il mio nuovo portamonete


Il mio nuovo portamonete è azzurro ed ha cerchi concentrici colorati.
Il mio nuovo portamonete sarebbe un portasigarette, ma è a tutti gli effetti un portamonete.
Il mio nuovo portamonete è artigianale: è rivestito, al suo interno, di vilpelle rossa, applicata da me medesimo.
Il mio nuovo portamonete è BELLISSIMO.

domenica 17 febbraio 2008

Favole al telefono

Sarò telegrafico, teleferico, telescopico.

La mia piccola perde i capelli; ma è tanto bella, comunque. Così bella... I suoi tratti sono intatti, anche se forse più magri; il sorriso, la voce sono gli stessi.

Forse, come sempre, abbiamo solo bisogno di una strategia, di una nostalgia, una patologia.

Oddio, certo, nei momenti critici, come questo mio, le persone vengono al pettine.
C’è chi sparisce, chi fa finta di esserci (e si ferma alle parole), chi c’è.
I primi mi mettono un po’ di tristezza. Concedo loro l’unica attenuante di essere potenzialmente spaventati; il che non li giustifica, comunque. Ma li rende intelligibili, almeno a priori.
I secondi sono grotteschi; e tanto maggiormente, quanto più pathos c’è nelle loro parole vuote, nelle loro promesse di calore che si spengono come la fiammella penosa di una candelina. Sono come truffatori e imbroglioni; sono ipocriti. Valgono poco, a conti fatti. Anche loro mettono tristezza.
I terzi sono i miei amici.
Grazie, amici.

sabato 16 febbraio 2008

In partenza

Avrei voluto salutarti più degnamente, caro Giulio.
Bon voyage, mon ami.
Arrivederci a Parigi...
«...e a Parigi mi aspettano ancora;
c'è una stanza con bagno prenotata a mio nome.
La moquette sarà piena di topi...
Ieri, alla televisione, mi hanno detto di stare tranquillo:
non c'è nessuna ragione di aver paura,
non c'è proprio niente che non va...»

venerdì 15 febbraio 2008

Davanti alle quinte

Sale il sipario rosso pesante ed entrano i musici, nel brusio d'attesa e d'applausi. Hanno giacche e cravatte e cappelli scuri, e danno inizio alle danze con i nuovi ritmi americani. Si emozionano con poco, ci emozionano per niente. Al momento del Festival, quasi piango — o forse è solo il sudore del gran caldo, sotto gli occhi.

giovedì 14 febbraio 2008

Qualcuno gliel'avrà pur detto

Qualcuno glielo deve pur aver detto Ma perché non me l’ha detto subito[?] Adesso lo sa Mi sa che lo sa Eppure ieri sera non sapevo che sapesse Qualcuno glielo deve aver detto Però non me l’ha detto subito Non me l’ha fatto intendere subito Non me l’ha detto subito Chi gliel’ha fatto intendere[?] Chi gliel’ha fatto intendere non me l’ha detto subito Chi gliel’ha fatto intendere gliel’ha detto subito Qualcuno gliel’avrà pur detto Se avessi saputo che glielo avrebbero detto forse gliel’avrei detto Magari non gliel’avrei detto Se avessi saputo Se avessi saputo che glielo avresti detto forse non te l’avrei detto Ma poi perché gliel’hai detto[?] Se adesso lo sa forse l’ha già detto in giro Già lo sa ed è in giro Una presa in giro per dire che qualcuno gliel’ha detto Gliel’ha dettato No no gliel’ha detto Una sordida storia di detto e non detto Otto sotto un detto No non mi alzo voglio restare a detto Emetto un bel do di detto Detto questo cos’altro dev’essere detto[?] Ma alla fine chi lo sa[?] Chi lo sa.

Prove tecniche di avvistamento - 3

Restituiscimi i miei sandali

Elena, la prossima volta restituiscimi i miei guanti (altro che sandali), e soprattutto il mio berretto: è freddo.
Giulio parte. Ossequi per quel puttaniere di Ronaldo, del quale ci rammarica l'ennesimo, fatale infortunio.

