lunedì 31 dicembre 2007

Gambe in spalla

Che Società. In declino, proprio in declino.
Mi dicevano, oggi, che una canzone (natalizia) dei Pogues (per la precisione, “Fairytale of New York”) è stata oggetto di acerba critica perché, secondo una radio inglese, insulta gli omosessuali. La strofa censurata da “Radio 1” è
«You scumbag, you maggot
you cheap lousy faggot,
Happy Christmas your arse
I pray God it's our last.»
In particolare, non è piaciuta la parola “faggot”. (Molto musicale, peraltro.)
No! Merda, merda, io trovo che sia una strofa meravigliosa. Così provocatoria, aspra, violentemente triste.
Non conosciamo più malinconia. Siamo troppo veloci o solo troppo superficiali?
Insomma. Quello che è pubblicamente non-corretto va censurato, criticato, nascosto, obnubilato. Ciò che invece ci si propone nella più velata ipocrisia è tollerato, anzi lecito; forse dovuto.
Allora noi dobbiamo specificare tutto.
Per questo tette e culi a ripetizione, sullo schermo, così palesi, non sono offensivi; una battuta sul Papa, o una parola non canonica, sì. Ed è pure colpa della nostra scarsissima abilità nell’utilizzo della nostra meravigliosa lingua; quando il livello è base, non si può pretendere si apprezzare il sottile effetto di un lessico tagliente.
Smettetela.
Certe specificazioni sono VOLGARI.
A questo punto, io allego: un video del cantante dei Pogues (grandissimo) ed alcune italianissime canzoni (nel medesimo ordine da me seguito) che consiglio caldamente per concludere in bellezza il 2007 e lanciarsi a capofitto nel 2008.

(il link promesso:
http://it.youtube.com/watch?v=K0xSNrFXacM)

“Niente trucco stasera”, R. Zero
Niente trucco per me,
via le luci, stasera
che a guardarti negli occhi
sia la faccia mia vera...

“Chi più chi meno”, R. Zero
Vedi, anch'io ho i limiti miei,
e uccidermi, ancora, non puoi,
vedi, va così, la vita è di chi
più chiedi, e più gli dai.
Un'altra guerra, e sia:
l'ultima sulla pelle mia.
Là dove c'era ancora amore.
Chi più chi meno,
senza rimorsi andava via,
lasciando il vuoto dove prima era poesia...
(e crudeltà)


“Inventi”, R. Zero
Inventi le mie forme,
lo stile è quello tuo;
poso per ore davanti a te,
mi dipingi di sole anche se non c'è,
a un tratto trovo me.
Inventi quei colori,
le ombre su di me,
poi chiudo gli occhi sul nome mio,
quel che inventi son sogni, son sempre io
mi sento dentro te.
Poi mi scopro lì a volare, il cielo su di me,
mentre la mia mano cerca te;
arrossisci un po’… Ma non vuoi più mandarmi via.
Inventi... la poesia.
Inventi... la poesia.
Inventi quella luce,
ma sono gli occhi miei.
Mentre ti guardo io non so più
dove finisco io e cominci tu,
il sogno, la realtà…
Ogni volta io rinasco nei pensieri tuoi,
colorato e folle più che mai.
Arrossisci un po’… Ma non vuoi più mandarmi via.
Inventi... la poesia.
Inventi... la poesia.


“Lugano addio”, I. Graziani
Ed io pensavo a casa;
mio padre fermo sulla spiaggia.
Le reti al sole,
i pescherecci in alto mare,
conchiglie e stelle
le bestemmie,
il suo dolore...


“...e di nuovo cambio casa”, I. Fossati
E di nuovo cambio casa
di nuovo cambiano le cose
di nuovo cambio luna e quartiere
come cambia l'orizzonte, il tempo, il modo di vedere
cambio posto e chiedo scusa
ma qui non c'è nessuno come me.
E stasera do a lavare
il mio vestito per l'amore
cambio donna e cambio umore
stasera
e stasera voglio uscire
che mi facciano parlare
voglio ridere e voglio bere
io stasera cambio amore
è tutto qui.
Ma sapere dove andare
è come sapere cosa dire
come sapere dove mettere le mani
e io non so nemmeno se ho capito
quando t'ho perduta
qui fioriscono le rose
ma dentro casa è inverno e fuori no.
E vendo casa per un motore
la soluzione è la migliore
un motore certamente può attirare
la mia fantasia un po' danneggiata,
da troppo parcheggiata;
e poi cambiare casa
come cambiano le cose - così.
E gira, gira e gira, gira
si torna ancora in primavera
e mi trova che non ho concluso niente
io l'amore l'avevo in mente
ma ho conosciuto solo gente
e posso solo andare avanti
fintanto che nessuno è come me.
E gira, gira e gira, gira
si torna ancora in primavera
e scopro che non ho capito niente
e allora io stasera do a lavare
il mio vestito per l'amore
cambio donna e cambio umore
cambio numero e quartiere
fintanto che nessuno è come me.


“Dedicato”, I. Fossati
...dedicato a chi capisce
quando il gioco finisce
e non si butta giù...

“Matto”, I. Fossati
Lui non sa che cosa vuol dire è ancora notte
notte, paura - notte, niente è sicuro - notte, sonno (leggero)
rumore che salta al cuore ma è solo
un gatto - signore dorma ancora due ore, ciò di cui ha paura
può essere tutto non certo un gatto
e lui è là, in mezzo a questa città
faccia in giù, ubriaco che non si regge più


“Il mare d’inverno”, L. Berté (E. Ruggeri)
Il mare d'inverno
è solo un film in bianco e nero visto alla tv
e verso l'interno
qualche nuvola dal cielo che si butta giù
sabbia bagnata
una lettera che il vento sta portando via
punti invisibili rincorsi dai cani
stanche parabole di vecchi gabbiani
e io che rimango qui sola
a cercare un caffè
Il mare d'inverno
è un concetto che il pensiero non considera
è poco moderno
è qualcosa che nessuno mai desidera
alberghi chiusi
manifesti già sbiaditi di pubblicità
macchine tracciano solchi su strade
dove la pioggia d'estate non cade
e io che non riesco nemmeno
a parlare con me...


“Piccolo uomo”, M. Martini
Aria di pioggia su di noi
e… tu non mi parli più; cos’hai?
Certo se fossi al posto tuo
io so già che cosa mi direi:
da sola mi farei un rimprovero
e dopo mi perdonerei...


“E non finisce mica il cielo”, M. Martini
Chissà se avrò paura,
o il senso della voglia di te;
se avrò una faccia pallida e sicura
non ci sarà chi rida di me.
Se cercherò qualcuno
per ritornare in me,
qualcuno che sorrida un po' sicuro,
che sappia già da sé
che non finisce mica il cielo...


“Roma capoccia”, A. Venditti
‘na carrozzella va co du stranieri

un robivecchi te chiede un po' de stracci

li passeracci so' usignoli;

io ce so' nato, Roma,

io t'ho scoperta stamattina...


“Mio padre ha un buco in gola”, A. Venditti
oh no, io non sono stato:
io ero in Germania.
Se qualcuno ha taciuto
certo è stato frainteso.
No no, io stavo cantando
in una strana stazione...
Quando lei è arrivato
stavo appunto pensando
“ma che strana persona
scommetto che sa già tutto”.
Può trovare i miei libri
perfino sotto il letto:
tutti i libri d'amore
e le poesie consigliate...


“Le tue mani su di me”, A.Venditti
una foglia stupida

cade a caso sull'asfalto e se ne va;

una fabbrica occupata sulle nuvole

e un fucile che rimpiange Waterloo.

Un bambino che domanda come è nato

si risponde sorridendo “chi lo sa”;

il bicchiere di cristallo sta cadendo

non amarmi, non amarti non ti riuscirà...


Il mio bagaglio per il 2008.
Ridotto. (il bagaglio)
Bisesto. (il 2008)

domenica 30 dicembre 2007

Ascolto odierno: visioni


«Al festival Slow-Folk di Bi-Milano
il complesso rock nostalgico di "trapple" meccanico
marcava lentamente le note di "Love me tender".
Ed Uncinoide latrò:
"C’è una fabbrichetta amore, nascosta in mezzo ai fiori"
Ma qualcuno disse: "Io sono un vero nostalgico".
Zampa Di Velluto gelò gli spettatori
con il suo pezzo forte "Lieta Sosta"
poi seguirono in fila "Ferma Scarpa" e "Blocca Stalla".
Ma nessuno capì niente
e la musica ruggiva sempre più forte.
...E le chitarre garrirono al vento
con lo stemma delle rispettive città:
Bi-Milano, Sotto-Roma, Nuova-Napoli.
Faccia Di Bronzo una Barbara leale
prima che il civile serpente venisse a torcersi accanto a lei
eseguì al fotopiano "Sono figlia di una spora vagante"
e poiché lei stessa era tutta la sua famiglia
il trio Fanamber contestò l’esibizione
ma il servizio di vigilanza
vigilava...
Ah io sono la tua ruota (scorta)
accarezza pure le mie porosità gommose
e serrami i dadi
e lucidami il cerchione
Oh io sarò la tua ruota (scorta)
io sarò la tua ruota di scorta
la tua ruota di scorta, la tua ruota di scorta...

E questo cantava Occhio Di Velluto, il prete Israeliano
dall’alto del suo hangar
mentre l’uomo di pezza gli tremava fra le mani
"Pregate fratelli" è la nuova canzone
prima in classifica
da circa quarant’anni.

Tutti aspettavano Heavy Pig il re del Punk Romantico
ma al suo posto si presentò il Sergente Osso Stanco
che eseguì una porcheria alla chitarra a smalto
e la chitarra era tutta stonata.
Ed il catrame coprì tutte le cose...»

(I. Graziani, 1978)

giovedì 27 dicembre 2007

Dunque.

Superato il periodo di festa. Mi veste sempre, come la prima volta, di una sensazione vagamente dolente, come certe domeniche passate in casa.
«È una nostalgia misera e misericordiosa, quella che mi colpisce. Malinconica. E non perché sia Natale, o perché oggi io sia vecchio.
È la malinconia racchiusa nei colori che se ne vanno da vecchie foto, o nei luoghi visitati molti anni fa, forse con altre persone, certamente con altri occhi.
La rincorsa ci ha resi folli.
Non sappiamo più scrivere lettere.
E mentre io mi arrampico in riva al mare, cercando un orizzonte più lontano e meno teso, le porte che si chiudono mi ricordano, tanto quanto quelle che restano socchiuse cigolando, cosa sono stato.
Forse
(talvolta)
sarebbe meglio essere
un cane
da compagnia.
Il resto del tempo no.»
(Riva del Garda, 26 dicembre, 11:50)
Quello appena passato è stato un bel Natale. Sereno, maturo.

martedì 25 dicembre 2007

Niente male...