Stasera (macché stasera, tra qualche ora, qualche giorno) Giulio parte, e quindi Piergiorgio Welby sarà morto.
Buonanotte, Piergiorgio Valentino Dalla Riva.
Mi diceva un'amica che a 7 anni era innamorata di me. Possibile? Io non ho mai avuto 7 anni.
Buonanotte, fratello. Con amore.

mercoledì 13 febbraio 2008

Dicono oggi

«Non siamo brillanti, ma non è solo questo: ci sta anche un po’ di tensione nervosa, ora che ogni partita sembra determinante per il nostro futuro; eravamo nervosi, dobbiamo cercare di essere un po’ più regolari.»
(D. Arrigoni)

«Per fortuna la free press è gratuita, altrimenti verrebbe davvero da autobiasimarsi per i soldi buttati via ogni volta che la si legge in metropolitana. Ieri una delle notizie da prima pagina era: "Mucciniani contro Mocciani". Ossia i fan del regista Silvio Muccino contro i fan del regista Federico Moccia. Il Moccia, intervistato a proposito di questa diatriba che riporta alla mente i grandi dibattiti tra felliniani e viscontiani, ha riferito che 'noi registi non dobbiamo essere in contrasto'. A parte il rumore di trottola impazzita che proveniva dal sepolcro di Kubrick, davvero Federico Moccia crede sia possibile una lotta a due in un Paese come il nostro? In Italia il bipolarismo ha fallito il suo scopo in politica. Figuriamoci nel cinema. Ed ecco che a contrastare i due grandi partiti dei mOcciani e dei mUcciniani sono già scesi in piazza tra blocchi stradali e presidi slowfood anche i mAccioniani, fan dell'indimenticato Aldo Maccione (quello del colonnello Buttiglione), i mEcciniani, sostenitori di Gianni Meccia (quello de Il Barattolo), e i mIccichiani, elettori di Gianfranco Micchiché (avversario di Cuffaro alla Regione Sicilia). Inutile la proposta radicale di proporre uno sbarramento al 2 per cento dei fan club. »
(T. Labranca)

«La metallurgia è come la legge.
Tutto è possibile, basta giustificarlo.»
(A. Molinari)