...questi pacchi (con tutto ciò che signficano, e tutto ciò che ne consegue).

sabato 22 dicembre 2007

Indubbiamente, la più grande band di tutti i tempi.

Per testimoniare il mio stato di forma (tra due settimane in campo), regalo ai visitatori del mio blog il video di "You keep me hangin' on".
Una canzone delle Supremes.
Incredibile, merda.

venerdì 21 dicembre 2007

E sempre alegri bisogna stare

Il Manifesto - un manifesto, appunto. Una dichiarazione culturale: d'intenti, di prospettive. Di qualità della vita, o meglio, di ricerca di una certa qualità, per tutti. (pensiero di Piazza Duomo, forse sussurrato da Frank Zappa)

Che stordimento. Darò la colpa alla birra che, tra pochi istanti, mi scolerò (sul lavoro, naturalmente; travail oblige).
In fin dei conti, ho solo le mani screpolate. E ruvide lo sono sempre state. Legate; imbavagliate. Non so mai dove metterle, e così le parcheggio nelle tasche, o le stringo una nell'altra. Faccio sì che l'una carezzi l'altra con la scabrosità dei suoi (rossi) polpastrelli; l'altra freme, ma si ricompone subito, con un contegno tutto suo.
Brucio con un fiammifero: parto dalla testa.

A s-proposito: il proposito dell'agenda va a puttane, davanti all'ineluttabilità dei fatti. Ora ho un'agenda, pardon, un block notes, tutto nuovo e tutto nero, e non l'ho comprato io. Ma poco importa, in fin dei conti. Anzi, ne sono felice.
Grazie, Rachele.

«E sempre alegri bisogna stare
ché il nostro piangere fa male al re
fa male al ricco e al cardinale
diventan tristi se noi piangiam...»

Nove piedi sotto terra


Pensiero (appuntato) delle 2:23, prima del primo sonno: "Sono fatto per essere adorato e poi massacrato. Come Kurtz."
Aggiungo ora: Non capisco nulla, solo che sono molto stanco. Voglio andare via. Ascolto solo questa dolce musica, questa Carovana; nove piedi sotto terra. E voglio andare via da questo imbroglio colorato. O colorarlo tutto di nero.

Approximately

«When your mother sends back all your invitations
And your father to your sister he explains
That you're tired of yourself and all of your creations
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?

Now when all of the flower ladies want back what they have lent you
And the smell of their roses does not remain
And all of your children start to resent you
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?

Now when all the clowns that you have commissioned
Have died in battle or in vain
And you're sick of all this repetition
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?

When all of your advisers heave their plastic
At your feet to convince you of your pain
Trying to prove that your conclusions should be more drastic
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?

Now when all of the bandits that you turned your other cheek to
All lay down their bandanas and complain
And you want somebody you don't have to speak to
Won't you come see me, Queen Jane?
Won't you come see me, Queen Jane?»

(B. Dylan, “Queen Jane approximately”, 1965)

giovedì 20 dicembre 2007

Delirio di onnipresenza

Quest’uomo vi sembra pazzo?

Certamente lo è. Gli manca pure una “L” al cognome!
Lo sono anch’io.

Certamente.
(Prestigiatore cartomante rabdomante correttore di bozze bevitore di bozze.)
(La lingua: lo strumento più potente e preciso che abbiamo; spesso in bocca, in testa a deficienti. Come un bisturi nelle mani di un uomo affetto da morbo di Parkinson, di una vecchia, di un alcolista. Una vecchia alcolista con incipiente morbo di Parkinson dotata di rasoio Wilkinson.)
La mia prossima incarnazione sarà una scimmia urlatrice. Ma probabilmente non mi incarnerò più; cioè, non una seconda volta. Cos’è questa baggianata?
«Chiedimi perdono, per come sono
perché è così che mi hai voluto tu.
Prendimi per il collo, prendimi per mano
che non mi trovo più...»
Non si può stare seri, qui. Stamattina ero vestito di rosso e di verde; per questo pomeriggio ho scelto il grigio e il nero.
«I see a red door and I want it painted black
No colors anymore I want them to turn black
I see the girls walk by dressed in their summer clothes
I have to turn my head until my darkness goes»
Dicevo; non si può stare seri, al suono di un tale pomeriggio. Senza tirare in ballo il campo per campisti e tutto quel che ne consegue.
Quindi: non stiamo seri, perché c’è poco da ridere.