martedì 12 febbraio 2008

Prove tecniche di avvistamento - 2


«Era nato con gli occhi aperti, attento a ogni cosa, e con un vocabolario di cento parole. Capiva muri, scarpe e pane nero, ma non conosceva il termine per indicare il legno. Pinocchio credeva di essere un ragazzino come tutti gli altri. Arrivò un mattino nella panetteria di Geppetto, saltando fuori scalzo da un cestino del pane. “Babbo,” gridò “sono qui.”
Il vecchio fornaio, che dopo un secolo di farina aveva lo scalpo bianco come il gesso, trasalì nel sentirsi chiamare babbo in mezzo a tutta quella polvere. Non si era mai sposato. Geppetto era un socialista. Le sue teorie gli vietavano di prender moglie. Per lui le donne erano tutte sorelle. E compagne. Non avrebbe mai incatenato all’anello nuziale una sorella e compagna. Che fossero le Camicie Nere a beffarsi di lui, chiamandolo babbo in quel polverone?
Ma poi vide il ragazzino di legno. E si mise a tremare. Non gli veniva in mente un solo capitolo di Bakunin o Proudhon che parlasse di bambini di legno.
“Chi sei?”
“Pinocchio, tuo figlio.”
Geppetto cominciò a chiedersi se gli stavano scaricando sulla testa qualche antico peccato. A dispetto di tutte le sue teorie sulle donne compagne, due volte al mese, in concomitanza con i suoi attacchi di vigore, andava a trovare Brunilde, la prostituta del paese. Ma Brunilde non poteva aver messo al mondo un ragazzino di legno senza che lui se ne accorgesse.
“Chi ti ha mandato?”
“Nessuno, babbo.”
Al diavolo tutto, l’idea di avere un figlio, anche se di origini così dubbie, gli piaceva.
La voce si diffuse. I compaesani di Geppetto non furono altrettanto felici all’idea di un ragazzino magico a Montegrumo, e pensarono che Pinocchio fosse un altro trucco dei socialisti. Geppetto era stato un rompiscatole già prima che Mussolini marciasse su Roma. Per calmare la sua lingua socialista, alla Casa del Fascio la milizia locale gli aveva fatto bere olio di ricino e una vasca da bagno di caffè. Il fornaio si risvegliava, ogni cinque anni, e le Camicie Nere dovevano ripetere il trattamento.
Anche questa volta i montegrumesi optarono per l’olio di ricino. Pinocchio era una creatura del diavolo, fabbricata nel forno di Geppetto in base a chissà quale ricetta socialista. Il fornaio giurò ai fascisti di averlo trovato nella panetteria e di avere deciso di allevarlo come un figlio vero.
“Bastardo,” dissero i fascisti, “ce l’hai un permesso per tirar su un figlio?”
Il fornaio baciò i loro stivali, biascicando preghiere a Gesù, Giuseppe e Maria.
I fascisti risero. “Il bastardo è diventato religioso.” Ma gli permisero di tenere la sua creatura del diavolo.
Non appena le Camicie Nere se ne furono andate, Geppetto si ripulì le ginocchia e e iniziò a educare quel figlio. Pinocchio non aveva mai frequentato la scuola. Non aveva nemmeno un passato. I suoi ricordi cominciavano nella panetteria.
Geppetto tirò fuori i libri scolastici che nascondeva nel doppio fondo della madia della farina e si mise a leggere, ma nel bel mezzo di Proudhon il ragazzo si addormentò. Geppetto fu colto da disperazione.
Ma Pinocchio era determinato a diventare un socialista come il padre. “Giuro sulle sante manine di Gesù che imparerò, babbo. Davvero.”
“Testa di legno,” borbottava Geppetto. “Siamo socialisti. Noi non crediamo in Dio.”
Allora Pinocchio andò a rifornirsi di libri nella biblioteca del paese, per dimostrare al padre quante cose poteva imparare da solo un bambino di legno. Non fece attenzione ai titoli. Scelse i libri più grandi, convinto di poterne ricavare maggiore sostanza.
Cominciò a saltare da un libro all’altro. La sua testa di legno non riusciva a trattenere i paragrafi. La sua mente ributtava fuori tutte le parole scritte. Aprì anche l’ultimo libro e lesse con furia travolgente, deciso a concentrarsi a ogni costo sul paragrafo.
C’era una volta un cavolfiore che avanzava per la strada, e questo cavolfiore si chiamava Marco Polo...
Pinocchio si era imbattuto nella prima gioia della sua vita di bambino di legno. Tornò indietro per controllare la pagina del titolo. Piccolino, di Giacomo Joyce. Era come se Giacomo Joyce avesse inventato un passato e una storia per Pinocchio. L’eroe del libro è un ragazzino miope che soffre perché nel suo collegio alla periferia di Firenze lo trattano come una nullità. Preti e suore gli calpestano gli occhiali. Gli altri collegiali lo sbattono nel fango. I genitori non vengono a prenderlo neanche a Natale e a Pasqua.
Piccolino potrebbe benissimo essere nato in un cestino del pane, figlio di un fornaio socialista. Invece diventa un saccentello fissato con Dante Alighieri e con gente chiamata guelfi e ghibellini. Piccolino dichiara che la vita è una continua battaglia tra guelfi e ghibellini, tra le forze della chiarezza e le forze del fango. Pinocchio pianse quando, nell’ultima pagina, Piccolino parte per la Cina per andare “a rovesciare i ghibellini ovunque si nascondono e a scoprire l’intrepida bellezza dei guelfi”.
Quella era la missione di Pinocchio. Combattere i ghibellini fascisti e portare un tocco guelfo a Montegrumo. Si preparò un discorso dai ritmi suadenti, alla Giacomo Joyce, discorso che intendeva tenere alla Casa del Fascio. Salì i gradini della Casa indossando il cravattino a farfalla, preso in prestito dal padre, e fece un inchino alle Camicie Nere, che stavano per macellare un maialetto da arrostire sul fuoco.
Il maialetto grugniva disperato, correndo tra le loro gambe. I suoi gemiti affannosi, simili a quelli di un cavolfiore che impara a respirare, ricordarono a Pinocchio, la storia di Piccolino, e così decise di salvare il maialetto.
“Signori,” gridò, “c’era una volta, una volta brutta davvero, un maiale, e quel maiale era qualcosa di più di una semplice proprietà. Aveva un cuore non meno umano del vostro. Posate i coltelli, o montegrumesi, e trattate con rispetto il vostro fratello maiale.”
Le Camicie Nere dimenticarono la cena e si lanciarono su Pinocchio, ansiosi di affettargli le parti intime. Così non avrebbero avuto più un ragazzino di legno a indottrinarli sulle virtù del maiale che intendevano mangiarsi.
Gli tagliarono i pantaloni, glieli abbassarono e scoprirono che il ragazzo non aveva i genitali. Liscio come un’asse. “Guido, avrà prestato l’uccello al re?” Ma, passato lo stupore iniziale, persero ogni interesse per lui. Era un essere da evitare, come una donna di città che si rasava le gambe.
Presero maiale e bambino e li lanciarono fuori dalla Casa del Fascio. Piuttosto che trattare con gente come Pinocchio, preferivano tirare avanti a maccheroni e formaggio. I maiali dal cuore umano erano impossibili da masticare.»
(J. Charyn, “Il naso di Pinocchio”)

«Che io sia impiccato se ci capisco qualcosa!»
(G. Bonelli, Kit Carson in “Tex Willer - A sud di Nogales”)

La classifica

lunedì 11 febbraio 2008

Prove tecniche di avvistamento


(sorridete, please...)

Engine-ah pectoris: il motore della tua vita.

Dopo un generoso pranzo, pensavo a questo simpaticissimo giuoco di parole. Engine/angina: sospesi tra forza motrice e patologia. Patologia motrice.
(se mi diverto troppo, gli altri non capiscono. Perplessità.)


A parte questo, dedico a chi vuole il simpatico motivetto di beatlesiana memoria, giusto per nostalgia.

«Flew in from Miami Beach BOAC
Didn't get to bed last night
On the way the paper bag was on my knee
Man I had a dreadful flight
I'm back in the U.S.S.R.
You don't know how lucky you are boy
Back in the U.S.S.R.
Been away so long I hardly knew the place
Gee it's good to be back home
Leave it till tomorrow to unpack my case
Honey disconnect the phone
I'm back in the U.S.S.R.
You don't know how lucky you are boy
Back in the U.S.S.R.
Well the Ukraine girls really knock me out
They leave the West behind
And Moscow girls make me sing and shout
That Georgia's always on my mind.
I'm back in the U.S.S.R.
You don't know how lucky you are boys
Back in the U.S.S.R.
Show me round your snow peaked mountains way down south
Take me to your daddy's farm
Let me hear your balalaika's ringing out
Come and keep your comrade warm.
I'm back in the U.S.S.R.
You don't know how lucky you are boys
Back in the U.S.S.R.»

venerdì 8 febbraio 2008

giovedì 7 febbraio 2008

Lanterne per lucciole


Mentre il mio provino cominciava arrogantemente a colare dentro il dilatometro, e l'angoscia avrebbe dovuto cogliermi — e per la misura andata A PUTTANE (altro che Baglioni, altro che bagliori a 1200 °C), e per i possibili danni al dilatometro stesso —, io pensavo in realtà alla bellezza di "Pictures at an exhibition" di Modest Musorgskij, e alla folle meraviglia dell'organo Moog del signor Emerson.

Allo stato dell'arte - agli stati d'animo

Leggo la lettera di Moz:

Rispondo a Moz e mi compiaccio:

Penso alle elezioni e alla Società, riflessa anche nella lettera di Moz:

Penso di essere un genio; sono perplesso:

Scrive Stefano Bartezzaghi:
«In un Paese diviso tra Eccellenze proclamate appena è possibile ed Emergenze sottaciute sino all'impossibile, e che considera i suoi beni culturali come mere merci da vendere ai turisti, tocca ridere per non piangere.
Si sa sin da principio che non sarà una risata, a seppellire la montagna di rifiuti linguistici indifferenziati che testimonia l'entità della nostra collettiva ignoranza. Ma di fronte ad articoli, cartelli esposti in pubblico, lettere più o meno ufficiali, tesi di laurea che altro fare?

Ognuno ha i suoi esempi favoriti: le donne "in [spazio] cinta" nei titoli dei tg, lo "schernirsi" che sostituisce sistematicamente "schermirsi", il "più acerrimo" sulle pagine della cosiddetta cultura, il prezzemolo del "piuttosto che" usato scorrettamente al posto di "oppure", "l'affatto" che può ormai significare sia "del tutto" che "per niente", e quando lo si legge si è nelle condizioni dell'automobilista dietro a una macchina che mette all'improvviso le quattro frecce: che vorrà fare?

Si fermerà, svolterà a sinistra, a destra? Afferma? Nega? Oggi basta una consecutio azzeccata per guadagnarsi il carisma dell'erudito, e dire o scrivere "la maggioranza delle persone pensa" al posto di "la maggioranza delle persone pensano" pare una sottigliezza da cruscanti.