«Dammi da mangiare,
dimmi che posso stare qui.
Non ho soldi per pagare,
ma dimmi lo stesso di sì.
E ferma la tua testa nelle mie mani,
e poggia la tua mano dritta sulla mia schiena.
Dammi da mangiare,
è già ora di cena.
E noi guardiamo da questa finestra la luna.
Ci sono amori disordinati,
nel mio passato e nei tuoi passati
e notti come questa
passate a rubare.
Ci sono alberi sradicati
e occhi infiniti e cicatrici
che non voglio spiegare adesso.
Dammi da mangiare,
che ti preparo io.
Fammi venire in cucina
che ti cucino io.
E lascia che trascorra la notte
su quest'altra stazione,
e che nel buio possiamo sentire il respiro del termosifone.
Dammi da mangiare
che ti prendo il cuore.
Lasciami piangere,
lasciami fingere,
lasciami fare.
Ci sono amori dimenticati
nel mio passato e nei miei passati
e notti come questa,
passate a bruciare.
Ci sono figli desiderati
e fidanzati troppo educati
e sentimenti che non voglio fermare adesso.
Dammi da mangiare,
guarda quanta neve...
lascia qualche briciola fuori sul davanzale.»

Nota: oggi sto provando a curare il raffreddore, o meglio, a stapparmi il naso, con ammoniaca ed acetone. Non farà molto bene, ma pare funzionare. E dà anche un po' alla testa!

mercoledì 19 dicembre 2007

Comfortably numb 2 - preparo l'agenda

«Macchinista, macchinista, faccia sporca
metti l’olio nei stantufi,
di risaia siamo stufi
e a casa nostra vogliamo andar.»

Stanotte, alle 2:14 (con due maledetti punti di separazione, perché è quell’ora, e perché questo sta a significare), ho deciso:
“Domani comprerò una nuova agenda. È un gesto solitario, va compiuto in solitudine.”
È la prima volta che compro un’agenda per i miei appunti. Mi sono sempre state regalate. Questa volta credo proprio che sia necessario il necessario distacco. Riscatto. Boh.
L’altra l’ho conclusa con due pagine d’anticipo. “Ha finito il suo tempo”, mi sono detto, e l’ho messa nel cassetto, con dentro un braccialetto strappato (strappato da me a me, dal mio polso), un biglietto di Giulia e un sacco di pensieri.
Ora di voltare pagina. Macché, di cambiare libro. Di cambiare qualcosa, merda.
E poi è inverno, ormai.

«Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.

Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai, la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un'altra estate.

Anche la luce sembra morire
nell'ombra incerta di un divenire
dove anche l'alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.

Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l'amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.

La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l'inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un'alba antica.

Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti.»

Comfortably numb


Hello,
Is there anybody in there?
Just nod if you can hear me
Is there anyone at home
Come on now
I hear you're feeling down
I can ease your pain
And get you on your feet again
Relax
I'll need some information first
Just the basic facts
Can you show me where it hurts

There is no pain, you are receding
A distant ship smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can't hear what you're saying
When I was a child I had a fever
My hands felt just like two balloons
Now I've got that feeling once again
I can't explain, you would not understand
This is not how I am
I have become comfortably numb

O.K.
Just a little pin prick
There'll be no more aaaaaaaah!
But you may feel a little sick
Can you stand up?
I do believe it's working, good
That'll keep you going through the show
Come on it's time to go.

There is no pain you are receding
A distant ship smoke on the horizon
You are only coming through in waves
Your lips move but I can't hear what you're saying
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown
The dream is gone
And I have become
Comfortably numb.

Stanco (senza avere sonno)

Siamo davvero problematici. Quasi incomprensibili a noi stessi.
Mi sento attratto verso il mio passato e respinto dal mio futuro. Un passato che credo di non volere più; un futuro che credo non mi voglia, o che io non comprendo.
Quanta confusione, quanta polvere sui mobili, quante poltrone coperte dal cellophane. Vagheggiare, probabilmente, è vaneggiare.

Come si fa a volare via, se si hanno solo due scapole contratte e rattrappite?

martedì 18 dicembre 2007

Sono come -tu- mi vuoi, non sono come -tu- mi vuoi (?)

Certe volte ho la sensazione di parlare e non essere compreso; certe volte taccio, per non essere frainteso.
Il più delle volte parlo, in ogni caso.
Io sono fatto così.
Esattamente così: non c'è nulla di più onesto. (E forse di più marxista; questo, francamente, non lo so.)
Ecco.
(Questo non è un messaggio cifrato - e neppure Magritte!; solo una riflessione dal lavoro, nata osservando una ragazza che lavora al buio perché non sa dove sia l'interruttore, e dissimula in modo dolcemente puerile la sua delicata ignoranza.)

The soft parade

«When I was back there in seminary school
There was a person there
Who put forth the proposition
That you can petition the Lord with prayer
Petition the lord with prayer
Petition the lord with prayer
You cannot petition the lord with prayer!

Can you give me sanctuary
I must find a place to hide
A place for me to hide
Can you find me soft asylum
I can't make it anymore
The man is at the door

Peppermint miniskirts, chocolate candy
Champion sax and a girl named Sandy

There's only four ways to get unraveled
One is to sleep and the other is travel

One is a bandit up in the hills
One is to love your neighbor till
His wife gets home

Catacombs, nursery bones
Winter women growing stones
(Carrying babies to the river)

Streets and shoes, avenues
Leather riders selling news

(The monk bought lunch)

Ha ha, he bought a little
Yes, he did
Woo!
This is the best part of the trip
This is the trip, the best part
I really like
What'd he say?
Yeah!
Yeah, right!
Pretty good, huh
Huh!
Yeah, I'm proud to be a part of this number

Successful hills are here to stay
Everything must be this way
Gentle streets where people play
Welcome to the soft parade

All our lives we sweat and save
Building for a shallow grave
Must be something else we say
Somehow to defend this place
Everything must be this way
(Everything must be this way)

The soft parade has now begun
Listen to the engines hum
People out to have some fun
A cobra on my left
Leopard on my right

Deer woman in a silk dress
Girls with beads around their necks
Kiss the hunter of the green vest
Who has wrestled before
With lions in the night

Out of sight!

The lights are getting brighter
The radio is moaning
Calling to the dogs
There are still a few animals
Left out in the yard
But it's getting harder
To describe
Sailors
To the underfed

Tropic corridor
Tropic treasure
What got us this far
To this mild Equator?
We need someone or something new
Something else to get us through

Callin' on the dogs
Callin' on the dogs
Oh, it's gettin' harder
Callin' on the dogs
Callin' in the dogs
Callin' all the dogs
Callin' on the gods

Meet me at the crossroads
Meet me at the edge of town
Outskirts of the city
Just you and I
And the evening sky
You’d better come alone
You’d better bring your gun
We’re gonna have some fun

When all else fails
We can whip the horses' eyes
And make them sleep
And cry...»

Perché ciascun disco dei Doors mi commuove?
Credo sia colpa del mio modo anacronistico, decadente, lontano di vivere le cose. Di vivere la parata.

Big Brother and the Holding Company at Monterey (1967)

sabato 15 dicembre 2007

Sceso dal treno

...ma quant'è bella, questa Bologna?..

giovedì 13 dicembre 2007

Saluteremo il signor padrone

«Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto,
che ci ha sempre maltrattato
fino all'ultimo momen'.

Saluteremo il signor padrone
con la so' risera neta
niente soldi nella cassetta
e i debit da pagar.

Macchinista, macchinista faccia sporca
metti l'olio nei stantufi,
di risaia siamo stufi,
e a casa nostra vogliamo andar

Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto,
che ci ha sempre derubato
fino all'ultimo denar

Saluteremo il signor padrone
con la so' risera neta
niente soldi nella cassetta
e i debit da pagar.

Macchinista, macchinista del vapore
metti l'olio nei stantufi,
di risaia siamo stufi,
e a casa nostra vogliamo andar

Macchinista, macchinista faccia sporca
metti l'olio nei stantufi,
di risaia siamo stufi,
e a casa nostra vogliamo andar

Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto,
che ci ha sempre maltrattato
fino all'ultimo momen'.

Se otto ore vi sembran poche
provate voi a lavorar
e proverete la differenza
fra lavorare e comandar
e proverete la differenza
fra lavorare e comandar.»

Mago del flipper.

Ever since I was a young boy
I've played the silver ball
From Soho down to Brighton
I must have played them all
But I ain't seen nothing like him
In any amusement hall
That deaf, dumb and blind kid
Sure plays a mean pinball.

mercoledì 12 dicembre 2007

Credo di essere una Jelly Belly

Domanda: si ritiene possibile?
Ma che ore sono? Sono un po' stufo di viaggi immaginari. Annoiato. Sbadiglio e muovo piano la coda, come il famoso cane enorme. Colpetto di tosse. Toc toc. (Vado io.)

«Appoggiato sulle braccia, dietro al vetro d' un bicchiere,
alza appena un po' la faccia e domanda ancora da bere.
I rumori della strada filtran piano alle pareti,
dorme il gatto sulla panca e lo sporco appanna i vetri.
Cade il vino nel bicchiere poi nessuno più si muove
e non sai se fuori all'aria ci sia il sole oppur se piove.
E quell'uomo si ricorda e, per uno scherzo atroce,
quasi il vino gli dà forza, l'illusione gli dà voce.
E si alza sulle gambe, sbarra gli occhi e poi traballa,
come con i riflettori sopra il gesto delle braccia...
Ma si ferma all'improvviso e ricade giù a sedere,
torna l'ombra sul suo viso, torna il vino nel bicchiere.
E lontano, oltre, nel tempo, una folla misteriosa
è scattata tutta in piedi, grida: "Bravo, bene, ancora!"
Son tornati i riflettori sul suo viso e sulle mani,
si alza e accenna ad un inchino per quei pubblici lontani.
E più forte tra quei muri quella voce ora si è alzata
e fa tintinnare i vetri e rimbalza sulla strada...»

Da ritenersi: fortunati. Bravo, bene, ancora. Come la nausea.
E allora beccatevi questo.

http://it.youtube.com/watch?v=uhSYbRiYwTY

Questioni di fam(a)e

Noccioline per nutrire il mio (sedicente) genio, il mio ego.
Una nocciolina per i tuoi pensieri.