Lo scrittore americano David Forster Wallace in un saggio — approfondito e magistrale — sul tema Autorità e uso della lingua definiva alcune varietà di inglese: l'Inglese Scritto Standard è la più prestigiosa, quella usata dalla classe dirigente. In Italia si può tratteggiare un ideale linguistico, il sogno di un Italiano Scritto Standard, ma poi non si può indicare una classe di italiani che lo impieghi nella realtà. Non lo usano certo i personaggi televisivi (la tv, in Italia, è oggi un canale di diffusione di dialetti). I dirigenti d'azienda, gli amministratori, i politici, i ricchi? Non scherziamo. I professori universitari? I giornalisti? Gli scrittori? I medici? Gli avvocati? Nemmeno loro, se non in una quota irrilevante.

Il prestigio della lingua italiana è consunto: gli usi aberranti, dall'ortografia alla sintassi, dalla morfologia alla semantica, non sono efficaci neppure come indicatori del livello di guardia a cui sono arrivate le carenze culturali (e va beh) ma anche e soprattutto logiche. La crisi politica in corso - a seguirla lungo le sue linee-guida linguistiche, semiotiche e logiche — non dimostra innanzitutto, e profondamente, quanto siamo ignoranti — nel doppio senso di insipienti e di inconseguenti — , tutti?»

No, we cannot

«Evaporato in una nuvola rossa
in una delle molte feritoie della notte
con un bisogno d'attenzione e d'amore
troppo "Se mi vuoi bene piangi"
per essere corrisposti,
valeva la pena divertirvi le serate estive
con un semplicissimo "Mi ricordo"
per osservarvi affittare un chilo d'erba
ai contadini in pensione e alle loro donne
e regalare a piene mani oceani
ed altre ed altre onde ai marinai in servizio,
fino a scoprire ad uno ad uno i vostri nascondigli
senza rimpiangere la mia credulità;
perché già dalla prima trincea
ero più curioso di voi,
ero molto più curioso di voi.

E poi sospeso tra i vostri "Come sta"
meravigliato da luoghi meno comuni e più feroci
tipo "Come ti senti amico, amico fragile,
se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te"
"Lo sa che io ho perduto due figli"
"Signora, lei è una donna piuttosto distratta"

E ancora ucciso dalla vostra cortesia
nell'ora in cui un mio sogno,
ballerina di seconda fila,
agitava per chissà quale avvenire
il suo presente di seni enormi
e il suo cesareo fresco,
pensavo "è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra".

E poi, seduto in mezzo ai vostri arrivederci,
mi sentivo meno stanco di voi
ero molto meno stanco di voi.

Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta
fino a vederle spalancarsi la bocca.
Potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli
di parlare ancora male e ad alta voce di me.
Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo
con una scatola di legno che dicesse "perderemo".
Potevo chiedervi come si chiama il vostro cane
il mio è un po' di tempo che si chiama Libero.
Potevo assumere un cannibale al giorno
per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle.
Potevo attraversare litri e litri di corallo
per raggiungere un posto che si chiamasse Arrivederci.

E mai che mi sia venuto in mente
di essere più ubriaco di voi;
di essere molto più ubriaco di voi.»

mercoledì 6 febbraio 2008

Yes, we can. Ma fare che?


(sono al decimo ascolto; "Feed your head... feed your head"...)

Il lavoro nobilita, il lavoro mobilita, il lavoro debilita

Dunque dunque dunque, cerchiamo di ricostruire.
Ore 16.00: centilitri 33 di birra Peroni, centilitri 30 di Martini&Rossi rosso, centilitri 66 (non ci giurerei) di birra Moretti.
Ore 18.00: centilitri 20 circa (numero 2 colmi bicchierini) di non meglio identificata “grappa cinese”, centilitri 40 di non meglio identificata birra alla spina.
Ore 20.00: centilitri 40 circa (numero 4 calici) di non meglio identificato spumante.
Ore 22.30: centilitri 10 circa di ouzo.
Ore 01.00: tisana “L’òra del Garda” de “La casa del caffè”.
Ecco tutto.

Oh oh oh, suvvia, non essere superficiale.
Il fisico austriaco Wolfgang Ernst Pauli diceva che dio (maiuscolo, per lui) ha creato i solidi, ma le superfici (che contornano tali solidi) sono state inventate dal diavolo (pure maiuscolo, per lui). Non male.
Anche per questo non taglierò la barba, mentre il brasiliano Nério l’ha già fatto. Ovvero: non taglierò la barba per non essere più superficiale.
L’argomentazione mi pare solida.