martedì 11 dicembre 2007

Risonanza Magnetica Nucleare

Il caldo è torrido, nella sala d’aspetto.
La sala d’aspetto è piena di signore anziane, pardon, di vecchie, che tengono addosso il loro cappotto, nonostante il caldo sia torrido.
Dietro il banco dell’accettazione siedono una ragazza giovane ed un grassone con i capelli rossi. Mi rivolgo a lui; e lui comincia a prenotarmi un secondo appuntamento - ma io ho già il mio! Quando glielo faccio notare, mi dice con tono sgarbatamente cortese di rivolgermi alla sua collega. La quale è molto, molto lenta, ed ha creato una coda di vecchie con il cappotto piuttosto lunga. Il mio anticipo, però, è provvidenziale. Non potrebbe essere altrimenti, all’ospedale S. Camillo. Provvidenziale. L’appuntamento è alle 10:30, e sono appena le 10:20. 25. Arriva il mio turno; molto rapidamente, mi trovo seduto sulle sedie rigide della sala. Sono tutti molto sgarbati: il grassone, gli sguardi delle vecchie, gli infermieri annoiati. 10:30. Il mio turno. Nessuno mi chiama. Passano i minuti. Osservo insistentemente i quadri delle Madonne, le riviste dell’ordine delle sorelle di S. Camillo, il Cristo alle spalle della ragazza e del grassone. Gesù Cristo; dovrò pagare 40 euro di ticket, inseguo il loro ritardo (perché mai fissare appuntamenti precisi?), e la loro religiosità passa tutta attraverso i loro modi sgarbati. Sgarbati. Non saprei come altrimenti definirli. Credete anche all’inferno, buoni cristiani?

domenica 9 dicembre 2007

Stasera a dormire presto.

Dunque: è domenica e la città è invasa da orde, sciami, branchi, tribù, cartelli, mandrie, turbe di turisti assatanati dal Natale, dal suo spirito (di vin brulé) e dalla frenesia di acquistare, visitare il mercatino di Natale, assaggiare, girare fra i banchi di una fiera (d S. Lucia) sotto tono, farsi travolgere da passeggini, dimenticare una domenica di calcio (ieri il Bologna ha vinto 1-0, ndr.). Soprattutto: ascoltare indiani americani -che l’anno scorso erano peruviani con il poncho-, con tanto di piume e belletti, suonare per la centoventitréesima volta i Sacred Spirit (ricordate “Ly o Lay Ale Loya”?).
Dicevo: è domenica e si avvicina il Natale. Ma la giornata è buona, sì, al punto che posso anche cucinare (se così si può dire).

Sono di buonumore (come testimonia la foto, espressione un po' ebete a parte; ma, che volete, pure l'ebetudine è, talvolta, sintomo di felicità).
(grazie...)

sabato 8 dicembre 2007

Caviglia, sgonfiati: te lo ordino!

La mia moto è quasi in riserva, ma stamattina non sono andato a fare il pieno. Non ne avevo voglia. È NOIOSO.
Stamattina la mia moto mi ha portato a zonzo, in cerca di Neo Borocillina Tosse, ed io mi sono fatto portare docilmente, cercando di essere delicato con la frizione, nella mano sinistra, e con il pedale del cambio, gelato dall’olio. Il piede mi fa ancora male, a pensarci bene; ma riesco a cambiare.
Sono felice. Mi sento fortunato. Trovare e ritrovare le persone: ho la sensazione di essere una boule che si sta riempiendo di acqua calda; prima o dopo potrà pure scaldare. Mi ha fatto bene, questo incontro. Perché? Perché no?

venerdì 7 dicembre 2007

Monday, monday


Ebbene sì: ascolto John Phillips e 'Mama' Cass Elliot e mi viene il buonumore.
Oggi mi sono impadronito, ancora una volta, del mio lavoro. Una riunione di quattro ore, quasi un vertice - se solo avessi avuto la cravatta. Riparto, ricomincio da dove mi sono fermato; con piani, intenzioni, propositi, energia.
Stasera, cioè tra un'ora, vedrò Giulia. Che strana sensazione, la sua voce al telefono; come di una bambina, una bambina felice di sentire la mia voce.
Una sensazione strana, come strano sarà incontrarla, stasera, tra un'ora.

«Monday, Monday, so good to me;
Monday morning, it was all I hoped it would be.
Oh, Monday morning, Monday morning couldn't guarantee
That Monday evening you would still be here with me.
Monday, Monday, can't trust that day;
Monday, Monday, sometimes it just turns out that way.
Oh, Monday morning, you gave me no warning of what was to be.
Oh, Monday, Monday, how could you leave and not take me?
Every other day, every other day
Every other day of the week is fine, yeah.
But whenever Monday comes - but whenever Monday comes
You can find me crying all of the time.
Monday, Monday, so good to me;
Monday morning, it was all I hoped it would be.
But Monday morning, Monday morning couldn't guarantee
That Monday evening you would still be here with me.
Every other day, every other day
Every other day of the week is fine, yeah.
But whenever Monday comes - but whenever Monday comes
You can find me crying all of the time.
Monday, Monday, can't trust that day;
Monday, Monday, it just turns out that way.
Oh, Monday, Monday, won't go away;
Monday, Monday, it's here to stay.
Oh Monday, Monday
Oh Monday, Monday»

Il comunismo spinale


Mitico.

Lacrime

Cazzo, amici.
Piango, per davvero, con le lacrime, per gli operai di Torino.
Sono stanco.

giovedì 6 dicembre 2007

In apertura di fine settimana: Benefit

(mentre ballo in ufficio, sulla mia poltroncina; mi guardano, non capiscono)

«In days of peace
sweet smelling summer nights
of wine and song;
dusty pavements burning feet.
Why am I crying, I want to know.
How can I smile and make it right?
For sixty days and eighty nights
and not give in and lose the fight.

I'm going back to the ones that I know,
with whom I can be what I want to be.
Just one week for the feeling to go
and with you there to help me
then it probably will.

I won't go down
acting the same old play.
Give sixty days for just one night.
Don't think I'd make it: but then I might.

I'm going back to the ones that I know,
with whom I can be what I want to be.
Just one week for the feeling to go
and with you there to help me
then it probably will.»

(grazie, Ian Anderson, grazie mille)

In coda: The show must go on

«Ooooh, Ma, Oooh Pa
Must the show go on?
Ooooh, Pa. Take me home
Ooooh, Ma. Let me go

There must be some mistake
I didnt mean to let them
Take away my soul.
Am I too old, is it too late?

Ooooh, Ma, Ooooh Pa,
Where has the feeling gone?
Ooooh, Ma, Ooooh Pa,
Will I remember the songs?
The show must go on.»

Bring the boys back home - bring the boy's back home

«Does anybody here remember Vera Lynn?
Remember how she said that
We would meet again
Some sunny day?
Vera! Vera!
What has become of you?
Does anybody else here
Feel the way I do?»

Sto scrivendo un racconto su un uomo di pezza.
O sull'uomo di rami.
È la stessa cosa - sono la stessa cosa.
"Io che ho te" alla radio: una partita di carte, in quattro; una bottiglia di vino. Bluff. Due bottiglie di vino.
Nel cuore.
(5 dicembre, 22:38)

«Hello?
Is there anybody in there?
Just nod if you can hear me.
Is there anyone at home?
Come on, now,
I hear you're feeling down.
Well I can ease your pain
Get you on your feet again.
Relax.
I'll need some information first.
Just the basic facts.
Can you show me where it hurts?

There is no pain you are receding
A distant ship, smoke on the horizon.
You are only coming through in waves.
Your lips move but I can't hear what you're saying.
When I was a child I had a fever
My hands felt just like two balloons.
Now I've got that feeling once again
I can't explain you would not understand
This is not how I am.
I have become comfortably numb.

O.K.
Just a little pinprick.
There'll be no more aaaaaaaaah!
But you may feel a little sick.
Can you stand up?
I do believe it's working, good.
That'll keep you going through the show
Come on it's time to go.

There is no pain you are receding
A distant ship, smoke on the horizon.
You are only coming through in waves.
Your lips move but I can't hear what you're saying.
When I was a child
I caught a fleeting glimpse
Out of the corner of my eye.
I turned to look but it was gone
I cannot put my finger on it now
The child is grown,
The dream is gone.
I have become comfortably numb.»

mercoledì 5 dicembre 2007

Mother, did it need to be so high?

http://www.youtube.com/watch?v=WpN-R8RWnfY&feature=related

A quando vorrei rompere il muro, a quando vorrei costuirlo.

martedì 4 dicembre 2007

Naviganti - buonanotte

«Siamo stati naviganti
con l'acqua alla gola
e in tutto questo bell'andare
quello che ci consola
è che siamo stati lontani
e siamo stati anche bene
e siamo stati vicini
e siamo stati insieme.

Siamo stati contadini noi due
senza conoscere la terra
e piccoli soldati
senza amare la guerra,
ci hanno mandati lontano
senza spiegarci bene
e siamo stati male,
ma siamo ancora insieme.

Grandi corridori di corse in salita
che alzavano la testa dal manubrio
per vedere se fosse finita,
allenati alla corsa
allenati alla gara
e preparati a cadere
e a tutto quello che s'impara,
innamorati della sera
innamorati della luna
conoscitori della notte
senza averne paura,
innamorati di quel fiore
che non vuole mai dire:
ecco, è tutto finito
e bisogna partire.

Ma ora è il momento
di mettersi a dormire
lasciando scivolare il libro che
ci ha aiutati a capire
che basta un filo di vento
per venirci a guidare
perché siamo naviganti
senza navigare
mai.»

(I. Fossati, "Naviganti")