Il coniglio bianco

Voglio fare l'amore con Grace Slick. Anzi: d'ora innanzi voglio fare l'amore Solo con Grace Slick. E affanculo il precedente, se così deve essere per essere un aeroplano.

«One pill makes you larger
And one pill makes you small,
And the ones that mother gives you
Don't do anything at all.
Go ask Alice
When she's ten feet tall.
And if you go chasing rabbits
And you know you're going to fall,
Tell 'em a hookah smoking caterpillar
Has given you the call.
Call Alice
When she was just small.
When the men on the chessboard
Get up and tell you where to go
And you've just had some kind of mushroom
And your mind is moving low.
Go ask Alice
I think she'll know.
When logic and proportion
Have fallen sloppy dead,
And the White Knight is talking backwards
And the Red Queen's "off with her head!"
Remember what the dormouse said:
"Feed your head. Feed your head. Feed your head"»

http://it.youtube.com/watch?v=6xhYk9PEmXA

Si è laureata Martina. Complimenti, Martina (vabbè, neppure ci conosciamo, e nemmanco un cazzo ce ne frega). Il nome stesso, in realtà, mi crea irritazione, visti i miei trascorsi. Ok. Si è laureato Nicola. Complimenti, Nicola, bella discussione. Certo, avresti potuto evitare di andare a dormire alle otto di sera, lasciandoci a chiacchierare amabilmente, alticci, con i tuoi parenti (più o meno distanti). La palindroma è sempre grassa; cazzi suoi.

lunedì 4 febbraio 2008

In qualche cosa bisognerà pur credere


Vedete questa barba?
Dunque, io a giugno mi recherò negli Stati Uniti e, partendo dal presupposto che gli americani apprezzino particolarmente le barbe lunghe e le ombre rosse, pensavo di recare meco una barba più lunga possibile.
Per questo motivo, ho deciso di non tagliare la barba (e i capelli), o, per lo meno, non in maniera drastica, fino all'inizio dell'estate.
In tal modo, concentrandomi sulla crescita felice della mia bella barba, eviterò di pensare ad altro. La mia barba sarà la mia bimba.
Crederò nella mia barba.
In qualche cosa bisognerà pur credere.

E ora qualcosa di completamente diverso

Se Prodi fosse come Cacciari (fisicamente, intendo), non l'avrebbero mai sfiduciato.

E nemmeno se fosse un bucranio.

(merda, Prodi con la barba fa morire dal ridere, ma questi "patrioti" sono proprio ridicoli...)

sabato 2 febbraio 2008

Per quando è tardi, tra qualche ora

«Quando è tardi e per le strade scivolano sguardi
di gente che ha sol fretta di tornare e i cinema si chiudono ed i caffè si vuotano,
per le strade, assieme al freddo e ai tristi canti opachi,
sono rimasti gli ultimi ubriachi,
un ciondolare stanco verso il nuovo bianco giorno che verrà...

Si discute delle rivoluzioni mai vissute
e degli amori fatti di bevute e di carriere morte nel bicchiere
nelle sere a gambe aperte con il mondo in mano
cantando mentre sputano lontano
come se fosse in faccia all'universo...

E li vedi, girare lenti strascicando i piedi,
parlare forte a tutti od a nessuno
o piangere aggrappati ai muri, stanchi e addormentati.
L'ora vola e il vino amico o ammazza o li consola
e il vino li fa vivere o morire
e la tristezza solita o li uccide o se ne va...

E li vedi, girare lenti strascicando i piedi,
persone strane, sogni a cui non credi,
stagliarsi contro il cielo che si imbianca; nella stanca
mattina che si riempie già di vita,
piangendo un'altra notte che è finita,
attendere, non sai dove, quando il buio tornerà,
attendere, non sai dove, quando il buio tornerà,
attendere, non sai dove, quando il buio tornerà...»

venerdì 1 febbraio 2008

Eh

Ho voglia di urlare.
Cazzo!
URLARE!

Prima di Rossini: Mozart

Rispettare la cronologia, prego.
"Sa cosa stavo pensando? Io stavo pensando una cosa molto triste, cioè che io, anche in una Società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone. Ma non nel senso di quei film dove c'è un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un'isola deserta perché il regista non crede nelle persone. Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d'accordo con una minoranza..."
Senza offesa, eh.