Alla fine del libro: una visione cattolica

«Andreas capì allora di essere morto e di trovarsi al cospetto del giudice divino. Ma ora non era più un ragazzo. In tutta la sala era l’unico in piedi tra mille persone inginocchiate. Mosse un passo in avanti e diede un colpo con la gruccia, che però non fece alcun rumore. Andreas si accorse di essere su una soffice nuvola. Gli venne in mente il discorso che si era preparato per l’udienza del tribunale terreno. Un’ira tremenda nacque nel suo petto, il suo volto si infiammò e l’anima sua concepì parole di collera purpurea, mille, diecimila, milioni di parole. Erano tutte parole che Andreas non aveva mai udito, né pensato, né letto, parole sopite profondamente in lui, tenute a freno dal suo povero intelletto, impedite miseramente sotto la cappa crudele della sua vita. Ma ora esse germogliavano e cadevano via da lui come fiori da un albero. Nel sottofondo si udiva una musica sommessa, e piena di solenne malinconia, Andreas la ascoltava insieme al mormorio del proprio discorso:
Dall’umiltà più devota mi sono destato alla sfida, rossa e ribelle. Dio, se io fossi vivo e non qui al Tuo cospetto, vorrei rinnegarTi. Ma giacché Ti vedo con i miei occhi e Ti sento con le mie orecchie, dovrò far di peggio che rinnegarTi: dovrò ingiuriarTi! Milioni di esseri come me, metti al mondo, Dio, nella Tua fecondissima insensatezza, ed essi crescono creduli e codardi, e nel Tuo nome sopportano le bastonate, nel Tuo nome salutano gli imperatori i monarchi e i governi, nel Tuo nome si fanno bucare dalle pallottole, infliggere ferite purulente, trafiggere il cuore da baionette a tre spigoli, oppure strisciano sotto il giogo delle Tue giornate lavorative, e le amare domeniche coronano di uno squallido smalto le loro atroci settimane, e hanno fame ma tacciono, e i loro figli avvizziscono, e le loro donne diventano brutte e false. Le leggi proliferano sul loro cammino come perfida gramigna, e i loro piedi si confondono nel garbuglio inestricabile dei Tuoi comandamenti, sicché cadono e Ti implorano, ma Tu non li sollevi. Le Tue mani candide dovrebbero essere rosse, il Tuo viso di marmo stravolto, e non dritto il Tuo corpo, ma curvo come quello dei miei compagni d’armi colpiti da una pallottola nella spina dorsale. Ad altri uomini, che Tu ami e nutri, è lecito castigare noi senza neanche l’obbligo di cantare le Tue lodi. A costoro Tu condoni preghiere e sacrifici, equità e umiltà, in modo che essi ci possano ingannare. Noi trasciniamo il peso delle loro ricchezze e dei loro corpi, dei loro peccati e dei loro castighi, noi li sgraviamo dei dolori e dell’obbligo di espiare, delle colpe e dei crimini, e purché essi lo vogliano, noi ci ammazziamo: se hanno voglia di vedere degli storpi, eccoci pronti a perdere le gambe che ci cascano giù dalle giunture, e se hanno voglia di vedere dei ciechi, noi docilmente ci facciamo accecare; se a loro non va a genio di essere ascoltati, noi diventiamo sordi; se vogliono essere i soli a poter gustare e odorare, noi lanciamo una granata contro il nostro naso e la nostra bocca, e se vogliono essere i soli a mangiare, noi maciniamo la farina per loro. Ma Tu che ci sei perché non Ti muovi? Contro Te mi ribello, non contro quelli. Tu sei il colpevole, non I Tuoi scherani. Possiedi milioni di mondi, e non ai cosa fare? Com’è impotente la Tua onnipotenza! Hai da sbrigare miliardi di cosa, e alcune le sbagli? Ma che Dio sei, allora! Se la Tua crudeltà è una saggezza che noi non comprendiamo, allora sì che ci hai fatti imperfetti! Se siamo condannati a soffrire, perché non soffriamo tutti nella stessa misura? Dato che le Tue benedizioni non bastano per tutti, distribuiscile almeno con equità! Io sono un peccatore... Eppure volevo fare del bene. Perché non mi hai lasciato dar da mangiare agli uccellini? E sei Tu che li nutri, lo fai davvero male! Ahimè, volevo rinnegarTi e potrei ancora farlo. Ma Tu sei qui unico, onnipotente, inesorabile, l’istanza suprema, eterna... e non si può sperare che il castigo Ti colga, che la morte Ti svapori in una nuvola, e neppure che il Tuo cuore si desti. La Tua grazia non la voglio! Mandami all’inferno!»

(J. Roth, “La ribellione”, trad. R. Colorni)

lunedì 3 dicembre 2007

Otto ore

Quando “La ribellione” di Joseph Roth prende una piega che porta verso l’epilogo del libro e della storia del protagonista, lui, Andreas Pum, si ritrova in prigione, per sei settimane. In una cella buia, nella quale l’unica finestra è posta in alto, in posizione quasi irraggiungibile, almeno per uno storpio, e cioè per lo stesso Andreas. Nella permanente oscurità, e quindi semi-privato della vista, o almeno della vista dei colori, della percezione chiara dei perimetri, Andreas sviluppa, come i ciechi, l’udito; riesce così a capire, per lo meno nel suo immaginario, cosa accade fuori dalla prigione, in quel mondo che ha mutilato la sua Persona, che l’ha messa al margine, rifiutata - in quel mondo, insomma, in rivoluzione e contro-rivoluzione.
Io ho un’ottima vista, lo sanno tutti. Ciononostante, adoro assaggiare, toccare, annusare, ascoltare: i brividi, l’acredine dolciastra, la lingua che s’allarga o la testa che si stringe sulla nuca come un limone.
Amo tastare gli oggetti: percepirne il freddo lucido, la ruvidezza arrossante, il loro imbarazzo molle o la durezza inflessibile. Fare entrare in discussione i diversi sensi: Come può un tubo rosso essere così freddo? Ed è quello che sento adesso, su questa lastra, ciò che si chiama “calor bianco”?
Così, ho sempre infilato il naso negli odori. Nelle tazze, sui pistilli, tra i banchi del mercato - nell’aria del mattino. I pochi momenti nei quali il raffreddore mi dà tregua sono attraversati dallo stordimento di milioni di colori ventosi.
Ultimamente, poi, sto incontrando persone caratterizzate da odori particolari; alcuni mi piacciono, taluni molto, altri no.
Si sa, la discriminazione passa anche attraverso il naso.

domenica 2 dicembre 2007

Comunicazione

In accordo con la Signorina T., e con il buonsenso, vi comunico che durante la settimana che sta per iniziare mi impegnerò a dormire più di 4 ore e 1/2, e non meno di 7, a notte.
Avete suggerimenti per il nome da dare a questo progetto "narcotico/onirico"?